Podcast revolution: numeri, tendenze e potere culturale di un mezzo in ascesa

Podcast, che passione! A livello globale, siamo nel pieno di una podcast era che continua a consolidarsi e che, facendo sponda con i nuovi media e l’intelligenza artificiale, sta ridisegnando influenza, caratteristiche e potenzialità dello strumento. I numeri parlano chiaro. Partendo dallo scenario internazionale, come riporta Bloomberg, “secondo un rapporto della società di ricerca Owl & Co., l’industria globale dei podcast ha registrato vendite per 7,3 miliardi di dollari l’anno scorso”. Un dato che è il doppio della maggior parte delle stime precedenti, rivelando una straordinaria capacità di monetizzazione dello strumento. La maggior parte dei ricavi proviene dall’advertising, ma una buona quota è generata anche dagli utenti abbonati. 

E in Italia? A fine 2024, Spotify, una delle principali piattaforme di distribuzione di podcast – è utilizzata da un italiano su tre -, ha presentato il suo report di settore. Dallo studio emerge come il consumo di podcast in Italia abbia registrato un aumento degli ascoltatori pari al 40% in più rispetto alla rilevazione del 2023.

Le categorie in crescita nelle preferenze sono business & tecnologia, sport e, soprattutto, true crime, un genere amatissimo e stabilmente nella top 3, insieme a politica & attualità e talk show & interviste. Non a caso, al primo posto del prodotto più ascoltato su Spotify lo scorso anno c’è “Elisa True Crime”,  con un grande seguito anche su YouTube. Al secondo posto si piazza un altro podcast che si occupa di cronaca nera, l’amatissimo “Indagini” di Stefano Nazzi, e al terzo “La Zanzara”.

Vanno bene anche i video podcast, particolarmente apprezzati dalla Generazione Z, con un aumento dell’80% rispetto al 2023. Il 44% degli ascoltatori afferma di ascoltare più podcast rispetto a uno o due anni fa, segno di una fedeltà nei confronti del mezzo in costante crescita. Secondo il Digital Audio Survey 2024 di Ipsos, il 39% della popolazione tra i 16 e i 60 anni, pari a circa 12 milioni di persone, ascolta un podcast almeno una volta al mese.

La ricerca accende un faro sulle caratteristiche di questi appassionati ascoltatori. Secondo i dati, si tratta di un pubblico che i media tradizionali oggi fanno più fatica a interessare e coinvolgere: giovani, con una buona istruzione, consumatori responsabili, attenti alla qualità e ai consigli e non refrattari a eventuali servizi premium a pagamento. Gli ascoltatori di podcast sono anche frequentatori più regolari delle sale cinematografiche e sviluppano una buona connessione con il mezzo: il 62% infatti ascolta il podcast per l’intera durata.

Non si tratta però solo una questione di freddi numeri e ricavi pubblicitari. Il podcast sta diventando una leva di influenza e riesce a incidere sul dibattito pubblico quando si sintonizza su politica e attualità offrendo un taglio più fresco, libero e non mainstream all’analisi dell’attuale. Il potere culturale del podcasting è emerso con forza lo scorso anno durante le presidenziali negli Stati Uniti, che molti hanno ribattezzato proprio come una sorta di “Podcast Election”, complice la partecipazione di Donald Trump, poi eletto presidente, a trasmissioni di grande impatto come The Joe Rogan Experience, il podcast più ascoltato al mondo. 

Tecnologia e tempo soggettivo: il successo on demand di uno strumento flessibile, personale e a basso costo

Un mix di tecnologia, cultura e nuove abitudini sociali: in che modo i podcast stanno cambiando il nostro modo di “ascoltare” e interpretare i tanti aspetti della realtà?

“Quando nasce un mezzo nuovo o avviene una trasformazione di un mezzo esistente -, spiega Gaia Varon, docente di comunicazione radiofonica dell’Università Iulm di Milano, lecturer alla NYU italiana e conduttrice radiofonica –  entrano in gioco aspetti tecnologici, culturali, sociali e legati al panorama mediale complessivo. In questo caso un elemento su tutti ha fatto la differenza: la tecnologia, ovvero la possibilità di ascoltare on demand, scaricare contenuti, seguire feed personalizzati. Senza la rete e le piattaforme, i podcast non esisterebbero”.

Un altro fattore chiave è legato alla trasformazione del tempo sociale. Se la radio tradizionale si fondava su una scansione oraria condivisa da scuola e lavoro, oggi viviamo in un sistema frantumato. “Il podcast – sottolinea Varon – ha saputo ritagliarsi uno spazio nel nuovo tempo soggettivo e flessibile: si ascolta quando si vuole, dove si vuole, anche a pezzetti”. Un successo che è anche una sorta di caratteristica generazionale. “I miei studenti – continua – ascoltano podcast quotidianamente, mentre le generazioni più adulte ci sono arrivate progressivamente, spesso partendo dalla radio. I podcast si adattano perfettamente alle abitudini dei più giovani, abituati a contenuti fluidi, mobili, fruibili in autonomia”.

Non solo. C’è anche una sorta di “convenienza” economica del mezzo. “I generi che funzionano di più – sottolinea Varon – , come reportage, inchieste, documentari, erano spariti dalla radio commerciale, perché troppo costosi. Oggi, grazie alla tecnologia, produrre un podcast costa molto meno, resta da valutare l’aspetto relativo alla qualità dei contenuti”. In un’epoca dominata dall’iperstimolazione visiva, i due strumenti che rappresentano una sorta di resilienza dell’essenziale, come la newsletter e il podcast, appunto, resistono e appaiono più vivi che mai. “Sono strumenti – conclude Varon – che restituiscono centralità all’individuo. Quando ascolto un podcast, o leggo una newsletter, c’è qualcuno che si rivolge proprio a me. È un rapporto uno a uno, basato sulla fiducia e sulla reputazione personale, qualcosa di estremamente importante nell’epoca dell’intelligenza artificiale e delle fake news”.

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