Dopo mostre, film, tributi di ogni genere, arriva ora anche un musical: Frida Opera Musical, la prima opera teatrale musicale al mondo su Frida Kahlo, una delle donne dell’arte più note (nata a Città del Messico nel 1907 e qui scomparsa nel 1954), in collaborazione con il Museo Frida Kahlo “Casa Azul” e il Museo Diego Rivera Anahuacalli di Città del Messico e con il Patrocinio dell’Ambasciata del Messico in Italia.
Debutta al Teatro Arcimboldi dal 30 ottobre al 2 novembre, poi il tour proseguirà dal 7 al 9 novembre a Firenze presso Teatro Verdi, dal 13 al 23 novembre a Roma al Teatro Brancaccio, per concludersi dal 4 al 7 dicembre a Torino al Teatro Alfieri. A interpretare la celebre pittrice messicana sarà Federica Butera, accanto ad Andrea Ortis nei panni anche di Diego Rivera.
A guidare il racconto, in un ruolo simbolico e magnetico, Drusilla Foer che interpreta La Catrina, figura della cultura popolare messicana e metafora della vita e della morte. La regia è di Andrea Ortis, che firma anche il testo insieme a Gianmario Pagano. Le musiche di Vincenzo Incenzo, mentre le coreografie sono curate da Marco Bebbu e i costumi da Erika Carretta. Luci di Valerio Tiberi e Virginio Levrio che cura anche le proiezioni video.
Ne parliamo in questa doppia intervista con Andrea Ortis (classe 1972) e a Drusilla Foer (alter ego di Gianluca Gori, classe 1967).

Andrea Ortis, il regista: “È un inno alla vita e all’arte”
Può raccontarci come ha affrontato questo personaggio così complesso?
Partendo da una verità storica. In una prima riunione bellissima che abbiamo fatto in Messico nel patio di Casa Azul, dove Frida e Diego hanno vissuto un bel periodo della loro vita, l’obiettivo che ci è stato chiesto e che abbiamo condiviso è stato proprio quello di restituire a Frida la verità di Frida, evitando la deriva da merchandising che la figura di Frida sta vivendo in questi ultimi anni. Il pubblico troverà una serie di indagini pittoriche, note biografiche, frasi coerenti e storiche estratte da documenti che abbiamo avuto la fortuna di poter studiare dal vivo proprio a Casa Azul.
Quale linguaggio artistico e teatrale avete scelto?
Direi un mix di linguaggi espressivi che servono proprio per abbracciare a 360° la vita e il messaggio di Frida, che sono complessi e stratificati e che hanno bisogno di più piani di lettura. Quindi ci sono parti che sono cantate, c’è la musica che racconterà intanto il paesaggio messicano, ma anche altri ambienti come quello parigino, oppure quello americano. Il canto è un canto solista e corale con un cast di 26 persone. Un corpo di ballo molto eclettico perché affronta diversi stili. C’è uno studio di coerenza storica sui costumi, oltre 250 costumi di scena. Lo spettacolo di muove tra la potenza del teatro musicale e la forza visiva del mondo pittorico. Si vedranno in scena alcune opere celebri di Frida di cui abbiamo avuto i diritti, verranno proiettate in video, diciamo in una forma molto poetica: Le due Frida (1939). La colonna spezzata (1944), Autoritratto con i capelli tagliati, dipinto nel 1940.

Come racconterebbe lo spettacolo?
È un inno alla libertà di essere e al coraggio dell’arte. È una dichiarazione d’amore alla vita, anche quando fa male. Ecco perché ho scelto Frida, perché nessuno come lei è riuscito ad attraversare le barriere del dolore e ha saputo trasformare la fragilità in potenza creativa. È un racconto che si dipana poi su tre grandi binari. Uno per gli avvenimenti della vita di Frida, la sua biografia drammatica (la polio a sette anni e poi il terribile incidente a 18 sull’autobus nel 1925 che le aveva squarciato il corpo in due), La storia di un amore assoluto, appassionato e tormentato, con Diego Rivera, ma anche di una profonda condivisione di ideali artistici e politici. Un secondo binario per il contesto storico culturale, dal Messico post rivoluzionario al viaggio a Parigi. Ha alle spalle sofferenze di cuore: l’uomo della sua vita, Diego Rivera, le è stato infedele, con sua sorella Cristina, poi, e ora le sta pure chiedendo il divorzio.
La sua cerchia di artisti include personaggi quali Man Ray, Picasso, Dora Maar, Kandinsky, Duchamp e Breton: il poeta surrealista quando vide le sue opere, definì la Kahlo “una surrealista creatasi con le proprie mani” e organizzò per lei una mostra a Parigi, nel 1939. Frida, tuttavia, non si riconobbe mai in quel movimento che reputava troppo intellettuale. “Pensavano che fossi una surrealista, ma non lo ero. Non ho mai dipinto sogni. Ho dipinto la mia realtà”, diceva in proposito. Il percorso artistico di Frida Kahlo fu del tutto originale ed indipendente. Lei metterà in scena le sue radici, il suo Messico, la tradizione. In tutte le opere di Kahlo c’è sempre lei, con il suo corpo ferito. E infine un terzo binario, il binario verticale più introspettivo più intimo più spirituale: è il tema della morte, e nell’immaginario messicano non è una morte dolorosa e addolorata, nera, cupa, oscura. Non è il momento di giudizio, un po’ come la viviamo qui noi. La morte messicana è ironica, è anche autoironica, è materna, ma anche paterna, e sempre cammina vicino alla vita in ogni suo momento. Ha il colore giallo arancio del cempasúchili, dal profumo intenso, il fiore tradizionale per la celebrazione del Día de los Muertos (Giorno dei Morti).

