Con la collaborazione di Ellie Ivanova
Scorrendo le pagine dedicate alla programmazione culturale di diversi musei americani sia pubblici che privati, si può notare una pratica molto diffusa e consolidata, quella dei Museum book clubs. Questa idea prende maggior vigore a seguito della dicotomia individuata da Duncan Cameron negli anni ’70 tra il museo-tempio e il museo-foro. Nella sua visione del museo come foro, quest’ultimo viene concepito come un luogo di scambio tra voci e persone diverse: in questo contesto, il book club è proposto come una delle modalità di partecipazione e interpretazione.
La formula infatti è quella che già conosciamo bene, praticata nel nostro paese nelle biblioteche, nelle librerie e ormai in diversi locali di tendenza dove, a cadenza mensile o trimestrale, una ventina di partecipanti all’incirca aderisce su base volontaria ad una proposta di lettura e si incontra poi per discuterne insieme (alcuni anche senza aver letto il libro ma solo per sentirne parlare).
E così all’estero questo avviene anche in diversi musei, dal MOMA al Carter Museum, da Honolulu Museum of Art all’Art Institute of Chicago e così via, incentivando una pratica che incoraggia le connessioni tra arte e letteratura e la partecipazione a più ampio raggio.
C’è da dire che spesso i musei americani hanno abbinata una libreria e a volte l’organizzazione stessa si impegna a fornire gratuitamente copia del libro proposto a tutti i partecipanti, riuscendo a veicolare questo nel meccanismo di resi o di acquisti stessi della libreria, ma questo non è l’unico motivo che spinge gli avventori a partecipare.
La lettura programmata è in linea di massima stabilita dall’ufficio didattica o di audience engagement che cerca di individuare temi e titoli che in qualche modo, per qualche nesso, non per forza esplicito o diretto, siano in dialogo con le esibizioni o la poetica degli artisti in mostra, in modo da generare un confronto critico ed elaborare nuove letture e nuove connessioni trasversali anche ai vari linguaggi poetici, artistici e letterari.
I consigli di lettura offerti spaziano dai libri preferiti dell’artista in mostra o fondanti la sua poetica, o anche biografie e testi storici e critici utili per approfondire la conoscenza degli autori e delle loro pratiche fino ad arrivare a testi non per forza funzionali, proposti come seconda voce rispetto alla tematica, agli interrogativi sociali o alla posizione espressa rispetto ad un determinato argomento.
L’engagement non riguarda poi solo un pubblico adulto ma è rivolto a diverse fasce di età, dai più piccoli per i quali il momento di lettura in gruppo è abbinato spesso ad un’attività di osservazione e poi laboratoriale, ai giovanissimi ai quali si propongono programmi dedicati che prevedono anche film, fumetti e altre iniziative al fine di creare una fidelizzazione utile a suscitare e costruire una familiarità con il museo e con il linguaggio specifico dell’arte.
E per creare rete e connessioni ancora più efficaci si può coinvolgere biblioteche e librerie locali, attivisti, associazioni e circoli del libro già esistenti nel territorio che si occupano della promozione della lettura a vario titolo, proponendo anche a loro la lettura di un libro consigliato, per discuterne poi insieme attraverso la mediazione delle persone incaricate dal museo stesso e poi visitare la mostra o la collezione legata al libro.
In alcuni musei addirittura una piccola commissione, in concomitanza con l’organizzazione delle mostre, dopo aver scelto il programma di letture, prepara anche una mini guida di aiuto alla discussione per i circoli di lettura già attivi sul territorio che vogliano in qualche modo abbinarsi alle proposte del museo.
Come ci racconta Ellie Ivanova che ha lavorato sviluppando programmi con i servizi educativi del Museo di Arte di Dallas e il Museo di Arte Geometrica di Dallas, questo tipo di proposte hanno un intrinseco potenziale che determina numerosi vantaggi a livello educativo e sociale: il museo sicuramente riesce così a risultare attraente per nuovi tipi di pubblici che non per forza avrebbero altrimenti frequentato questo luogo.
Questo comporta che da un lato il museo si fa promotore di un orizzonte interdisciplinare che rende la cultura un processo costantemente in divenire, che si avvale del contributo di tutti, dall’altro i diversi utenti hanno nel museo uno spazio laico di condivisione utile alla costruzione di legami significativi che generano incontro dopo incontro il senso di appartenenza alla comunità, cosa altrimenti difficile nel caso si continuasse a reiterare la tradizionale proposta di una fruizione occasionale alla collezione.
In questo modo lo spazio museale da statico luogo di esposizione diventa ambiente vivo, duttile, dinamico, flessibile e attento alle esigenze dei fruitori, che, predisposto all’ascolto e al cambiamento, investe e crede nel capitale umano con il quale si interfaccia. E gli utenti, da estranei e occasionali fruitori, diventano appassionati interlocutori che riconoscono nel museo un’appartenenza significativa.