Nada, dagli esordi a Sanremo agli album introspettivi di oggi: “Non ho mai avuto un’età. La mia parola? Libertà”

Nada canta e mette i brividi. La sua voce, ruvida e struggente, non cerca l’armonia patinata, ma colpisce al cuore con una sincerità spiazzante. Ha l’intensità di chi ha sofferto, vissuto, resistito. Una voce che ti scava dentro. Tra dolore e rinascita, consapevolezza e ostinazione. Si intitola Nitrito il suo nuovo album di inediti e l’artista toscana ne è autrice di parole e musica. Le registrazioni sono state effettuate a Bristol e ancora una volta Nada si è affidata alla produzione di John Parish, consolidando una collaborazione artistica iniziata quasi vent’anni fa. Sferzate di chitarra fra rock, blues, indie e ballate. L’elettronica si mescola a momenti da musica da camera. Ad accompagnare l’album due videoclip ufficiali, pensati e realizzati dalla stessa Nada insieme a Davide Barbafiera (multiartista, ha studiato presso Accademia di Belle Arti di Carrara, fotografo, regista, musicista e compositore eclettico, autore di sperimentazioni che fondono acustica ed elettronica).


L’album contiene 9 brani, profondi ed essenziali. Rispecchiano l’anima e il percorso artistico e personale in continua evoluzione dell’autrice, che attraversa generazioni, generi e linguaggi diversi, con immancabile gusto e ricercatezza.Testi carichi di poesia, essenziali, come sempre corrosivi, disobbedienti. Filastrocche surreali dal tono beffardo che nascondono inquietudine sotto pelle. Artista di culto, impetuosa, rock e anticonformista, sempre fedele a sé stessa e alla voglia di sperimentare, Nada non ha mai smesso di interrogarsi, né di sfidare. Negli anni si è rintanata in una nicchia tutta sua, lontano dai dettami dell industria discografica, e ci sta bene. “Sono una che si dondola in disparte”, racconta lei. Alla musica affianca la scrittura, con romanzi e opere autobiografiche che confermano la sua sensibilità artistica a 360 gradi.
Nitrito è anche il tour che ha preso il via questa estate con spettacoli live con la band al completo (Andrea Mucciarelli alla chitarra, Franco Pratesi alle tastiere, Francesco Chimenti al basso, Luca Cherubini Celli alla batteria), che continua in autunno nei teatri con tappe ad Avezzano (14 novembre), Isernia (7 dicembre), S. Agata Bolognese (11 dicembre), Campi Bisenzio (12 dicembre) e Cesena (27 dicembre).

C’eravamo anche noi, in mezzo a un pubblico eterogeneo, entusiasta, intergenerazionale, Il 2 Settembre al suo concerto al Castello Sforzesco di Milano, nel suggestivo Cortile delle Armi. Parte con il suo nuovo album per poi arrivare, ripercorrendo i suoi successi, alle potenti ballate come Guardami negli occhi, Senza un perché, Tutto l’amore che mi manca. Profondità e presenza scenica immense. Al pubblico milanese che acclama in piedi il bis (aspettandosi Ma che freddo fa) regala invece agitanto le braccia una versione in voce solitaria di All’ aria aperta, una composizione estrema, un inno viscerale alla libertà e alla rivolta, fatto di parole come “Troverò il coraggio, lo troverò/ E prima o poi aprirò queste porte e sparirò”, e vibra nell’aria quella specie di solfeggio con il respiro che fa nel finale quel “libera l’anima mia, libera la pazzia”. Nada saluta il pubblico, sorride ed esce di scena. Un concerto che ti porti dentro, così pieno di intensità e tanta verità. Come un viaggio dentro l’anima.


In questa intervista esclusiva, Nada si racconta ai lettori di Artuu.

Nada, il tuo nuovo album Nitrito ha un titolo forte, evoca un suono primordiale, selvaggio.

È una rappresentazione sonora del pensiero libero. Cercavo un’altra voce che insieme alla mia desse un po’ lo spirito, il senso di questo album, in cui c’è molta libertà di pensiero e di linguaggio. Il nitrito del cavallo è un suono incredibile, molto potente, un suono che allerta, che chiede attenzione, che inquieta, ma dà anche un grande senso di libertà. Era giusto abbinarlo al mio, di nitrito.

