In un momento in cui il dibattito sul design rischia spesso di esaurirsi tra l’immagine patinata e la serialità autoreferenziale dell’oggetto, il documentario La casa di Cini Boeri di Maddalena Bregani si impone come un gesto di necessaria profondità. Non un omaggio celebrativo, ma un atto di ricostruzione intima e puntuale del percorso di una progettista che ha fatto della libertà uno spazio abitabile. Proiettato mercoledì 9 aprile alle ore 20 presso l’Anteo Palazzo del Cinema, l’opera si inserisce nel programma della Milano Design Week 2025 con una voce dissonante e lucida, capace di restituire alla figura di Cini Boeri (1924–2020) la complessità e la forza che le spettano.
Prodotto da The Blink Fish, scritto da Bregani insieme a Stefano Santamato, e realizzato in collaborazione con l’Archivio Cini Boeri e con il patrocinio del Comune di Milano, il documentario compone un ritratto narrativo che alterna sopralluoghi nei luoghi della vita e del lavoro dell’architetta, interviste, materiali d’archivio e testimonianze di chi ha incrociato il suo pensiero, il suo modo di costruire, di progettare, di abitare.

Il titolo – La casa di Cini Boeri – si offre da subito come una chiave di lettura duplice: da un lato è l’abitazione reale, quella milanese, luminosa e aperta alla città, in cui Boeri ha vissuto attraversando le stagioni della vita; dall’altro è la metafora di un’idea abitativa radicalmente alternativa a quella imposta dal modello borghese dominante nel secondo dopoguerra. Una casa flessibile, ironica, mobile, costruita su misura per persone reali: per donne sole, famiglie in trasformazione, ragazzi in cerca di autonomia, corpi in movimento.
Attraverso un percorso visivo che tocca gli interni domestici così come le architetture immerse nel paesaggio – dalla “Casa Bunker” dell’Isola La Maddalena alla “Casa nel Bosco” di Osmate – il film ricostruisce la coerenza di una visione progettuale integrata, in cui architettura, interior design e oggetto industriale non sono compartimenti separati, ma tasselli di un’unica idea di abitare.
I contributi delle voci coinvolte nella narrazione confermano la portata internazionale dell’eredità di Boeri: Hans Ulrich Obrist, Chiara Alessi, Rem Koolhaas, Paola Antonelli, Petra Blaisse, Ludovico Einaudi, oltre ai tre figli Sandro, Stefano e Tito Boeri. Le loro parole non costruiscono un monumento, ma una conversazione viva, capace di restituire il carattere aperto, dialogico, mai autocelebrativo del suo lavoro.
Boeri si forma al Politecnico di Milano, lavora con Gio Ponti, collabora con Marco Zanuso, e nel 1963 apre il proprio studio, imponendosi in un contesto professionale fortemente maschile. La sua progettualità, tuttavia, non assume mai toni rivendicativi: è l’opera stessa a dimostrare l’autonomia del gesto, la concretezza della visione. Tra le sue icone di design – tutte documentate nel film attraverso immagini e disegni d’archivio – spiccano il divano “Serpentone” (1971), il sistema “Strips” (1972), la poltrona “Ghost” (1987), le lampade “Papero” e “Lucetta”, oggetti che non temono il gioco, l’ironia, la trasformazione. Una visione del progetto che oggi, più che mai, risuona attuale.
Centrale nel documentario è anche il lavoro dell’Archivio Cini Boeri, nato nel 2023 su iniziativa dei nipoti Giulia e Antonio Boeri, con la cura di Cristina Moro, autrice del volume Con assoluta autonomia (Electa, 2024). Un archivio pensato non solo per conservare, ma per rilanciare il pensiero progettuale di Boeri, valorizzandone le implicazioni etiche, sociali, politiche.
Con La casa di Cini Boeri, Maddalena Bregani compie un’operazione critica precisa: ci invita a guardare il progetto non come forma chiusa, ma come processo vivo, radicato nella vita e nella sua imprevedibilità. Cini Boeri non ha mai pensato al design come gesto autoreferenziale, ma come strumento per migliorare la quotidianità. La sua “casa” non è solo un luogo fisico, ma una postura culturale, un esercizio continuo di intelligenza, apertura e responsabilità. Un gesto, ancora oggi, rivoluzionario.