No Other Land: resistenza e lotta sotto il cielo di Masafer Yatta

Nel deserto pietroso della Cisgiordania, dove la luce si frantuma sulle rovine di case demolite, Basel Adra, attivista palestinese, e Yuval Abraham, giornalista israeliano, viaggiano su una macchina tentando di raggiungere un villaggio di Masafer Yatta, in cui l’esercito israeliano sta demolendo dimore su dimore di famiglie palestinesi obbligandole a uno sfratto forzato e violento. Documentare quei momenti è complesso, significa rischiare di farsi arrestare, colpire, strattonare, o sparare. Non c’è una soluzione semplice, ma i due attivisti e giornalisti seguono con coraggio le tracce della distruzione, inseguendo una verità che spesso viene soffocata dal rumore della propaganda e dalla polvere sollevata dai bulldozer. 

Le strade sterrate sembrano ferite aperte nella terra, e ogni curva può rivelare un checkpoint, una pattuglia, un posto di blocco. Le targhe delle auto distinte, verdi per i palestinesi, e gialle per gli israeliani, non rende semplice la circolazione. Ogni notte i coloni escogitano nuovi piani, nuove sistematiche demolizioni delle abitazioni palestinesi. Quelle terre faranno spazio a nuove zone di addestramento militare che vanno a costruirsi su case, scuole, centri abitati di chi vuole solo vivere in pace in casa propria. “Perché dovrei vergognarmi? È la legge”, afferma un soldato israeliano. Ma i resistenti palestinesi non si lasciano abbattere. Rispondono, manifestano ma soprattutto ricostruiscono, ancora e ancora. 

Diretto, scritto, montato e prodotto da un collettivo israelo-palestinese – Basel Adra, Yuval Abraham, Rachel Szor e Hamdan Ballal – No Other Land, disponibile in streaming su MUBI, è un atto di resistenza formale e umana, un’opera che si fa corpo e voce di un conflitto che troppo spesso è ridotto a cifra statistica o al silenzio diplomatico. Il documentario, premiato con l’Oscar al miglior documentario nel 2025, nasce dall’urgenza — etica, politica, esistenziale — di raccontare ciò che troppo spesso viene relegato ai margini dell’inquadratura mediatica. La pellicola segue per quattro anni la vita di Basel Adra, attivista e giornalista palestinese, documentando la demolizione sistematica delle dimore del villaggio di Masafer Yatta da parte dell’esercito israeliano, un’area rurale della Cisgiordania meridionale minacciata da anni di sfratti, demolizioni e militarizzazione. 

Il documentario testimonia anni di resistenza non violenta da parte degli abitanti di Masafer Yatta, costretti da decenni a vivere sotto norme ingiuste che negano loro i diritti fondamentali. Dopo una battaglia legale durata 22 anni – i palestinesi si rivolgono alla giustizia israeliana che ovviamente si pronuncia a favore dell’esercito – la sentenza definitiva ha autorizzato la demolizione dei villaggi, operazione condotta con l’intervento dell’esercito israeliano e con la violenza dei coloni.

A dare voce all’oppressione subita dalla comunità palestinese sono anche le immagini raccolte nel corso di vent’anni dalla famiglia di Basel e dai suoi vicini, mentre protestavano contro gli espropri subendo arresti, violazioni e violenze. Le riprese si alternano tra scene di vita quotidiana, ricordi del passato, il lirismo del paesaggio e la brutalità della guerra: bulldozer che inghiottono case, soldati che irrompono nei cortili, bambini che giocano tra le macerie.

Ma ridurre il film a una cronaca o a un reportage sarebbe tradirne la portata: No Other Land è un poema visivo costruito sulla tensione costante tra l’urgenza del presente e la memoria che affiora. Il linguaggio visivo — asciutto, reale, struggente — si intreccia a narrazioni e storie di corpi, volti, famiglie. L’intimità disarmante con cui Basel filma la propria terra che scompare sotto i cingoli — e con essa la propria infanzia, i propri legami — fa del film un atto di amore e lutto, di presenza e perdita. È impossibile non rimanere turbati dal rapporto che si instaura tra Basel e Yuval, giornalista israeliano e co-regista del film. La loro amicizia, segnata dalla radicale asimmetria dei loro privilegi, diventa il cuore etico dell’opera: da un lato una persona che può muoversi liberamente, dall’altra una persona che, come tutti gli abitanti di Masafer Yatta, non può lasciare la Cisgiordania. Il risultato è un campo magnetico che espone le tensioni della coesistenza, ma anche la possibilità di una visione condivisa, vulnerabile e lucida. I loro sguardi non si annullano, si confrontano; non cercano la neutralità, ma la verità, che in questo film è sempre relazionale, mai assoluta. 

No Other Land è un film che brucia, che accompagna lo spettatore in un viaggio senza catarsi, ma non senza speranza. Perché in fondo, dietro ogni rovina, resta la possibilità del racconto. E raccontare, qui, è già un atto di resistenza.

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