La libertà di cui sei più orgogliosa?

La libertà di essere me stessa. Ci provo tutti i giorni su me stessa, ma non è così facile. Le cose intorno ti travolgono e sono tante ma bisogna provarci, mai arrendersi. Bisogna liberarsi dalla paura del giudizio. Nell’essere come si è, lì c’è la verità, lì ci sono cose da dire e sono cose che non si possono esprimere alleggerendo e ammorbidendo i toni. Per trovare la propria verità occorre fare luce in questo spazio buio dell’anima e cercare, cercare. Il tormento che ho provato è diventato ricchezza. E voglio cercare nelle persone la verità, quello che realmente è quella persona, anche nelle difficoltà, anche nella ricerca, anche nella sofferenza, nell’ansia, nel dubbio. Il punto è che ho bisogno di cose autentiche, forti, profonde. Perché devo esserci, devo capire, perché “non mi basta mai”.

In Un giorno da regalare parli dell’arte di vedere e di sentire

Racconto le nostre vite. Cerchiamo di riempire il vuoto della vita ogni giorno mettendoci dentro cose su cose, ma il vuoto rimane sempre vuoto. Esiste invece l’arte di vedere, l’arte di sentire. E allora tutto penetra in modo più profondo. E a stare bene anche se non c’è niente.

Nel brano Che giornata, scrivi: “Vado a passeggio con il mio gatto e mi tengo a un lampione mentre canto ah che bella questa vita anche se il giornale dà notizie disastrose”. Cosa ti dà speranza in un mondo che sembra impazzito?

Come tutti, anche io ho i miei momenti di sconforto, ma anche nella paura, riesco sempre a trovare uno spiraglio, qualcosa che… mi riporta su. Mettiamoci almeno un sorriso, esorcizziamo la paura e guardiamo alle cose buone che ci sono. Amo gli uccelli, il vento. Amo la terra, i fiori e i coralli. Amo i cavalli. E non resisto a una bella risata davanti a un calice di vino rosso.

Mi viene in mente un altro tuo brano , lo ammetto il mio preferito, inserito nell’album, La paura va via da sé i pensieri brillano: “Io ci sono ,in questo giorno in questo mondo io ci sono e mi tengo forte a un ferro. Un bastone per tenere fermo il cuore”. Lo hai cantato anche al Castello Sforzesco, con una intensità incredibile, come un grido indomito di resistenza, che nasce dal profondo, con una carica di urgenza, come una dichiarazione d ruvida e fiera, graffiante e dolce insieme, del tuo essere lì, quello che è lo “starci” nel mondo per davvero. Senza infingimenti.

Mah, queste sono le cose che mi vengono, che scrivo, che sento, che fanno parte un po’ del mio modo di essere nel mondo, di vivere: non solo la musica, ma tutto il resto, consapevole che in fondo siamo comunque una piccola cosa… E poi, sì, è un modo per dire che ci sono, non mi arrendo e continuo a lottare. Percorro la mia strada, non sono mai andata via.

Il nuovo album è molto legato al mondo femminile. Nel video di Bella più bella, sei ripresa di spalle da Davide Barbafiera che ti segue per le strade di Pisa mentre affiggi sui muri immagini femminili. Si può scorgere Marina Abramovich, Margherita Hack, Anna Magnani, Giovanna D’Arco, Virginia Woolf, Maria Callas, Frida Kahlo, Nina Simone, Malala Yousafzai, la giovane pachistana vincitrice del Premio Nobel per la pace, la filmaker Zuriel Oduwole e persino una Madonna col bambino Gesù, e tante altre.

Sono cresciuta con una nonna, una madre e una sorella, e ho una figlia: racconto le donne perché siamo infinite… Bella più bella è un inno alla donna, alla sua forza, alla sua fragilità, alla sua testa, al suo cuore, e potrei continuare all’infinito. Celebro le donne che hanno fatto la storia con coraggio. Sono donne che hanno dato dignità a tutte le donne. Ci hanno insegnato a combattere per ottenere una vita migliore. Mi sono sempre piaciute le figure femminili con un fascino un po’ disordinato, in fondo anche io mi sento così. Disordinata, almeno.

Come nasce l’ispirazione?

