È un nuovo barocco digitale quello che Quayola, artista romano di fama internazionale, porta negli spazi di Palazzo Citterio a Milano. Con l’opera Strata #1, recentemente acquisita dalla Pinacoteca di Brera in collaborazione con il Museo Nazionale dell’Arte Digitale, il passato si trasforma in un terreno fertile di sperimentazione tecnologica. La volta barocca della Chiesa del Gesù di Roma diventa palinsesto visivo e viene rielaborata attraverso algoritmi, frammentazioni luminose, dissolvenze che trasformano la grandiosità della pittura sacra in forme astratte e mutevoli.
L’installazione, collocata sul grande ledwall al piano terra del Palazzo, non è un semplice esercizio estetico. È un atto di traduzione culturale: dal linguaggio monumentale del barocco a quello liquido e sfuggente del digitale. Quayola non si limita a riprodurre, ma rigenera. La geometria della volta, i cromatismi e le figure religiose si sciolgono in pattern di luce e colore, mantenendo una traccia riconoscibile, ma costantemente in metamorfosi. Lo spettatore, osservando, si trova in bilico: riconosce qualcosa di familiare, ma non può dominarlo del tutto.
L’effetto è sospensivo e meditativo. La grandiosità barocca, con il suo carico simbolico e la sua teatralità, si scontra con la fragilità delle immagini digitali, che tremano, si spezzano, si dissolvono. In questa frattura si apre un dialogo silenzioso: non più culto del passato, ma risignificazione del presente. L’opera invita a riflettere sulla natura del tempo, sulla sacralità come costruzione culturale e su come la tecnologia trasformi il nostro sguardo sul patrimonio.
Il progetto rientra nella visione del programma Grande Brera, che mira a connettere tradizione e contemporaneità. Palazzo Citterio, destinato a ospitare arte moderna e digitale, si rivela lo spazio ideale per un esperimento che non è soltanto estetico, ma politico: dimostrare che il museo non è un mausoleo, ma un laboratorio vivo. Inserire un’opera digitale in un contesto istituzionale tradizionale è una scelta che decostruisce le gerarchie visive, aprendo nuove genealogie tra decorazione storica e linguaggio tecnologico.
Dal punto di vista tecnico, Strata #1 è costruito con grande precisione. Le animazioni rispettano un ritmo che non aggredisce ma accompagna, le dissolvenze tra luce e ombra mantengono una coerenza interna, i passaggi tra figurazione e astrazione non risultano mai gratuiti. Il video digitale non si presenta come gadget spettacolare, ma come strumento di riflessione. La metamorfosi continua diventa la vera protagonista: le forme che appaiono e scompaiono ricordano che ogni immagine è provvisoria, che il nostro rapporto con il passato non è mai fisso.
C’è anche un lato emotivo che si attiva nell’esperienza. Lo spettatore prova meraviglia nel riconoscere frammenti della volta, ma anche un senso di perdita quando questi si dissolvono. È un gioco di memoria e oblio, di presenza e assenza, che stimola non solo la visione, ma il pensiero. Non nostalgia, ma consapevolezza: ogni incontro con il patrimonio è un atto di riscrittura.
Quayola si inserisce in una tradizione di artisti che hanno affrontato il barocco come sfida visiva, ma lo fa con strumenti radicalmente contemporanei. Il suo lavoro non propone l’immersione spettacolare che caratterizza molte installazioni digitali, bensì una riflessione più sottile, che chiede al pubblico di rallentare lo sguardo, di accettare l’instabilità come condizione estetica.
Naturalmente, restano interrogativi. L’efficacia dell’opera dipende dal contesto: in un museo, il rischio è che la tecnologia venga percepita come intrusiva o decorativa. Inoltre, la distanza tra chi è abituato all’arte digitale e chi non lo è può generare un’esperienza diseguale. Ma Strata #1 dimostra che il digitale non deve essere relegato al ruolo di intrattenimento, può farsi linguaggio critico e poetico.
Con questa acquisizione, Brera ribadisce il suo ruolo di istituzione in grado di custodire il passato e allo stesso tempo di metterlo in discussione. L’opera di Quayola non celebra soltanto il barocco, lo decostruisce per restituircelo come energia viva, capace di parlare al presente. È un nuovo barocco, non fatto di stucchi e ori, ma di pixel e algoritmi: una testimonianza che la memoria non è mai immobile, ma sempre in trasformazione.


