C’è qualcosa di profondamente inquietante nella semplicità apparente. È lì che Nando Crippa si muove con precisione chirurgica, scavando nel quotidiano fino a mostrarne la natura ambigua e frammentata. Con ENIGMA, mostra personale ospitata da Ceravento, l’artista lombardo propone un viaggio dentro un universo solo in apparenza lineare: fatto di microstorie visive, miniature di persone, colori controllati e vuoti che parlano.
Circa quaranta opere su carta e una serie di sculture in terracotta dipinte, molte delle quali inedite, compongono un percorso che è al tempo stesso intimo e collettivo. Crippa attinge al flusso incessante delle immagini globali – fotografie, riviste, web – per ricomporre un villaggio dell’ordinario dove tutto sembra familiare, ma nulla è rassicurante. Ogni figura ritratta, ogni volto colto nel silenzio del piccolo formato, porta con sé una domanda sospesa.
“A chi gli domanda cosa significano le sue opere,” scrive Giacinto Di Pietrantonio, “Crippa risponde che non gli piace spiegare il Pensiero dei suoi lavori.” Ma questa ritrosia – ci avverte – è più una posa strategica che un reale silenzio. Una soglia da oltrepassare con cautela, per non prendere alla lettera ciò che viene detto, ma per guardare più a fondo: al colore, alla misura, al rapporto tra pieno e vuoto, tra spazio e tempo. È da lì che nasce l’enigma.
Il cuore pulsante della mostra è proprio questa tensione tra ciò che si mostra e ciò che si sottrae. Le opere non si spiegano, ma si offrono allo sguardo come problemi visivi, da contemplare con lentezza. Le figure di Crippa – non posano, non sono lì per essere ritratte. Sono presenze trovate, recuperate dall’immaginario collettivo e ripensate con rigore. Eppure, nella loro fissità, generano movimento: quello del pensiero, della riflessione, dell’interrogazione.
Le sculture, dai toni terrosi e accesi, sembrano emergere da un tempo indefinito. I disegni, tutti di piccole dimensioni, richiedono uno sguardo ravvicinato: osservare diventa un atto di cura, una forma di ascolto silenzioso. Non c’è compiacimento estetico, ma un’ironia sottile che attraversa i volti e i corpi, lasciando filtrare domande antiche: chi siamo? da dove veniamo? dove stiamo andando?
Il testo critico di Di Pietrantonio non accompagna semplicemente le opere, le interroga a sua volta, evidenziando l’approccio multidisciplinare di Crippa, la sua capacità di tenere insieme architettura e pittura, scultura e memoria. Il risultato è un corpo di lavoro che non si piega alla logica della spiegazione, ma che chiede presenza, attenzione, tempo.