Nella storia del buffone Rigoletto (che da un lato asseconda con malizia i capricci del Duca di Mantova e dall’altro vuole proteggere a ogni costo la figlia Gilda) si intrecciano temi eterni quali la passione, il tradimento, l’amore, l’odio e la rivalsa, esaltati da arie immortali come «Caro nome», «Cortigiani, vil razza dannata» e «La donna è mobile».
L’Arena di Verona Opera Festival presenta il quinto e ultimo titolo della sua 102ª edizione, “Rigoletto” di Giuseppe Verdi, prima delle opere che formano la cosiddetta Trilogia Popolare del compositore di Busseto.
Il protagonista dell’opera verdiana è Rigoletto, buffone alla corte del Duca di Mantova, che assolda un assassino per vendicarsi del suo padrone, reo di avergli sedotto e poi abbandonato la figlia, Gilda. La ragazza, che si è però sinceramente innamorata del Duca libertino, decide di salvarlo, trasformando l’agognata vendetta del padre per l’onore tolto a lei e gli anni di vessazioni che lui ha subito, in una tragedia.

La regia di Ivo Guerra, con le scene di Raffaele Del Savio, riprende molti degli elementi del territorio mantovano. L’impianto è meravigliosamente tradizionale, con il Castello di San Giorgio, ora parte del Palazzo Ducale di Mantova che incombe su una scena fatta di marmi, affreschi ed elementi naturalistici che richiamano il fiume Mincio. I costumi rinascimentali di Carla Galleri e l’impianto luci di Claudio Schmid contribuiscono a dare tridimensionalità e realismo alla scena e a riportare in vita la Mantova del Cinquecento.
Le scene e i costumi tradizionali sono di grande effetto, ma sicuramente la serata mette in risalto il canto e gli artisti, più che la messa in scena, avendo la fortuna di potersi affidare a molte voci di grande esperienza e talento.
Pene Pati, tenore samoano al debutto in Arena, è un Duca di Mantova affascinante, un sovrano assoluto che conosce il suo potere e sa che esso non ha limiti. Il timbro morbido e ricco di sfumature rende coinvolgente la sua interpretazione di “Parmi veder le lagrime”, ma sfortunatamente manca di tecnica e dunque la resa delle celeberrime “Questa o quella” e “La donna è mobile” non è eccezionale.

La Gilda di Rosa Feola è, invece, encomiabile per timbro, estensione di voce e resa attoriale. Si esprime al meglio in “Caro nome” e spopola nei duetti con il Duca e il Rigoletto di Luca Salsi. Il baritono parmigiano si dimostra ancora una volta uno dei migliori, se non il migliore, della sua generazione. Il suo è un gobbo tradizionale, con tutte le pecche fisiche descritte dal libretto e nessuna delle attrattive che alcune interpretazioni moderne gli hanno attribuito negli anni, e per questo convince e affascina il pubblico. Durante i tre atti del melodramma, Salsi modula con gran sapienza la voce per rendere al meglio le alternanze emotive del buffone di corte, che ora è un padre amorevole, ora è giullare canzonatore e ora è pieno di disprezzo e odio nei confronti della corte tutta; nella conclusione dell’opera, con il cadavere di Gilda tra le braccia, il suo Rigoletto esprime tutta la sua sorda disperazione.
Pregevole è poi lo Sparafucile di Gianluca Buratto e la performance del coro diretto dal Maestro Gabbiani.

Seppur giovane, il Maestro Michele Spotti dirige l’orchestra con mano sicura, esaltando le emozioni contrastanti che caratterizzano il “Rigoletto” senza mai sovrapporsi alla voce degli interpreti in scena, anzi, dandole risalto, forza e un ritmo incalzante che sottolinea la tensione crescente del dramma e non lascia quasi spazio per gli applausi, ad eccezione di un “Vendetta, tremenda Vendetta!” quasi perfetto, dopo il quale Feola e Salsi hanno concesso un bis a furor di popolo.
Nell’insieme, questo Rigoletto è una più che degna chiusura della stagione lirica areniana, dove le voci e la musica hanno finalmente cominciato a tornare protagoniste indiscusse degli spettacoli.



Fantastica e super.grande👏👏👏👏👏👏👏👏👏
Non ho avuto la fortuna di esser presente ma leggendo l’articolo è come esser stata lì! Complimenti alla scrittura dell’articolo di Valentina Basso.
Complimenti Valentina! 👏🏻👏🏻👏🏻