Ricordarsi di vivere. Lorenzo Anzini e la morte come metafora di consapevolezza e libertà

Un’esperienza iniziatica che diluisce l’appeal drammatico del Memento mori in un momento di rinascita: ecco la mostra Memento vivi alla Galleria Zamagni di Rimini, a cura di Chiara Canali.

Il protagonista dell’evento, visitabile fino al 29 novembre 2025, è Lorenzo Anzini, riminese, classe 1984, ben delineato nella ricerca estetica da Chiara Canali, curatrice della personale, autrice del testo critico in catalogo, che lo inserisce nella visione di un rito di passaggio, come autore di una dichiarazione di resistenza poetica, il ricordarsi di vivere e di vivere bene, anche in un tempo di guerre, conflitti, disorientamento e incertezza. Sempre dalla lettura del testo in catalogo, Canali identifica il Memento vivi non come una negazione della morte, ma  come il suo superamento. 

Un progetto importante che raccoglie e intreccia, in oltre 50 lavori, i tre principali filoni della ricerca pittorica dell’artista: le Maschere, i Vasoterici (vasi e fiori) e le Balene.

Le Maschere, giusto per offrire una guida al pubblico, potrebbero riferirsi alla danza dialettica tra vero/non vero e detto/non detto che ogni persona porta con sé, nella propria interiorità, oltre lo spazio pubblico della relazione, mentre i Vasoterici alluderebbero alla sostanziale chimica, potenza quasi alchemica, tra elementi naturali e, così, le Balene, alla profondità abissale dell’inconscio umano.

Ad ogni modo, la lettura delle opere di Lorenzo Anzini è di non facile soluzione, ragion per cui è l’autore a rispondere ad alcune domande sul significato profondo che si cela oltre la superficie delle opere.

Anzini, la vita di oggi, contemporanea, è scandita da un tempo della fretta. Qual è il tempo della consapevolezza e, quindi, del Memento vivi?

Memento vivi è l’altro lato della vita. Immagini di vivere nello stupore del riflesso e di perdere le certezze che siamo soliti inseguire, è l’elogio del caos, inteso come condizione astratta, non come consuetudine. Memento vivi è ciò che più diamo per scontato, vivere, appunto.

Culturalmente, essendo occidentali e forgiati dal dogma religioso, siamo guidati a vivere in funzione della remissione dei peccati. Nel Memento vivi, si vive per evitarli a priori.

La differenza – la non omologazione – oggi è molto difficile. Da autore, avverte la possibilità e la forza generativa dell’arte? O tutto è già stato detto?

Io vedo l’umanità compiere sempre gli stessi gesti, pur con “abiti generazionali” differenti, ma credo anche che, per quanto si possano fare cose simili, queste non saranno mai uguali. Prenda come esempio i fiocchi di neve. Nei loro frattali non saranno mai uguali. Se li osserva da lontano sembrano simili, ma, avvicinandosi, noterà le variazioni. Anche nell’epoca della riproducibilità tecnica non si arriverà mai alla clonazione.

Credo che il suo sia un percorso di luce, dalla morte alla nascita. Metaforicamente parlando, quale morte ha attraversato perché arrivasse a percepire quella stessa luce che definisce nella sua ricerca?

Ho attraversato il rischio di morte, quella vera, fisica, quando avevo vent’anni. L’essere sopravvissuto ad una malattia mi ha incoraggiato a guardare la vita dal lato opposto dello specchio. Da adulto, se mi concede il termine, ho vissuto una morte esoterica legata al viaggio iniziatico, vivendo un percorso alchemico molto connesso con il concetto di morte-rinascita. 

Crede che l’arte possa essere una sorta di cammino di redenzione in questa ricerca della luce/illuminazione del Memento vivi?

Potrebbe esserlo se ci si pone questo obiettivo e si cerca di lavorare alla propria grande opera, per citare i maestri alchemici del ‘600, ma non è detto che sia per tutti universalmente così. Prima di tutto, credo che l’arte debba rappresentare un luogo di libertà, la destinazione è a discrezione dell’artista.

Qual è il simbolo più forte della sua arte così potentemente metaforica? 

Mi creda, faccio fatica a riassumere la mia ricerca estetica in un simbolo solo, ma ammetto che, dal momento che non ho paura della morte, il teschio mi sia molto affine.

Non c’è nulla di più democratico della morte, appartiene a tutti e tutti dobbiamo confrontarci con essa. Alcuni la temono, comprensibile, ma c’è la possibilità di poterla cavalcare attivamente e non passivamente, di raccogliere da essa una fonte di senso per la vita.

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