Finalmente lo vediamo sotto un’altra luce. A Milano, alla Galleria d’Arte Moderna, dove il 2 luglio del 2022 è tornato, al piano nobile di Villa Belgiojoso di via Palestro 16, il Quarto Stato, celebre manifesto progressista, simbolo universale del riscatto del popolo per difendere i diritti del lavoratore in marcia verso un futuro luminoso. Stiamo parlando di Giuseppe Pellizza da Volpedo, autore del monumentale dipinto di contenuto sociale e capolavoro della pittura italiana, a cui Pellizza lavora dal 1898 al 1901, acquistato nel 1920 dall’intera città con una sottoscrizione pubblica indetta all’epoca dal “Corriere”.
Il capolavoro di Pelizza matura negli anni di scioperi e manifestazioni di rivendicazione dei diritti dei lavoratori, diventato icona nel Sessantotto, che vanta tre versioni, Ambasciatori della fame (1892), Fiumana (1895) e Il Cammino dei lavoratori (1899) e prende il titolo definitivo Quarto Stato dagli scritti di Jean Jaurès sulla Rivoluzione F+ìrancese, studiati dall’artista. La tecnica adottata da Pellizza è divisionista, moderna e scientifica ma l’impianto compositivo dell’opera è classico, ispirato alla Scuola di Atene di Raffaello, analizzato attraverso il cartone conservajufgtto alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, in cui spiccano lavoratori che mostrano un realismo e gestualità “fotografica”, con la resa dei “moti dell’animo” ispirati allo studio psicologico introdotto da Leonardo nell’Ultima Cena nel Refettorio di Santa Maria delle Grazie. L’attenta elaborazione del dipinto di nuovi eroi dotati di forza di volontà di cambiare il mondo e possenza fisica, d’ispirazione michelangiolesca, è documentato da bozzetti e studi, conservati in musei diversi e collezioni private esposti al primo piano della Gam, in Sala Appiani, al fianco del Quarto Stato insieme a bellissimi cartoni preparatori, conservati nei depositi della Galleria Nazionale di Roma, esposti in occasione della mostra monografica dedicata a 40 capolavori dell’artista piemontese da riscoprire per la forza della sua pittura luminosa e vibrante, che va oltre il rigore del divisionismo e la retorica del simbolismo. La Gam, è il museo dell’Ottocento, dove troviamo importanti collezioni di dipinti e sculture richieste all’estero, che rappresentano l’identità culturale di Milano e della pittura italiana.
Vita breve e irrequieta di un grande anticipatore
L’ultima mostra monografica di Giuseppe Pellizza da Volpedo scomparso tragicamente a soli 39 anni, risale al febbraio del 1920 nella Galleria di Lino Pesaro a Milano, e a quasi trent’anni dalla monografica dedicata a Pellizza alla Galleria d’Arte Moderna di Torino nel 1999, lo rivediamo sotto un’altra luce, grazie al nuovo progetto illuminotecnico NEMO, con l’esposizione intitolata “I capolavori Pellizza da Volpedo”, a cura di Aurora Scotti, massima esperta del pittore piemontese e Paola Zatti, Conservatore responsabile Gam coprodotta dal Comune di Milano, realizzata con il contributo di Fondazione Banca Popolare, METS Percorsi d’Arte. L’esposizione è innovativa perché riannoda il vissuto di Pellizza con Milano, e attraversa le fasi della sua ricerca artistica, con opere straordinarie provenienti da importanti musei e istituzioni, esposti seguendo un percorso cronologico, selezionati con cura, e alcuni inediti prestati da molti collezionisti privati.