È difficile dire come nascono le canzoni. Ci sono cose che accadono dentro e accanto a te. E vivere la vita è un modo per riscoprire sempre qualcosa di nuovo da dire e raccontare. La creatività è questa cosa qui: la vita che ti porta a vedere sempre altro. Quando scrivo una canzone quasi mai so cosa voglio dire, spesso lo scopro dopo. A volte mi lascio trasportare dalle parole. Da una parola nasce un’idea che mi porta altrove. Oppure all’improvviso mi arrivano delle visioni.

Ventun album, sei romanzi. Il primo nel 2003 per Fazi Editore è una raccolta di poesie, Le mie madri. Intime, toccanti, erotiche, impietose, commoventi. Quando hai iniziato a scrivere?

Da bambina. Ho conservato i quaderni. Scrivere è la mia passione. Che si tratti di romanzi, canzoni, poesie o racconti, non mi cambia nulla. Mi piace scrivere in maniera poetica e visionaria. Scrivere mi dà forza, senso di libertà. Scrivendo insegno molto a me stessa perché divento più consapevole, ma a volte mi fa paura: quando scrivi ti avventuri in terreni minati, scateni i fantasmi. La scrittura è invenzione, anche se sono presente in ogni riga del romanzo, anche nei personaggi maschili. Sembrerà strano ma devo dire che la parte meno facile per me è scrivere canzoni. La canzone ti obbliga a seguire una musica, una metrica, degli accenti, e in pochi minuti devi riuscire a esporre in modo convincente quello che hai in mente. Mentre per i romanzi o racconti, sei sola con la parola. Ma è anche vero che sono sempre io, c’è un collegamento tra i temi ma in una forma diversa.

Il tuo ultimo libro si intitola Come la neve di un giorno, pubblicato da Edizioni di Atlantide Ha come protagonista Elba, che guarda la vita da un luogo lontano, Villa Incanto, dove il tempo non esiste. Possiamo considerarlo una favola? un romanzo sull’aldilà?

Non lo so. È una visione, una storia non storia. Non è un libro facile da spiegare, non è un racconto lineare: attraversa un altro piano della nostra vita, o per lo meno della mia immaginazione, del mio vedere le cose. Sono anni che cerco di esorcizzare questo nostro grande mistero, la vita. Non sono una che crede, ma chissà, poi magari invece dopo la vita c’è qualcosa di meraviglioso! (ride). E noi ancora non lo sappiamo…

La cover riporta un tuo disegno, ne ritroviamo altri anche all’interno: Il cane Olga, il grande uccello nero, la zia Fedora, l’uccello della pietà, Elena…

Non so disegnare tecnicamente, ma mi diverte. Ho sentito che per questo libro servivano dei disegni, segni veloci e liberi, come gli scarabocchi dei bambini. Lo schizzo, data la rapidità di realizzazione, è lo strumento più immediato per fissare sul foglio con un pennarello nero una visione momentanea, suggerisce l’immagine senza però completarla, lasciandola come sospesa.

Il videoclip del singolo Un giorno da regalare è un bianco e nero intriso di raffinate sfumature, immagini di quiete e da una natura silente, immota. Sei ripresa di spalle da Davide Barbafiera, seduta su una sedia davanti l’orizzonte collinare. È il paesaggio della tua Maremma, dove vivi. Che diventa geografia interiore, in un “frammento di tempo allo stato puro”. Vorrei indovinare i tuoi pensieri in quel silenzio.

Per me quell’isolamento è stato un traguardo fondamentale, visto che da ragazzina mi ero sentita strappata dal mio paesino (Gabbro, frazione di Rosignano Marittimo, in provincia di Livorno, ndr), che mi piaceva tanto. La scelta è stata un po’ casuale. Il posto era bellissimo e io e Gerry (Gerry Manzoli, suo marito, bassista e paroliere, ex componente dei Camaleonti, ndr) abbiamo deciso di trasferirci qui. La natura è potente, per me che la amo e che la cerco sempre, questo è un luogo giusto. Ed è abitato dal silenzio e da un distacco dalle cose che mi aiutano a stare meglio, a pensare in modo diverso. Abbiamo gli animali intorno e si vede anche il mare che è importante per me. L’energia che prendo qui è molto forte. Sono tornata alla Toscana, alla campagna della mia infanzia. È il cerchio di Thomas Elliot: “E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta”.