Come nasce l’idea di materializzare La Catrina, portarla in scena come personaggio e affidare il ruolo alla eleganzissima, ironica Drusilla Foer?
Sto passando gli ultimi anni in Messico, e trovo la Catrina dappertutto. Durante il Día de los Muertos (Giorno dei Morti), le persone la rappresentano vestendosi come lei, truccandosi da scheletro e creando decorazioni colorate e allegre. Quindi insieme a Gianmario Pagano, ho pensato che fosse bellissimo questo tipo di materializzazione viva, questo incontro, che noi scansiamo con paura ovviamente. Ma c’è. Venerare la morte con un fasto grandioso viene direttamente dai riti antichi del Messico preispanico. La immortala anche Diego Rivera, nel suo celebre murales Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central (1947), oggi al Museo Mural Diego Rivera di Città del Messico. Una composizione di dimensioni imponenti, fra la folla, fra militari, reduci carichi di medaglie, campesino si scorgono qua e là illustri protagonisti della storia messicana come Francisco Ignacio Madero, il padre della rivoluzione del 1910 raffigurato a mezzo busto mentre proclama trionfante la fine della trentennale dittatura di don Porfirio Díaz.
A dominare su tutti è però l’immagine della Catrina, elegante nel suo abito bianco, e il sombrero ad ala grande tutto impiumato, col suo boa di piume di struzzo attorno al collo che richiama la divinità azteca dalle sembianze di un serpente piumato, Quetzalcólatl: ma è uno scheletro. Cammina impettita, e tiene per mano un piccolo Diego Rivera con indosso un paio di buffi calzettoni gialli a strisce, dietro si vede Frida Kahlo, sua moglie. Con i suoi suoi grandi occhi truccati, l’opera ci ricorda che sulla terra e siamo uguali dinanzi alla morte, alla fine siamo tutti scheletri che camminano. Per rispondere poi alla seconda domanda, Drusilla con le sue grandi capacità interpretative, le sue grandi sfumature, la sua ironia sottile accompagnata sempre da autoironia, rappresentava per me la scelta in assoluto migliore per poter rappresentare questo personaggio centrale dell’opera.

Drusilla: “Sono la muerte, donna allegra che ama il ballo e la tequila”
Drusilla ora tocca a lei. Le chiedono di interpretare la morte. Qual è stata la sua prima reazione?
Fantastico! Catrina è la morte che ama la vita. La morte, nella cultura messicana, non ha una connotazione oscura, lugubre, recriminante e minacciosa, come nella nostra: è vitale, parte integrante della vita, è una signora elegante, gentile, colorata e allegra, simpatica, curiosa. Le piacciono i balli e la tequila. E credo che un po’ soffra del complesso di non essere la vita. E questo mi piace molto. È una morte che cammina sempre al fianco di Frida. E prova in qualche modo a sedurre Frida che ama così terribilmente la vita. Sentivo la necessità di palare del dolore come possibilità, non come ostacolo. Frida rappresenta la ferita trasformata in bellezza. In un tempo come il nostro, dove la condivisione autentica del dolore si è persa, Frida ci invita a guardarlo in faccia e trasformarlo in forza. E trovo che l’ammissione delle nostre fragilità siano sempre dei buoni punti di partenza per diventare più forti, per scalzare la propria visione di sé e sostituirla con qualcosa di più vero.
C’è una parte del testo che sente particolarmente sua?
Cè un monologo che mi piace molto, quando Catrina dice che la morte ama la vita perché la contiene: senza la morte, la vita non sarebbe preziosa. È la consapevolezza della fine che infonde ogni momento che la precede di un meraviglioso significato. Capisci il valore dell’intensità della vita, solo se sai di morire. Più che temerla, quindi, dovremmo esserle riconoscenti. E poi possiamo provare un gran numero di morti e rinascite simboliche. Ci si reinventa di continuo, sia professionalmente che sentimentalmente.

