Uno dei canali più iconici ha chiuso i battenti. Dopo 44 anni di trasmissioni, MTV spegnerà entro il 31 dicembre 2025 i suoi ultimi canali televisivi interamente dedicati ai video musicali. È la chiusura di un rito collettivo che ha insegnato alla musica a farsi immagine e all’immagine a farsi linguaggio. Oggi guardiamo clip su YouTube e scoviamo brani su TikTok, ma la grammatica che usiamo — tagli rapidi, pose, storytelling di tre minuti — è nata lì. Per raccontare l’addio, bisogna tornare all’inizio, a quella notte dell’1 agosto 1981 in cui un astronauta piantò una bandiera con una “M” gigante e la televisione cambiò per sempre.
La prima canzone è già uno statement: “Video Killed the Radio Star” dei The Buggles. Non è una profezia a posteriori, è una dichiarazione d’intenti. MTV è Music Television ma soprattutto è visual culture. Il canale è un jukebox in rotazione continua con un elemento radicalmente nuovo: i VJ (video jockey), volti e voci che scandiscono il flusso, creano uno slang, trasformano la fruizione in comunità. In salotto non “passano canzoni”: passano mondi. E quegli stessi mondi, rimbalzati tra camerette e negozi di dischi, cominciano a dettare legge nel quotidiano: capelli, trucco, abiti, persino il modo di muoversi. La musica, per la prima volta, si veste ogni giorno.
Nel 1984 arrivano i MTV Video Music Awards: la notte in cui l’immaginazione pop impara a performarsi come spettacolo totale. Madonna in abito da sposa su “Like a Virgin” e, poco dopo, l’idea che ogni artista debba avere “il suo momento MTV”. Il trofeo, quel piccolo Moonman, è già mitologia: è l’emblema di un atterraggio riuscito nella cultura di massa. A metà anni Ottanta il canale non è più un canale: è il lessico di una generazione. Live Aid, trasmesso per ore senza rete di sicurezza, dimostra che MTV sa essere anche piattaforma civica; MTV News spiega il mondo con un tono che non infantilizza né predica. Nessuno, prima, aveva parlato ai giovani senza filtri e senza alzare la voce.
La potenza del video come racconto esplode con “Thriller”: il clip diventa cinema breve, il pop diventa teatro. Da lì in poi l’immagine non “accompagna” la canzone: la completa, l’amplifica, la rende riconoscibile al primo fotogramma. L’Europa guarda, impara, adotta: quando nel 1987 nasce MTV Europe si disegna la mappa di una gioventù transnazionale che condivide la stessa colonna sonora e gli stessi miti. Nel frattempo, i palinsesti si differenziano: metal e alternative trovano casa in Headbangers Ball e 120 Minutes, l’hip hop fa il suo ingresso con Yo! MTV Raps, la distanza tra nicchia e mainstream si accorcia.

All’inizio dei Novanta, MTV ribalta il tavolo una seconda volta: MTV Unplugged azzera la scenografia, lascia tutto alla voce e alle dita. L’esibizione dei Nirvana nel 1993 è un pezzo di storia della musica e dell’immagine: luci basse, fiori, una teatralità spogliata che trasforma l’icona in presenza. Nello stesso clima nasce The Real World (1992): sette sconosciuti in una casa, telecamere sempre accese, conflitti e tenerezze senza copione. È il reality prima che il reality diventi formula. E poi la satira punk di Beavis & Butt-Head, che prende in giro proprio quel pubblico incollato ai video: MTV ha già imparato a parodiare se stessa.
Il 1991 segna il passaggio del grunge nella liturgia quotidiana del canale: “Smells Like Teen Spirit” in heavy rotation e l’underground diventa lessico comune. Sul finire dei Novanta arriva il rito pomeridiano: Total Request Live (TRL). Vetrate su Times Square, urla in piazza, cartelli colorati: la classifica votata dal pubblico è insieme specchio e volano del teen pop. Britney Spears, ’N Sync, Christina Aguilera, Destiny’s Child: il video torna evento in diretta. TRL è l’ultima, gigantesca cattedrale laica del videoclip come appuntamento comune.
Poi cambiano i desideri e cambiano i mezzi. I primi anni Duemila sono una torsione d’identità: la musica perde centralità nel canale ammiraglia, mentre si afferma la narrativa del “vissuto”. The Osbournes, Jackass, Pimp My Ride, My Super Sweet 16 trasformano MTV in una palestra di format. È il montaggio a dettare legge: lo sguardo impara il ritmo social prima dei social. Jersey Shore (2009) chiude il cerchio: un gruppo di ragazzi italoamericani diventa fenomeno globale, meme prima della parola “meme”. Il volto di MTV non è più una popstar: è Snooki, è un personaggio da reality che vive oltre lo schermo.
Nel 2010 il rebranding leva dal logo la dicitura “Music Television”. È un atto politico: MTV non è più un canale musicale, è una fabbrica di intrattenimento giovanile. La musica resta nei grandi eventi (VMAs, EMAs), negli speciali e nei canali collaterali (MTV2, MTV Hits, i canali “per decadi”), ma la marea è cambiata. Nel frattempo, la vera rivoluzione è fuori dal televisore: YouTube, Spotify, Instagram, TikTok. La comunità passa dall’appuntamento alla condivisione istantanea.

Gli anni 2010 sono una lunga coabitazione col presente: Teen Mom, Catfish, Ridiculousness saturano il palinsesto, i VMAs resistono come termometro pop sempre più ibrido, Unplugged torna a ondate per ricordarci che l’intimità acustica è un bisogno ricorrente. I canali musicali “puri” tengono viva la fiamma, ma quando la musica diventa l’aria che respiriamo in ogni scroll, la funzione originaria del canale si scioglie: MTV ha vinto a tal punto da rendere superflua la propria forma originaria.
E arriviamo all’oggi: la decisione di spegnere gli ultimi canali musicali lineari entro la fine del 2025. Il brand resta — forte, capace di produrre reality e formati — ma la televisione musicale, come l’abbiamo conosciuta, chiude il sipario. Non è nostalgia sterile: è il riconoscimento di una rivoluzione riuscita. Se oggi la musica si guarda, se un singolo vale anche per l’immagine che lo accompagna, se artisti e pubblico si intendono al primo taglio, è perché un canale ha fatto da scuola. La sua campanella non suona più nello stesso edificio. Ma i ragazzi — vecchi e nuovi — sanno ancora perfettamente che lezione era. E, in fondo, la voce interiore continua a ripeterlo piano: I want my MTV.