Perché ti hanno chiamata Nada?

Mia madre mi raccontò che una zingara, leggendole la mano, disse che le sarebbe nata una bambina che avrebbe viaggiato e avuto successo. Il nome della zingara era Nada. Per questo mi chiamò così. Non so se sia vero. Mi piace pensarlo.

Che bambina eri?

Mamma vendeva polli in piazza, papà faceva il contadino e per diletto suonava il clarinetto. Ero una bambina taciturna, con sbalzi di umore: dall’agitazione alla tristezza profonda. Leggevo… Tutti andavano a letto e io rimanevo sola in cucina a leggere. Mi piaceva l’inverno perché giravo per la strada e non incontravo nessuno. D’estate stavo seduta all’ombra fresca degli alberi insieme alle vecchie del paese che ricamavano, raccontavano storie, sbucciavano patate.

Ti piaceva cantare?

Non ci pensavo proprio. Mio padre mi portava in giro con sé e ricordo quanto mi dava fastidio dovermi esibire alle feste di paese e in ogni occasione possibile, perché ero quella che canta bene. Questo mi faceva diventare scontrosa, prepotente.

Debutti nel 1969 a Sanremo con la canzone che ti cambierà la vita: Ma che freddo fa. Nel 1971 vinci il festival con Il cuore è uno zingaro. I dischi venduti a milioni di copie. La crisi. Un successo per cui non eri preparata?

Come si fa a essere preparati al successo a 16 anni? Mi sono trovata a vivere cose più grandi di me, che non capivo, era troppo presto. Le cose si dovrebbero avere quando si sanno gestire. Mi davano canzoni, le imparavo e facevano il botto. Non ero pronta, non capivo nulla, non mi piaceva, non volevo più cantare. Mi sembrava tutto fasullo. Volevo smettere. Andarmene dall’Italia, andare negli Stati Uniti.

Invece è arrivato l’incontro con Piero Ciampi, la sua vena anarchica, il suo andare controcorrente in maniera così vitale.

Un poeta come pochi, almeno nel mondo della musica sospesa fra i Festival di Sanremo e qualcosa che non si riesce a definire bene, per cui si usa il termine ‘d’autore’. Era il 1972. Con Ciampi si è aperto un mondo e da lì ho cominciato, ho fatto cose più o meno giuste, sempre alla ricerca di qualcosa, anche se non era facile per me riuscire a fare quello che volevo, dopo quello che ero diventata nell’immaginario dei discografici e degli addetti ai lavori. Abbattere certe cose è stato piuttosto difficile. Il mio percorso, però, è cominciato lì. È da lì che ho cominciato a dire: “o faccio le cose fino in fondo o non le faccio”. A scavare, sperimentare, scrivere, conoscere.

Con Ciampi, hai registrato un album visionario: Ho scoperto che esisto anch’io, del 1973.

Lui capiva il mio stato d’animo, mi sosteneva nella disillusione verso lo star system e il business della musica. Era perfetto per farmi rompere tutto e ricominciare. E poi mi faceva scoprire un mondo meraviglioso di adulti molto creativi. Era amico di Carmelo Bene, del pittore Giulio Turcato, di intellettuali, artisti, registi. Io ero stupefatta, ero giovanissima, pendevo dalle labbra di tutti, ma allo stesso tempo assorbivo tutto come una spugna.

La bambina che non voleva cantare, cosa vuole oggi?

Cantare. Ho ritrovando nella musica la mia ragione di vita quando ho cominciato a scrivere le mie canzoni.

Il 17 novembre è il tuo compleanno. Festeggerai?

Non festeggio i miei compleanni da una vita, non perché non voglio dire la mia età, anzi ne sono fiera perché lì c’è la mia storia, ma perché non mi sono mai sentita un’età. Posso dire di non essere mai stata giovane e ora non mi sento vecchia. Non dò peso all’età, al tempo che passa, al cambiamento fisico. All’aspetto fisico non ho mai dato importanza, neanche da ragazzina, quando ero più bella, e me lo dicevano pure. La bellezza per me è un’altra cosa: è la persona.

Come ti vedi nel 2033?

Mi piacerebbe diventare vecchia come un’indiana navajo piena di rughe, ferma sotto il sole a osservare il mondo: in un attimo guardare tutto con compassione.

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