Mimmo Jodice, il fotografo che ha immortalato i nostri luoghi dell’anima, in bilico tra realtà e immaginazione

Nato a Napoli nel 1934 nel Rione Sanità – tra le location più ambite delle fiction televisive italiane –, Mimmo Jodice, l’instancabile sperimentatore concentrato sulle possibilità di reinventare la tradizione del vedutismo pittorico ottocentesco, che ha superato la documentazione per addentrarsi nella dimensione concettuale e poetica dell’immagine con la fotografia, è scomparso il 27 ottobre alla veneranda età di 91 anni: di lui ci restano oggi le sue memorabili vedute dell’attesa. La sua storia è quella di un uomo fedele al suo sguardo, che ha combattuto per fare riconoscere la fotografia come strumento di giustizia agli esordi della sua carriera, e poi come espressione di libertà, un linguaggio creativo per interrogare la realtà in rapporto al divenire del tempo, e per aver creduto che l’arte può cambiare la percezione del mondo.  

Mimmo Jodice Napoli San Paolo Maggiore 1986 Stampa su carta baritata al bromuro ai sali dargento realizzata a mano dallartista VINTAGE Napoli Mimmo Jodice Studio

È stato tra i più importanti fotografi italiani. Rimasto orfano di padre, ha iniziato a lavorare subito dopo la scuola elementare. Appassionato di arte, disegno e pittura, lo affascinano anche il teatro e la musica, e negli anni Cinquanta, in una Italia ancora segnata dalle macerie della guerra, si avvicina alla fotografia da autodidatta, spinto da una fame di immagini della sua Napoli, città che, come disse in un’intervista, “non finisce mai di morire e di rinascere”.  L’artista ripulisce Napoli dalle imperfezioni, seguendo una visione orizzontale della storia, per dare spazio al suo sguardo melanconico indagatore di realtà invisibili, cedendo al fascino delle cose inanimate per costruire, immagine dopo immagine di Pompei, Ercolano, Roma, il Mediterraneo, una precisa idea narrativa sul tema del desiderio di paesaggio italiano, come luogo dell’anima, dove dare forma alle sensazioni in cui passato e presente si incontrano in un equilibrio tra scenari struggenti e una composizione sempre salda e rigorosa.

Dagli anni Sessanta incomincia a frequentare gli artisti d’avanguardia, trovandosi nel mezzo delle ricerche dell’arte concettuale napoletana, promossa da alcune gallerie private come Lucio Amelio, Lia Rumma, Pasquale Trisorio, Peppe Morra, quando Jodice comprese che la fotografia è un linguaggio espressivo della libertà, e non un’ancella della pittura. Collabora con Andy Warhol, Joseph Beuys, Sol LeWitt, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis e Alberto Burri, condividendo con loro un percorso di ricerca che va oltre la distinzione tra i linguaggi.  Questi artisti, come Mimmo, volevano rivoluzionare la percezione del reale attraverso l’arte. E in parte l’hanno fatto.

Nel 1967 espone per la prima volta a Napoli, e da allora ha esposto in Italia e all’estero, riscuotendo numerosi riconoscimenti internazionali. Jodice, come per Ugo Mulas e altri artisti della sua generazione, comprese che la fotografia è uno strumento che poteva cambiare la percezione della realtà, voleva che la fotografia entrasse in Accademia di Napoli, come il disegno, la scultura, la pittura; e ci riuscì dal 1970 al 1994, gli anni in cui ha insegnato fotografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dando inizio al corso di Fotografia nel tempio delle Belle Arti.

