L’arte pubblica è sempre più determinante nella trasformazione dello spazio urbano. Un viaggio nella sua storia, nella sua evoluzione, del suo impatto sulla comunità a partire dal caso più recente: il monumento in marmo realizzato a Pietrasanta da Filippo Tincolini…
L’arte pubblica, nella sua accezione più comune, è ovunque: nelle piazze, nelle strade, nei quartieri periferici. Il rapporto tra l’arte e lo spazio condiviso è un legame antico e profondo, che si è evoluto nel corso dei secoli. In passato, questa relazione si manifestava principalmente attraverso la presenza di monumenti celebrativi, grandi sculture e architetture pubbliche che avevano il compito di commemorare figure di rilievo, eventi storici o ideali collettivi. Questi monumenti rappresentavano la cifra stilistica di un’epoca, un modo di imprimere nel paesaggio urbano i valori e le narrazioni di un’intera società.
Un rapporto che ha avuto un andamento costante per secoli, ma che negli ultimi decenni si è trasformato radicalmente. Il prolificare di installazioni, interventi artistici temporanei, opere interattive e partecipative ha portato l’arte pubblica a diventare un vero e proprio palcoscenico per il confronto, la sperimentazione e il dialogo con la collettività. La città e gli spazi condivisi non sono più solo sfondi statici, ma sono diventati l’arena dinamica in cui si gioca la partita più ampia del contemporaneo. In questo nuovo scenario, l’arte pubblica si configura come uno strumento di riflessione sociale, politica e culturale, capace di coinvolgere attivamente le comunità e di rispondere alle sfide del presente. Questa evoluzione rende l’arte pubblica un elemento fondamentale nel definire l’identità urbana e nel plasmare il senso di appartenenza collettiva, trasformando gli spazi condivisi in luoghi di confronto, innovazione e partecipazione.

A partire dagli anni Ottanta ci sono stati numerosi studi e discussioni sul rapporto tra arte, architettura, pianificazione e progettazione urbana. Questo rapporto si è spostato da una visione separata a una più integrata, riconoscendo l’importanza dell’arte nel plasmare lo spazio urbano e la sua capacità di influenzare la percezione e l’esperienza della città. Si è cioè progressivamente riconosciuto che l’arte può contribuire alla costruzione di un ambiente urbano più stimolante, interessante e accattivante, influenzando la qualità della vita dei cittadini.
Questo cambiamento ha portato a una maggiore attenzione alla progettazione integrata, dove l’arte non è più vista come un elemento separato, ma come un aspetto fondamentale della pianificazione urbana. Il postmodernismo ha contribuito a questo cambiamento, con la sua critica all’estetica rigorosa del modernismo e la sua attenzione alla soggettività e alla pluralità. L’arte, in questo contesto, è diventata uno strumento per esprimere le diverse sfaccettature della cultura, dell’identità e della memoria collettiva. L’integrazione dell’arte nella progettazione delle nostre città ha portato a una maggiore attenzione alla qualità dello spazio pubblico, alla creazione di luoghi di incontro e aggregazione, e alla promozione di un senso di comunità.
Da Spazio a Luogo
In città sempre più svuotate di senso di appartenenza e comunità, popolate da “non luoghi”, il ruolo dell’arte pubblica può essere determinante. L’arte, in questo contesto, non è solo un elemento estetico, ma anche un elemento di socializzazione, di coinvolgimento attivo dei cittadini nella vita della città. Non si tratta più solo di abbellire o decorare gli spazi urbani, ma di trasformarli in veri e propri “luoghi” – spazi di identità, di relazione e di partecipazione. L’arte, in questo contesto, assume una funzione sociale e civica: diventa uno strumento di socializzazione, capace di coinvolgere attivamente i cittadini, di stimolare il dialogo e di rafforzare il senso di comunità. Attraverso interventi artistici condivisi, installazioni partecipative e progetti di rigenerazione urbana, gli spazi anonimi possono essere riconquistati come luoghi di senso, di memoria e di appartenenza.
