L’Arsenale è un cantiere aperto, vivo. La prima impressione che ci arriva da questa 19esima Mostra Internazionale di Architettura è quella di un progetto non solo estetico ma di sostanza. Lo capisci dalla gente che la visita (qui la “fauna” è diversa da quella della Biennale Arte: meno eccentricità e più studiosi) e soprattutto per la modalità in cui la mostra stessa è presentata: le didascalie, i pannelli e le spiegazioni abbondano. “Intelligens. Natural. Artificial. Collective” (che apre al pubblico da sabato 10 maggio e sarà visibile fino al 23 novembre) è la “creatura” di Carlo Ratti, ingegnere, direttore del Senseable City Lab del MIT di Boston, docente del Politecnico di Milano e archistar che non ha bisogno di troppe presentazioni.
Se per decenni la progettazione architettonica ha cercato di rispondere alla crisi climatica con la “mitigazione”, cioè, cercando di ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente, oggi – ci ha detto Ratti – questo approccio non è più sufficiente. «Non dobbiamo costruire più, dobbiamo trovare soluzioni alternative». E ancora: «Stiamo vivendo nell’età dell’adattamento: le condizioni climatiche ci costringono a ripensare nuovi modi di vivere e abitare».

Girando tra gli enormi spazi delle Corderie dell’Arsenale e tra i padiglioni, sparsi tra i Giardini, e una miriade di palazzi e spazi sia pubblici che privati della Serenissima di cui è impossibile elenco completo (questa è infatti una Biennale Architettura “diffusa”) si capisce come architetti, urbanisti, sociologici, filosofi e agricoltori provino a immaginare il futuro.

Fil rouge di questa Biennale Architettura, perlomeno della mostra centrale (la cui visita richiede almeno un paio d’ore), è l’intreccio tra scienza, tecnologia e design. Nella sezione Natural Intelligence, ad esempio, vediamo il progetto firmato da Sonia Seneviratne e David Bresch, in collaborazione con la Fondazione Cittadellarte Onlus di Michelangelo Pistoletto e Transsolar, che esplora gli effetti estremi del cambiamento climatico attraverso inondazioni artificiali e vortici d’aria rovente. Non molto distante, spicca The Other Side of the Hill, guidato da Geoffrey West, Roberto Kolter, Beatriz Colomina e Mark Wigley, che indaga l’impatto del declino demografico e delle comunità microbiche sul consumo di risorse, con il design di Patricia Urquiola.

Si ragiona sulle tecniche ma anche sui materiali: il progetto Matter Makes Sense abbraccia sperimentazioni su materiali innovativi (anche la fibra di banana!). Evidente, nell’impostazione di Carlo Ratti, come il titolo “Intelligens” presupponga una collaborazione tra diversi saperi e intelligenze: ci sono quindi sì, e in abbondanza, progetti legati all’AI, ma non solo. Il concetto stesso di “artificiale” in questa mostra che vede – record per la Biennale – il contributo di oltre 750 partecipanti, è parecchio interessante: lo osserviamo in certi progetti di edilizia, ad esempio, in cui uomo e robot possono lavorare insieme e uno degli obiettivi di questa biennale è diventare collettore di possibili progetti per un futuro migliore.
E per chi dice che l’Architettura è fredda e non emoziona, il suggerimento è di visitare, ad occhi chiusi e cellulare off, l’installazione immersiva de visionario artista e musicista Jean-Michel Jarre, realizzata con Maria Grazia Mattei, direttrice del MEET Digital Center di Milano.

E in tutto questo, come si comporta il Padiglione Italia? Assai bene. L’architetta romana Guendalina Salimei, che per la sua visionaria opera di riqualificazione del quartiere periferico del Corviale, a Roma, aveva ispirato il film con Paola Cortellesi “Scusate se esisto!”, ha concepito il progetto “Terrae Aquae. L’Italia e l’intelligenza del mare”, un modo originale di ripensare il nostro Paese provando a ridisegnare i tanti chilometri di costa. Per farlo, nei mesi scorsi, ha lanciato una “open-call” utile a “guardare l’Italia dal mare”, ripensando così le aree portuali, i lidi, i fari, le coste, cui hanno aderito 600 partecipanti.

Li vediamo in mostra in un allestimento ben riuscito nel Padiglione ospitato all’Arsenale alle Tese delle Vergini: ci sono progetti realizzati e ricerche strutturate in accademie o enti culturali, altri che sono meri disegni o “visioni”, alcuni firmati da studi affermati, altri da giovani architetti o studenti. Il risultato è quello di un padiglione per nulla criptico o “in architettese”, ma comprensibile a chiunque voglia spenderci del tempo al suo interno. La chicca che abbiamo apprezzato: la struggente narrazione fotografica di Luigi Filetici alle pareti e le incursioni artistiche, ben disseminate nell’ampio spazio, di Thomas De Falco e Agnes Questionmark, di Marya Kazoun e Alfredo Pirri.