Consigliamo, per entrare nel vivo del suo sguardo, di partire dalla metropolitana di Napoli, precisamente di scendere alla stazione Neapolis tra piazza Cavour e via Foria, nel cuore storico della città, posizionata sotto il Museo Archeologico, dove si possono ammirare i suoi splendidi gruppi fotografici, scatti in bianco e nero, scolpiti dalla luce, come Anamnesi, e altri frammenti di una archeologia riemersa dall’oblio, eternizzata nell’istante. Jodice nella sua lunga carriera è passato da uno sguardo più documentaristico e sociale sulla realtà napoletana negli anni Settanta, come per esempio in Chi è devoto: feste popolari in Campania (1974), per incentrare dagli anni Ottanta la sua ricerca su luoghi silenti dell’attesa più onirico-metafisici stile Giorgio de Chirico, con opere dedicate al mito antico delle civiltà mediterranee e agli spazi urbani, fuori dal tempo e dalla storia.

Nel 1980 pubblica Vedute di Napoli, un lavoro fotografico in cui l’artista si concentra sulla definizione di uno spazio urbano e del paesaggio metafisico, sottilmente visionario. La ricerca sul Mediterraneo inizia nel 1986, e culmina nel libro fotografico Mediterraneo, pubblicato da Aperture, New York e con la mostra al Philadelphia Museum of Art nel 1995. Tra le altre mostre, resta memorabile la prima retrospettiva monografica al Museo Madre del 2016, dal titolo “Attesa 1960-2016” , a cura  di Andrea Villani. Nel 2022 è stata pubblicata la sua biografia dal titolo paradossalmente emblematico Saldamente sulle nuvole, edita da Contrasto, un testamento poetico della sua ricerca artistica.

Mimmo Jodice Oasi Zegna 2008 Courtesy Fondazione Ermenegildo Zegna

Luoghi dell’assenza sospesi tra alterità e straniamento

Jodice prima di scattare una foto attende a lungo, osserva, medita, si guarda intorno, cambia posizione per catturare la luce più adatta per i suoi paesaggi del vuoto; è convinto della ciclicità del lavoro. L’uomo più che l’artista volitivo e determinato, all’Accademia di Belle Arti di Napoli ha fondato la prima cattedra italiana di una disciplina, negli anni Settanta considerata “sperimentale”, oggi un linguaggio classico del secolo scorso in dialogo con la pittura e altre tecniche. I suoi corsi di fotografia all’Accademia di Napoli erano seguiti da studenti alla ricerca di un nuovo sguardo su vecchi scenari, che hanno imparato a osservare i tanti volti di una Napoli nascosta, in strada, camminando per i quartieri, con il fine  di educare a cogliere l’intensità della luce, con l’obiettivo fisso sulla  volontà di immobilizzare il divenire  del visibile, per uscire fuori dal flusso del tempo, dalla storia.

Storia, memoria e le identità delle città, come si vede nel  ciclo Le città visibili (1990), sono quasi nature morte, immobilizzate in un’oscurità luminosa, incise nel bianco e nero analogico tra sfumature e diverse tonalità di luce. Jodice ci ha lasciato ma resta il suo archivio d’immagini straordinario di visioni metafisiche, di luoghi dell’anima in bilico tra realtà e immaginazione, così diverse dalle foto documentariste degli anni Settanta, dell’impegno civile e sociale, quando con la moglie, musa, vestale complice e coautrice Angela, militante e compagna di vita, pubblica riviste come “il cuore batte a sinistra” e “Fabbrica e Città”, denunciando lo scempio edilizio, il degrado delle periferie. Tra gli altri sono immortali i suoi scatti di vicoli, piazze, operai, i bambini del colera, e lo stato di abbandono dei luoghi periferici, travolti dall’oscurità della miseria, senza retorica. Disse Jodice: “Dopo dieci anni di impegno civile capii che nulla stava cambiando, mi distrusse. Per un anno non fotografai più”. Da questo bagno di crudo realismo, Jodice supera la crisi del crollo delle illusioni e trova rifugio in una visione di una “Napoli Metafisica”, quando incomincia a utilizzare i luoghi come fossero frammenti di nature morte, e questo è titolo della sua grande mostra di spazi rarefatti che qualcuno ha visto allestita al Maschio Angioino, luogo simbolico e amato da Jodice, dove giovedì 30 ottobre, dalle 12 alle 16.30 è allestita la camera ardente.

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