La mostra “Peter Hujar: Azioni e ritratti / viaggi in Italia”, in programma al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato dal 14 dicembre 2024 all’11 maggio 2025, segna un momento significativo nella riscoperta di un fotografo il cui lavoro ha attraversato i confini della documentazione per trasformarsi in una meditazione profonda sulla condizione umana. Curata da Grace Deveney, dell’Art Institute di Chicago, e da Stefano Collicelli Cagol, la mostra rilegge il progetto espositivo originario, ampliandolo con un corpus di immagini scattate in Italia, tra gli anni Cinquanta e Settanta, e un’indagine sulle dinamiche della performance artistica nella Lower Manhattan degli anni Settanta.
Peter Hujar (1934-1987), fotografo statunitense, è ricordato per il suo approccio empatico e intimo, capace di trasfigurare i suoi soggetti in una dimensione sospesa tra realtà e introspezione. I suoi ritratti di performer, animali e paesaggi rivelano un’attenzione quasi maniacale per il dettaglio emotivo, che trasforma ogni immagine in un dialogo tra il visibile e l’invisibile. La mostra al Pecci presenta 59 fotografie, incluse 39 dedicate ai protagonisti della performance art nella New York degli anni Settanta, e 20 scatti realizzati durante i suoi viaggi in Italia. Questi lavori permettono di scoprire un lato meno noto del fotografo, offrendo una panoramica sul suo sguardo, sensibile e riflessivo, rivolto al contesto italiano.
La sezione dedicata alla scena artistica di New York rappresenta il cuore pulsante della mostra. Hujar, che viveva nella Lower Manhattan, era circondato da una comunità di artisti, attori e performer che stavano ridefinendo i confini tra arte, teatro e vita quotidiana. La sua collaborazione con compagnie come la Ridiculous Theatrical Company di Charles Ludlam o la psichedelica Cockettes di San Francisco, così come il suo rapporto con l’avanguardia teatrale della Byrd Hoffman School of Byrds di Robert Wilson, ha dato vita a una serie di immagini iconiche che catturano non solo gli spettacoli ma anche i momenti privati dietro le quinte. I ritratti degli artisti, immortalati mentre si preparano o si trasformano nei loro personaggi, sono straordinari per la loro capacità di rivelare l’umanità dietro la maschera, suggerendo una riflessione sui confini tra identità e performance.
Un altro aspetto cruciale della mostra è il dialogo tra la fotografia e la performance. Le immagini di Hujar dialogano con un video di Sheryl Sutton e tre opere di David Wojnarowicz, due figure emblematiche della scena artistica newyorkese, sottolineando il carattere collaborativo e interdisciplinare che definiva l’arte dell’epoca. Le fotografie diventano così non solo documenti di un tempo e di un luogo, ma frammenti di una narrazione più ampia, che esplora i temi della trasformazione, della fragilità e della resistenza.
La sezione dedicata ai viaggi italiani di Hujar introduce una dimensione geografica e culturale che si contrappone, per quiete e lirismo, all’intensità della scena newyorkese. I venti scatti selezionati offrono una visione sfaccettata di un Paese in trasformazione, dal dopoguerra al boom economico. Firenze, Palermo, Sperlonga e Napoli diventano scenari di un racconto visivo che intreccia paesaggi, volti e animali in un dialogo intimo e poetico. Questi scatti rivelano un’Italia osservata con curiosità e rispetto, dove ogni dettaglio – una strada polverosa, un cane randagio, una piazza assolata – diventa metafora di un cambiamento storico e sociale.
Il percorso espositivo, che integra per la prima volta queste due anime della produzione di Hujar, offre una lettura complessa e stratificata della sua opera. Attraverso una fotografia che sfida il confine tra il reale e il simbolico, Hujar ci invita a riflettere sulla natura mutevole dell’identità e sulle relazioni umane. La mostra non è solo un omaggio a un maestro della fotografia, ma un invito a esplorare i territori incerti della vulnerabilità e della trasformazione.



