«Niente video, per favore. E nemmeno registrazioni. Mi farebbe piacere se chiacchierassimo e basta, lei può prendere qualche appunto se vuole», mi dice Sara Enrico, 46 anni, artista biellese, attiva a Torino, tra poco in partenza per una residenza d’artista in Francia. Voce pacata, di nero vestita, occhialini e understatement sabaudo, Sara Enrico passeggia nel giardino storico della Villa Reale di Milano, alle spalle della GAM Galleria d’Arte Moderna. Per tre mesi, fino al 14 dicembre, cinque suoi interventi punteggiano l’ampio spazio verde: “Under the Sun, Beyond the Skin” è un progetto site-specific, curato da Bruna Roccasalva, che segna la settima edizione del programma Furla Series, realizzato da Fondazione Furla e GAM. Quello che segue è il racconto del nostro incontro.

È la prima volta che, all’interno di Furla Series, una mostra occupa lo spazio esterno del giardino, aprendosi così a nuove possibilità di relazione tra arte contemporanea, paesaggio naturale, visitatori. Questo parco di solito è aperto solo “ad adulti accompagnati da bambini”, lo sapeva?
Non vivendo a Milano, non conoscevo questo spazio. Quando Bruna (Roccasalva, la curatrice ndr) mi ha proposto non un intervento ma una mostra, ne sono rimasta sorpresa. È la prima volta che mi confronto con uno spazio esterno, ma da sempre nella mia scultura indago il legame tra interno ed esterno. Le mie sculture riflettono anche sul ruolo della pelle, come dice il titolo, oltre la pelle stessa: per me il termine corporale non si limita alla mera accezione umana, ma include la natura, l’architettura circostante.
Non una installazione singola, ma una vera mostra: sono cinque i suoi interventi nel giardino.
Anche nei lavori presentati in altri spazi, penso alle OGR di Torino (nel 2023, ndr) mi piace ragionare su ciò che resta di non detto, su ciò che vive nel territorio di confine. Qui si trattava di dialogare con un edificio presente e molto impattante, come la Villa, ma anche con le presenze naturali. Siamo in un parco, ma è un parco urbano, dentro la città. Una situazione particolare.

Che cosa intende?
Ho lavorato qui sempre accompagnata da una colonna sonora speciale e piacevole: le voci dei bambini e degli adulti che animano il luogo. Sarà interessante capire come il loro sguardo si poserà sulle mie opere. Questi lavori sono una presenza definita ma non invadente, la loro fruizione sarà diversa da quella che accade in galleria o in un museo.
Lei si è specializzata in restauro di dipinti antichi all’Istituto Spinelli di Firenze, in seguito ha realizzato varie opere di arte tessile…
In passato, da piccola, ho anche studiato musica. Ho una formazione eclettica. Non ho studiato scultura, non ho studiato sartoria né moda, ma sono ambiti che mi interessano. Mi interessa soprattutto la trasformazione dei materiali.
Qual è stato il lavoro più sfidante, in questo progetto concepito insieme a Bruna Roccasalva?
Tutto l’insieme è stato sfidante, ma certamente “Carriers”, che usa frammenti del tronco di un bagolaro (un albero monumentale che era caduto durante la tempesta che si era abbattuta su Milano un paio d’anni fa, ndr), è stato impegnativo. Ho recuperato parti del tronco per farle vivere in verticale.

E lo ha fatto grazie a un supporto metallico colorato, mentre nelle sculture della serie “The Jumpsuit Theme”, posizionate sulla terrazza di Villa Reale e nel Tempio d’amore, ha usato il tessuto tecnico delle tute da lavoro, quelle con la chiusura a zip, e vi ha colato dentro del cemento..
Mi interessava creare questo effetto per cui da lontano non si capisce che si tratta di sculture di cemento. Anche la dimensione antropomorfa è appena accennata…
Le sue opere vivono libere nel parco: è preoccupata dalle reazioni dei bambini che, questo giardino, tanto lo animano?
(ride) Affatto, è un’esperienza che mi incuriosisce molto.
Veniamo al lavoro di maggiore impatto visivo di questa mostra all’aperto: “Beyond The Skin”, che è anche parte del titolo della sua personale.
Si tratta di 23 elementi, ricavati da una serie di blocchi industriali di gommapiuma nautica, che ho rivestito con un tessuto tecnico. Questo rientra nel mio interesse per la trasformazione dei materiali: mi piace il fatto che ci sia sempre un sottotesto da scoprire, un non detto che si nasconde sotto la superficie, oltre la pelle, appunto.

I colori accesi sono figli di una “pittura di luce”: li ha ottenuti manipolando una normale tela da pittura sul piano dello scanner mentre la luce del macchinario è in movimento. Lo scanner si trova così a rielaborare tutta una serie di dati che generano nuovi colori: un processo originale.
Un artificio dentro la natura. Parto da qualcosa di molto fisico, come appunto la tela di pittura, per maneggiarlo a livello digitale e poi intervengo sul risultato tornando a una scrittura di forme e di cromie fisiche. Sono toni artificiali, ma sono sottoposti anche alla luce naturale del sole e agli agenti atmosferici. Si genera così un paesaggio nel paesaggio».
Mentre la nostra conversazione volge al termine, arrivano tre oche dal vicino stagno: camminano in fila indiana verso le opere di Ernico. Sullo sfondo, i bambini si arrampicano sui giochi e allungano le mani sulle installazioni. Tutto è vivo, in questa giornata di sole di settembre a Milano.