Ripercorriamo in questa esposizione la vita irrequieta nelle opere di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907), scandita da viaggi, attese, delusioni, frustrazioni, sogni ed aspirazioni di grandezza in cinque sale al piano terra della Gam, partendo dall’apprendistato accademico tra l’Accademia di Brera a Milano, quella di Francia a Roma e l’Accademia Carrara di Bergamo e di Firenze, come allievo di Giovanni Fattori, quando proprio sotto la sua guida intensifica lo studio dal vero. Nella sala dei ritratti quasi fotografici, è indimenticabile l’Autoritratto (1897-1899) dallo sguardo allucinato del giovane pittore. Tutte le opere testimoniano la sua abilità pittorica e la scelta di perfezionare il Divisionismo e scopriamo che Pellizza è stato un instancabile sperimentatore di nuovi linguaggi, con Giovanni Segantini e Angelo Morbelli, con il quale condividerà gli approfondimenti scientifici sullo studio della luce in relazione alla tecnica divisionista. Loro sono i compagni di ricerca di una generazione a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento alla ricerca di nuova sensibilità pittorica, e Pellizza spinto da un personale bisogno di aggiornamento culturale soggiornerà anche a Genova e Parigi.

Dopo numerosi viaggi, tornato a Volpedo, nel suo borgo tra la sua gente torva serenità e il contesto ideale dove dipingere paesaggi emotivi, lirici e introspettivi, in cui matura un taglio luministico personale e intreccia realtà e simbolo. I capolavori in mostra testimoniano il suo rapporto privilegiato con la natura, capace com‘è di cogliere gli organismi più vitali della pianura in pennellate fluide attraverso vibrazioni, l’essenza del paesaggio nella luce filamentosa e colori puri; luoghi dell’anima risolti in soluzioni formali in cui si celebra il trionfo della Natura sull’uomo. La natura si svela nelle sfumature del paesaggio, nell’ambiente, vissuto, osservato e sublimato in dipinti che nascono dalla sua conoscenza del territorio. Sono ipnotici i suoi paesaggi trasfigurati e immersi in una luce diafana che culmina nella fase simbolista, con opere più intimiste, dipinte secondo la rigorosa tecnica divisionista. Il Divisionismo precede il Futurismo, e fu un fenomeno tipicamente lombardo, diciamo milanese, anche se i protagonisti non furono lombardi di nascita, come per esempio il livornese Plinio Nomellini (1866-1943), il piemontese Carlo Fornara (1871-1968).
Questo nuova tecnica, non dimentichiamolo ha radicalmente modificato il nostro modo di percepire la realtà, è maturata a Roma con Giacomo Balla, artista poliedrico e rivoluzionario nella sua capacità di rielaborare le indicazioni dei pointillistes francesi in maniera personale, scegliendo per lo più tematiche urbane, che aprirono la strada a Umberto Boccioni e al Futurismo. Pellizza non ha prodotto moltissimo per due ragioni, primo perché era un perfezionista, e l’elaborazione delle sue opere comportava tempi lunghi di studio, secondo perché si è suicidato a Volpedo, dopo la morte per parto della moglie Teresa, e del figlioletto neonato. All’uomo dall’animo sensibile è crollato il mondo addosso, non ha retto al dolore e ha posto fine alla sua vita nella consapevolezza di avere raggiunto l’immortalità con il Quarto Stato.

Oltre il divisionismo
In mostra scoprirete dipinti folgoranti, di sublime qualità pittorica grazie a pennellate ritmiche, racchiuse in composizioni vibranti e luminose, giocate sul controluce, incastonaste in un eterno presente che vanno oltre il tempo, perché sono cariche di riflessioni sul mistero della vita che la natura racchiude e protegge. Sono indimenticabili le sue opere – apparizioni emerse dall’oscurità dipinte en plein air, come quelle del periodo divisionista (1892-1994), in cui spicca Speranze deluse (1894), un olio su tela caratterizzato da pennellate filamentose che cambiano forma, picchiettate in alcuni punti, virgole, linee irregolari in cui i colori primari, stesi puri secondo i principi della complementarità ci restituiscono la sensazione “atmosferica” della materia viva della Natura.

