Papa Francesco (17 dicembre 1936 – 21 aprile 2025) è stato tante, tantissime cose insieme. Tra queste, anche il primo Pontefice della storia a visitare la Biennale d’Arte di Venezia. È accaduto quasi un anno fa, il 28 aprile del 2024 e Francesco, che già non era in ottime condizioni fisiche ma si muoveva in carrozzina, aveva voluto visitare a tutti i costi il Padiglione Vaticano per il quale aveva anche scelto il titolo “Con i miei occhi”. Il progetto, seguito dall’illuminato cardinale Tolentino de Mendonça, commissario del Padiglione e a capo del Dicastero della Cultura e dell’Educazione del Vaticano (di lui abbiamo parlato anche in questa occasione), presentava i lavori di nove artisti contemporanei (tra cui anche il nostro Maurizio Cattelan) realizzati tra le mura del carcere femminile della Giudecca, in un percorso artistico che, per il volere dei curatori Bruno Racine, direttore e ad di Palazzo Grassi-Punta della Dogana, e di Chiara Parisi, direttrice del Centre Pompidou-Metz, aveva coinvolto attivamente anche le ospiti della casa circondariale, chiamate a fare da guida a noi visitatori (per chi, e noi siamo tra questi, ha visitato il padiglione alla Giudecca, l’esperienza resta indimenticabile). La visita del papa alle detenute e la riflessone sull’arte «che non deve scartare nessuno» restano uno dei momenti più alti della sua riflessione sull’arte contemporanea.
Le parole del Papa saranno da guida anche al Padiglione Vaticano della Biennale Architettura alle porte: anche in questo caso, con il cardinale Tolentino a commissariare il padiglione, il progetto ha un forte valore sociale. Nel Complesso di Santa Maria Ausiliatrice, che già fu ospedale e poi scuola, arriva dal 10 maggio e fino al 23 novembre “Opera Aperta”, il padiglione curato da Marina Otero Verzier, giovane e pluripremiata architetta spagnola, e da Giovanna Zabotti, direttrice artistica di Fondaco Italia e già curatrice del Padiglione Venezia in Biennale. Accoglierà gli interventi dello studio della messicana Tatiana Bilbao e del collettivo catalano MAIO Architects, «specializzati in costruzione responsabile e cura collettiva».

Ha detto il cardinal Tolentino: «Sarà un padiglione-parabola. Mentre si riparano muri e si sistemano i dettagli architettonici dell’edificio, si ripareranno anche le relazioni di vicinato, ricostruendo simultaneamente lo spazio fisico e lo spazio sociale. Il nostro desiderio è che questo padiglione possa dare espressione concreta, nel campo dell’architettura, alle intuizioni profetiche contenute nell’enciclica “Laudato si’” di papa Francesco». Durante il periodo della Biennale Architettura, infatti, la chiesa del complesso sarà restaurata da un team di esperti che coinvolgeranno anche la comunità locale: all’interno dei grandi spazi di Santa Maria Ausiliatrice saranno aperte stanze con strumenti musicali, aperte ai giovani artisti, e una mensa attivata da una cooperativa sociale seguendo l’idea che l’arte possa rigenerare il tessuto sociale della città.
Papa Francesco apprezzava dell’arte la capacità di sapere essere “evangelizzatrice” immediata: lo abbiamo visto pregare e riflettere in silenzio, lo scorso inverno, all’inizio del Giubileo, davanti a “La Crocifissione Bianca” di Marc Chagall, esposto al Museo del Corso di Roma. L’opera, che era eccezionalmente giunta in prestito dall’Art Institute of Chicago, raffigura una crocifissione in cui Gesù, posto al centro della composizione, è avvolto in uno scialle di preghiera ebraico (il tallit) e senza la tradizionale corona di spine. Attorno alla croce, molte scene richiamano la violenza subita dal popolo ebraico, come la sinagoga in fiamme e i villaggi distrutti.
In alto, non svettano angeli, ma uomini e donne disperati: drammatica anche la barca di profughi sul lato sinistro del quadro e significativa la presenza della Menorah, il candelabro ebraico, e del rotolo della Torah. Marc Chagall (1887-1985), artista russo di origine ebraica, dipinse questo olio su tela all’indomani di uno dei momenti più terribili della violenza antisemita ad opera dei nazisti, dopo la Notte dei Cristalli tra il 9 e il 10 novembre del ’38, che segnò un’escalation irreversibile di odio contro gli Ebrei in Germania. Papa Franceso ha più volte sottolineato la potenza simbolica di questo dipinto, che stimola a riflettere, soprattutto oggi, sull’importanza dell’unità delle religioni in difesa della dignità di ogni individuo.

E quando, lo scorso 16 febbraio, papa Francesco, per motivi di salute, non aveva potuto presenziare al Giubileo degli Artisti che tanto fortemente aveva voluto, il testo preparato e letto per l’occasione dice chiaramente quanto il Pontefice fosse convinto del valore intrinseco dell’arte, inclusa quella contemporanea: «L’arte non è un lusso, ma una necessità dello spirito. Non è fuga, ma responsabilità, invito all’azione, richiamo, grido».
Per noi che ci occupiamo di arte tutti i giorni, al di là di ogni credo e religione di appartenenza, vale la pena rispolverare il Francesco-pensiero (si trova nel volume edito da Mondadori, uscito dieci anni fa, “La mia idea di arte”): «I musei devono accogliere le nuove forme d’arte. Devono spalancare le porte alle persone di tutto il mondo. Essere uno strumento di dialogo tra le culture e le religioni, uno strumento di pace. Essere vivi! Non polverose raccolte del passato solo per gli “eletti” e i “sapienti”, ma una realtà vitale che sappia custodire quel passato per raccontarlo agli uomini di oggi, a cominciare dai più umili».


