Nel silenzio maestoso delle sale del Museo del Prado, c’è un dipinto che da secoli affascina critici, studiosi e visitatori: la Madonna della Rosa, capolavoro attribuito a Raffaello Sanzio, il “divin pittore” del Rinascimento. Ma qualcosa oggi cambia, si incrina, si riaccende: un’intelligenza artificiale, addestrata per riconoscere lo stile dei grandi maestri del passato, ha appena acceso un faro su un dettaglio che era sotto i nostri occhi da sempre, e che nessuno aveva davvero osato mettere in discussione. Il volto di San Giuseppe — sì, proprio lui, lì accanto alla Madonna, in un ruolo apparentemente secondario ma visivamente fondamentale — non sarebbe stato dipinto da Raffaello.
Già, avete letto bene. La macchina ha parlato. Ma prima di lanciare accuse o gridare al sacrilegio della storia dell’arte, facciamo ordine.
Il team che ha firmato questa rivoluzionaria scoperta è composto da storici dell’arte e scienziati informatici di diversi atenei europei, guidati dal Dipartimento di Digital Humanities dell’Università di Bologna. Usando una rete neurale artificiale addestrata su migliaia di opere rinascimentali, l’IA ha analizzato ogni centimetro quadrato del dipinto, isolando le pennellate, lo spessore del tratto, l’uso della luce e delle ombre, perfino la micro-tessitura del colore.
E il verdetto è arrivato, implacabile quanto affascinante: mentre la Vergine, il Bambino e San Giovanni Battista mostrano l’inconfondibile impronta raffaellesca — quella grazia morbida, quel senso plastico della figura e della luce, quell’armonia tra gesto e spirito — il volto di San Giuseppe racconta un’altra mano. Più incerta, più accademica, meno audace.
A questo punto il racconto si complica, ma diventa anche molto più interessante. Raffaello, come è noto, non lavorava da solo. La sua bottega era un’officina creativa di livello quasi industriale, dove mani esperte riproducevano, completavano e talvolta reinventavano le intuizioni del maestro. Giulio Romano, Gianfrancesco Penni, e tanti altri allievi e collaboratori si alternavano a seconda dei progetti, spesso firmando in silenzio interi brani pittorici.
L’IA oggi conferma quello che alcuni storici dell’arte avevano solo ipotizzato: che Raffaello avesse lasciato incompleta la figura di San Giuseppe, forse per priorità diverse, forse per la fretta, forse perché già prossimo alla morte prematura nel 1520. E che uno dei suoi allievi, nel solco del suo stile ma senza possederne il genio, avesse completato il volto.
Questa scoperta non è solo una notizia per gli appassionati o per gli accademici. È un punto di svolta, perché ci dice che l’intelligenza artificiale può affiancare lo sguardo umano nella lettura dell’arte. Non per sostituirlo, attenzione, piuttosto per potenziarlo. Perché se il nostro occhio si lascia talvolta incantare, suggestionare dalla fama del nome sull’etichetta, la macchina — priva di pregiudizi, fame di gloria o timori reverenziali — guarda i fatti. Le texture. I dettagli. E nel dettaglio trova la verità.
E allora cosa cambia, oggi, sapendo che quel volto è “apocrifo”? Forse niente. Forse tutto. Di certo, questa rivelazione riaccende una riflessione sul concetto stesso di paternità artistica. Cos’è un’opera di Raffaello? Un dipinto interamente tracciato dalla sua mano? O un progetto ideato da lui, ma completato da altri, sotto la sua supervisione o nel suo nome?
Forse la verità sta nel mezzo. La Madonna della Rosa resta un capolavoro assoluto, uno dei vertici del Rinascimento europeo. Ma oggi, grazie a un algoritmo, la guardiamo con occhi nuovi. E San Giuseppe, silenzioso e un po’ appartato, ci racconta una storia che non sapevamo. O che non volevamo vedere.