Restano impressi nello sguardo le sue tonalità brillanti, alcuni improvvisi squarci di luce, come si vede in Panni al sole (1894-1895). Queste e altre opere dimostrano che Pellizza è andato oltre la tecnica divisionista, condivisa con Gaetano Previati (1852-1920) e Giovanni Segantini (1858-1899), venuto da Trento a Milano e suo amico. A colpo d’occhio capiamo subito che la sua pittura è irradiante, come dimostra Il sole nascente (1904), stupefacente prova di un rigoroso studio dell’ottica, in cui Pellizza raggiunge il massimo dell’espressività della luce, intrecciando realismo e idealismo. È indimenticabile la sua pennellata aggiornata sulle esperienze pittoriche europee maturate nell’ambito della tarda-scapigliatura milanese, importate in Lombardia dal critico, mercante e pittore Victor Grubicy de Dragon (1851-1920), che culmina a Roma durante le passeggiate a Villa Borghese, tra il 1902-1907, con i dipinti dalle pennellate sinuose, in cui la luce è protagonista di paesaggi emozionali, che aprono la strada la a linguaggi più audaci, come il Futurismo.

A Milano sala dopo sala, abbiamo l’impressione di passeggiare intorno a Volpedo, tra le altre opere ammirate in rigoroso silenzio Il ponte (1904), in cui il paesaggio è tratteggiato dalla luce, perché vissuto dal vero nella sua amata campagna piemontese. Per comprendere a pieno quel suo particolare sentimento per e della Natura una trasferta a Volpedo, per vivere le suggestioni di quel borgo fuori dal tempo, immersi in una luce astratta che cambia nelle diverse stagioni e ore del giorno; dove tutto è sublime bellezza di visitare i Musei Pelizza da Volpedo, ideatori di un percorso di chi durante la mostra vorrà avventurarsi dentro i luoghi pellizziani.
Dal museo al documentario, tutto su Pellizza
In mostra alla Gam c’è anche il ritratto a matita di Clemente Bidone, personaggio del gruppo centrale del Quarto Stato, in prestito dalla Collezione Rcs Corriere della Sera, e una riproduzione fotografica del La Rivoluzione siamo noi di Joseph Beuys (1921-1986), realizzata in occasione dell’omonima mostra alla Modern Art Agengy di Lucio Amelio, nel 1971, in cui l’artista tedesco procede verso lo spettatore con la volontà di spronarlo ad unirsi a lui. Questa è un immagine forte che dialoga idealmente con il Manifesto socialista di Pelizza che rappresenta la protesta di un gruppo di lavoratori, in marcia e uniti dalla forza della volontà coesiva del riscatto degli umili, del popolo, messa proprio lì da Gianfranco Maraniello, direttore del Polo Museale del Moderno e Contemporaneo, intellettuale, sempre attento a suggerire diversi sguardi e narrazioni del tempo presente, aprendo lo spettatore a nuove prospettive sul modo di guardare l’arte di tutti i tempi, come prassi di conoscenza.

Il catalogo edito da Dario Cimorelli Editore raccoglie oltre agli scritti di Paola Zatti e Aurora Scotti, quelli di Sergio Rebora che ripercorre la storia dell’acquisizione pubblica del Quarto Stato, ricongiungendo Pellizza a Milano, e di Francesco Guzzetti, incentrato sulla produzione dell’artista piemontese nel contesto storico in cui ha maturato le sue ricerche a cavallo tra Ottocento e Novecento. A mio modesto avviso in questa importante pubblicazione, con regesto delle opere esposte, e una rigorosa ricostruzione biografica dell’autore, manca un saggio specifico sulla funzione della fotografia, non secondaria nella genesi delle opere di Pellizza. Oltre alla mostra alla Gam, segnaliamo che Sky Arte mette in onda Pellizza Pittore da Volpedo, un documentario diretto dal regista Francesco Fei, già autore nel 2016 di quello dedicato a Segantini, ritorno alla natura. La mostra e documentario sono importanti opportunità di conoscenza di un grande pittore che ha operato in rapporto a luoghi e paesaggi naturali, come rivelazione di misteriosi processi dinamici attraverso l’intensità di luce vibrante nel colore; e forse come presagio di eternità.


