Michelangelo Galliani, in occasione di ALKEMICA – Martirio e Rinascita, personale ospitata dalla Biblioteca Casanatense di Roma e presentata dalla Galleria Cris Contini Contemporary, riflette in questa intervista sul fascino dell’alchimia come metafora dell’esistenza e il ruolo della scultura come strumento di ricerca sul tempo, sul corpo e sulla materia.
Il titolo della mostra, Alkemica — Martirio e Rinascita, richiama immediatamente i processi di trasformazione spirituale e materiale. Come nasce l’idea di indagare il percorso alchemico attraverso la scultura?
L’alchimia è una pseudo-scienza che mi ha sempre affascinato molto. L’idea di fondo, quella della trasformazione della materia, è per me estremamente vicina a ciò che avviene nel processo scultoreo. Manipolando e lavorando la materia, si modifica ciò che si utilizza, restituendo una visione differente della realtà.
C’è poi un altro aspetto che considero importante: i materiali. I miei due materiali di elezione sono il marmo — prevalentemente di Carrara — e il piombo. Quest’ultimo è un metallo che mi accompagna fin dall’inizio, da quando, verso la metà degli anni Novanta, ho intrapreso questo percorso nella scultura.
Il piombo, non a caso, è il punto di partenza del processo alchemico: un metallo povero dal quale gli alchimisti cercavano di ricavare l’oro, attraverso una lenta trasformazione e disgregazione. L’idea della mostra è nata proprio da questa duplice valenza e dal contesto stesso in cui si svolge: una biblioteca che è un vero e proprio contenitore di conoscenza e che conserva esclusivamente libri antichi, tra cui diversi testi alchemici che abbiamo voluto includere nell’allestimento accanto alle opere inedite.
La biblioteca custodisce testi che partono dal Quattrocento, e oltre a manoscritti sul martirio di San Sebastiano, abbiamo trovato preziosi volumi dedicati all’alchimia. Quindi, luogo e contenuto si sono rivelati perfettamente coerenti con il tema di Alkemica.

Il martirio di San Sebastiano è un soggetto fortemente simbolico. Cosa la affascina di questa figura e quale messaggio contemporaneo intende affidargli nella sua installazione centrale?
Il titolo della mostra è appunto Martirio e rinascita. Il martirio rappresenta la morte fisica, in questo caso di un martire cristiano, ma anche la nascita di un mito. Dalla morte, infatti, nasce l’icona del martire, che attraversa il tempo e la storia. È ciò che cerco sempre di fare nel mio lavoro: restituire una visione altra della realtà, che possa superare il tempo.
Nella mostra si affrontano le due fasi della nigredo e dell’albedo. Cosa significano per lei questi passaggi e come ha scelto di rappresentarli?
Sono passaggi molto significativi. La nigredo è la fase della disgregazione della materia, mentre l’albedo rappresenta il raggiungimento della luce, il passaggio verso l’oro.
Nella mostra ho voluto differenziare queste due fasi attraverso l’utilizzo di materiali distinti. Le opere che raccontano la nigredo sono tutte realizzate in bronzo, con superfici ossidate che ricordano i reperti recuperati in mare, corrosi dal tempo e dagli agenti naturali. Sono opere nere, scure, combuste, rovinate, disgregate.
A poco a poco, questi bronzi cominciano a includere elementi che conducono verso l’albedo, che è rappresentata nella parte destra della mostra, nelle teche in cui trovano posto le opere in marmo bianco, in marmo statuario di Carrara, accompagnato dal piombo e arricchito da inserti in foglia d’oro, argento e altri materiali. È un percorso simbolico dal buio alla luce, dalla nigredo all’albedo.
Questo processo riflette anche il mio modo di lavorare: partire dalla materia grezza, modificarla, plasmarla, distruggerla in parte, per arrivare a una forma che cerchi di comunicare un linguaggio, un messaggio. È un viaggio infinito, un traguardo che non si raggiunge mai completamente.

Non utilizza disegni preparatori. Come nasce allora una sua scultura? È un processo più istintivo o razionale?
Esatto, non uso modelli né disegni preparatori, e questo mi dà una grande libertà creativa. È il processo stesso a essere determinante.
Nella scultura in pietra esistono due tecniche principali: l’intaglio diretto, che è quello che utilizzo io, e l’intaglio indiretto, che prevede il pantografo o altri sistemi di copiatura, usati anche in passato da scultori come Canova.
L’intaglio diretto prevede un approccio immediato alla materia, senza un modello a cui fare riferimento. L’opera si costruisce strada facendo, nel tempo che intercorre tra l’inizio e la fine. È un metodo che comporta rischi più alti e richiede grande padronanza tecnica, visione e capacità di adattarsi anche ai difetti della materia o agli errori, che a volte portano a risultati inaspettati e interessanti.
Anche questo è molto vicino al processo alchemico: si conosce in parte la strada, ma non fino in fondo. È un percorso aperto, che consente di vivere il processo creativo in modo intenso e autentico. Personalmente, ho sempre temuto che la magia della scultura si perdesse nella realizzazione di un modello, che poi diventerebbe solo un esercizio di copiatura.
Ha dichiarato che “la materia, come il corpo e l’anima, subisce una continua evoluzione”. Quanto è importante per la sua ricerca il rapporto tra visibile e invisibile, tra ciò che resta e ciò che si trasforma?
È fondamentale. Credo che chiunque abbia letto anche solo un paio di libri di filosofia o antropologia si sia posto almeno quattro domande su ciò che accade nel mondo, su quello scambio continuo tra vita e morte, tra ciò che si consuma e ciò che nasce.
È il ciclo della vita, ma è anche il ciclo del carbonio, per dirla con una formula scientifica. Italo Calvino, nella prefazione di uno dei suoi libri più belli, spiega molto bene il ciclo del carbonio: la materia si trasforma e si rigenera continuamente, in forme diverse.
Noi artisti, oggi come nel passato, inseguiamo l’idea di eternità dell’opera, il desiderio che essa possa superare il tempo. È un concetto utopico, perché nulla resisterà davvero al tempo, ma esistono materiali e linguaggi che ci consentono di procrastinare questa fine più a lungo.
Io sono molto attento a questi aspetti, soprattutto quando realizzo opere per spazi esterni. La scelta dei materiali è sempre orientata anche a questa dimensione.

In Alkemica, il martirio non è solo distruzione, ma anche purificazione e rinascita. Quanto sente attuale questo concetto, anche in relazione alle tensioni e fragilità del nostro tempo?
È una bella domanda, soprattutto oggi. Temo di apparire cinico, ma credo che la storia dell’uomo si ripeta continuamente. Non è mai cambiato nulla, in fondo, da quando vivevamo in tribù di cacciatori e raccoglitori.
Le dinamiche umane sono le stesse, solo che oggi si muovono all’interno di sovrastrutture sociali e culturali che danno l’illusione di una società civile organizzata.
L’uomo è condannato a distruggere e a ricostruire, governato da questa tensione perpetua. È una pulsione di sopravvivenza, di difesa, di prevaricazione del più forte sul più debole, di controllo delle risorse.
Il concetto di martirio, distruzione e rinascita, allora, è qualcosa di profondamente attuale. Lo era ieri, lo è oggi e temo lo sarà anche domani.