In definitiva, l’arte pubblica può contribuire a riempire di significato gli spazi urbani, trasformandoli da semplici passaggi o zone di transito in luoghi di incontro, di scambio culturale e di partecipazione collettiva. È un processo che aiuta a ricostruire il tessuto sociale delle città, rendendo gli spazi pubblici non più “non luoghi”, ma veri e propri “luoghi” di identità condivisa e di comunità viva.
Tincolini a Pietrasanta
Particolarmente significativa in tal senso è la recentissima opera realizzata da Filippo Tincolini a Pietrasanta, a margine della mostra “Human Connections“, appena conclusa, ed installata nella centralissima Piazza del Duomo. L’opera intitolata “Spaceman” è un enorme statua in marmo di Carrara di oltre quattro metri che sovverte completamente l’idea del monumento tradizionale. “Immaginate un astronauta che atterra sulla terra non per conquistarla, ma per ricordarci chi siamo” ci racconta Tincolini, “Spaceman non ha volto, non ha nome, non ha bandiera. È un corpo neutro, universale, che cammina tra noi come un santo contemporaneo. Ma dalla sua tuta non escono strumenti di guerra né tecnologie d’avanguardia. Sbocciano fiori scolpiti nel marmo, fragili e potenti. È la natura che riconquista lo spazio. È il simbolo di un’umanità che, dopo aver guardato troppo a lungo le stelle, torna a chiedere perdono alla terra. È la scultura di un miracolo mancato. E forse, il nostro ultimo avamposto poetico”.
L’attivismo lirico dell’arte pubblica
Scegliere di realizzare un monumento non rappresenta solo una scelta formale ma anche una responsabilità etica. Tincolini ha ben presente le sfide ma anche l’importanza della scelta. “L’arte nello spazio pubblico, per me, è una forma di attivismo lirico: ti sorprende mentre porti a spasso il cane, mentre torni a casa, mentre non la stavi cercando”, prosegue l’artista, “Non vuole decorare, vuole disturbare con bellezza, vuole incidere nel paesaggio come una cicatrice luminosa. A Pietrasanta ho trasformato la città in un grande corpo urbano da attraversare, toccare, contemplare. Ogni scultura è un organo, un’idea scolpita che respira nello spazio”.
L’atto di scolpire non è solo un gesto formale o tecnico, ma rappresenta anche un’azione profonda e carica di significato. Il processo di modellare, incidere e scolpire diventa quindi un modo di comunicare, di lasciare un’impronta nel tempo e nello spazio, e di dialogare con chi osserva l’opera. Anche la scelta del marmo è tutt’altro che casuale. Con la sua durezza, la sua lucentezza e la sua storia millenaria, questo materiale assume nuovi significati a seconda del contesto e dell’intento dell’artista.

Richiama la perfezione, la purezza e l’eternità, ma anche la fatica e la pazienza necessarie per lavorarlo. La sua presenza può evocare un senso di solidità e di permanenza, ma anche di fragilità e di transitorietà, a seconda di come viene scolpito e presentato. In questo modo, la scelta del marmo come supporto diventa un gesto simbolico, un modo per conferire all’opera un valore più profondo, legato alla storia dell’arte, alla cultura e alla memoria collettiva.
La combinazione tra il gesto di scolpire e il materiale scelto arricchisce quindi il significato dell’opera, rendendola non solo un oggetto estetico, ma anche un messaggio duraturo e carico di simbolismi. “Il marmo non lo si plasma. Ti concede qualcosa, se lo meriti”, sottolinea l’artista, “È materia antica, testarda, viva. Quando realizzo un’opera monumentale, non sto solo scolpendo un blocco: sto negoziando con la storia, con la montagna, con il tempo stesso. Ogni taglio è una decisione irreversibile. Ogni gesto può essere quello giusto, o l’inizio della rovina. È come dirigere un’orchestra dove il marmo suona la sua musica, e tu devi imparare ad ascoltare prima di comandare”.