Cosa l’ha convinta della proposta del regista?
Il modo in cui mi ha parlato del progetto mi che mi ha fatto sentire parte di qualcosa di importante. Frida era una rivoluzionaria, è diventata ormai un’icona pop semplificando il suo lavoro e la sua opera, in questi ultimi anni persino un “brand globale” di merchandising: ritroviamo la sua immagine, le sopracciglia folte, i fori nei capelli, su magliette, taccuini, orecchini, tazze, magneti da attaccare sui frigoriferi. Ma dietro tutto questo, accidenti, c’è una storia molto più complessa, e questa Opera musical la vuole far conoscere. Non raccontiamo il mito, ma la verità della storia di questa donna. Le sue fragilità, la libertà di esprimersi, il coraggio di essere se stessa.
Cosa le piace maggiormente di questa artista?
Una grande forza che deriva dalla sua passione per la vita, trasformando quel dolore in bellezza, con schiettezza feroce, a volte crudele, sempre luminosa. I busti ortopedici, ma anche gli abiti sgargianti, i colori, i nastri, i gioielli, i fiori. Un paradigma desueto di bellezza: si ritraeva, persino con una sottile ombra di peluria sulle labbra. Eppure con il suo abito tehuana, i bracciali, le collane, i pizzi diventava una dea azteca. Con le sue opere inneggerà alla vita, anche nell’ultimo dipinto, una natura morta raffigurante dei cocomeri, otto giorni prima di morire, scriverà in rosso sulla fetta centrale:“VIVA LA VIDA”.

Cosa le ha dato La Catrina?
Tantissima vitalità. Un po’ per età, un po’ per circostanze personali e un po’ anche generazionali, in questo periodo della mia vita vengo in contatto spesso con la morte. Alla quale dico:” OK, vieni qui sediamoci sul divano e raccontami quello che mi vuoi far capire”. Credo che oggi abbiamo bisogno di imparare di nuovo a dare un nome alle cose, al dolore, a condividerlo. Frida aveva questa urgenza di rappresentarsi e di comunicare con gli altri. Oggi viviamo in un’epoca in cui la condivisione autentica del disagio è andata un po’ perduta, e forse è proprio questo che dobbiamo recuperare: l’apertura verso gli altri. Tentiamo l’atto più rivoluzionario, di cui sento oggi ci sia una grandissia urgenza: l’ascolto. Ascoltiamoci e confrontiamoci gentilmente. Anche il teatro non dovrebbe essere intrattenimento narcotico, ma un atto civile di condivisione. Un incontro autentico, fatto di emozione, ironia e riflessione.
Cosa potrebbe dire la sua Catrina ai giovani di oggi?
Cari ragazzi, datevi da fare, divoratela questa vita, non vivete all’insaputa di voi stessi. Eh sì, mi piacerebbe proprio che ci fosse una Catrina che aspetta i ragazzi fuori dalle scuole, bardata di tutto punto, proprio come mi ha meravigliosamente vestita Erika (Erika Carretta, la costumista, ndr) a svegliare i ragazzi. Però che nessuno me lo proponga, eh, non posso andare fuori dalle scuole tutti i giorni!

Non è mai stato in Messico, vero?
No, non ancora. Ho trascorso l’infanzia a Cuba, poi ho vissuto un pò ovunque fra Londra o a Parigi, Berlino, Madrid e New York… Ma ora, sì, mi è venuta la curiosità per il Messico.
E dopo “Frida opera musical”, cosa le riserva il futuro?
Mi prenderò 10 giorni di pausa, poi tornerò in tournée con Venere nemica, uno spettacolo che mi sta molto a cuore, che rilegge il mito di Amore e Psiche nella contemporaneità. Indosserò i panni di una dea che stanca dell’Olimpo, condannata a vivere nell’immortalità, decide di vivere tra i mortali a Parigi. La mia carriera si muove in un dualismo artistico tra dei e spiriti.
Cosa è per Drusilla il teatro?
Il teatro è casa mia. È li che mi sento libera, ironica, umana e fragile. Voglio un teatro che non addormenti, ma che accenda. In un dialogo sincero con chi ascolta.


