Schegge di memoria, noir psicologico per 20 personalità (disturbate). Il teatro si fa carne e sangue

Esiste un luogo dove tutto è finto ma niente è falso ed è il teatro. Il teatro che diventa una pratica che ci permette di capire la complessità dell’animo umano. Perché la mente umana è davvero un labirinto di tante stanze e corridoi, anche contradditorie.
Il confronto del teatro con la dimensione della complessità diventa una sfida irrinunciabile per Fausto Cabra, mancato ingegnere aerospaziale, “teatrante” di valore, cresciuto alla scuola di Ronconi, al debutto nella regia con Schegge di memoria disordinata a inchiostro policromo, nuova coraggiosa produzione del Teatro Franco Parenti di Milano (in scena fino al 13 aprile), affidando la drammaturgia a Gianni Forte, co-direttore artistico con Stefano Ricci del settore Teatro della Biennale di Venezia dal 2021 al 2024, di recente nominato direttore artistico dei teatri di Bari. Tanti sono gli epicentri attorno cui ruota la regia e la drammaturgia che mescola in cui continui andirivieni il legal-thriller, il dramma psicoanalitico, l’indagine meta teatrale, costeggiando l’abisso oscuro della complessità della mente umana, tanto più se la mente è quella di Billy Milligan, accusato di aver rapito, violentato e rapinato tre donne e poi assolto, perché riconosciuto affetto da disturbo di personalità multipla (in lui ne coabitavano addirittura ventiquattro differenti). Un caso che sconvolse profondamente l’America degli anni Settanta. Abile mentitore o vittima inconsapevole di una personalità disturbata che affonda in un trauma di ripetuti abusi subiti in tenera età dal patrigno?

Una vicenda alquanto inquietante: Billy è un mosaico disordinato, un puzzle senza soluzione, ogni suo pezzo ha una storia diversa. Se nell’ambito della salute mentale, l’individuo sano riesce a “sentirsi uno in molti”, quando l’identità si sgretola, a seguito di un trauma , tutti i vari pezzi del Sé non si incastrano più. I frammenti si muovono autonomi, senza che essi possano comunicare fra loro.
Per Cabra la vicenda di Bill Milligan è però un punto di partenza per allargare il pensiero a riflessioni più ampie. Tanti sono gli epicentri attorno cui ruota lo spettacolo che già a partire dai titoli si nutre di brevi istantanee, testimonianze spezzettate, impressioni fugaci rivolte verso il pubblico. “Al di là del caso giudiziario mi interessava indagare sulla complessità dell’anima umana, sulla finzione, sull’auto-menzogna. Perché sempre più spesso l’individuo oggi è un equilibrista della superficie, che si auto-narra come coerente e unitario, ma per reggere la menzogna è costretto a tagliare ogni comunicazione con l’interiorità, a scollegarsi dal magma interiore”, racconta Cabra. “La verità indicibile è invece che ogni individuo è profondamente incoerente, contrastato, aggrovigliato, e le luci sono continuamente rimpastate con le ombre. Viviamo in un’epoca in cui ci si auto-ingozza di certezze assolute e semplificazioni e al tempo stesso siamo immersi in una cultura dell’iper-finzione, in una continua auto-menzogna, dove le molteplici interazioni digitali dettano comportamenti distorti e ispirano sembianze proteiformi, spingendoci a sviluppare personalità avatar, talvolta contraddittorie, per rispondere alle ingiunzioni/sirene che dovrebbero tirarci fuori dalle nostre profonde solitudini e ci conducono, invece, a uno stato mentale alterato, mentre sullo sfondo dei nostri traumi e paure danzano ombre dalle forme indeterminate. Sotto le bordate di questa doppia disconnessione soccombe l’individuo contemporaneo, proprio qui il Teatro si fa politico, smascherando questo bisogno di certezze assolute e immutabili, a riconoscere la contraddizione, la molteplicità, l’incoerenza come parte del nostro essere costitutivo e a mettere in discussione ciò che consideriamo vero”.


Grande prova attoriale di Raffaele Esposito, un vero tour de force recitativo, anche fisico: un Bill ora dolce e timido, un attimo dopo incontenibile e violento, ora è la timida Alice che scrive poesie, ora Pollicino, il bambino che disegna, terrorizzato dai ricordi degli abusi e delle torture subite dal patrigno che si divertiva ad appenderlo per le dita dei piedi o a seppellirlo vivo con il badile sotto la nuda terra.
Accanto ad Esposito le due attrici Anna Gualdo ed Elena Gigliotti anche loro frammentate, intente a uscire da un ruolo e immedesimarsi rapidamente nel successivo: una delle ragazze stuprate, il commissario di polizia, l’avvocato della difesa, la psicologa, le infermiere della clinica, la donna delle pulizie, la madre che non aveva voluto vedere gli abusi.
Anche la musica (di Mimosa Camironi) ispirata al rock psichedelico degli anni Settanta (Talking Heads, Laurie Anderson, Led Zeppelin e Deep Purple), alternata a suoni disturbanti con l’uso di sintetizzatori Moog, chitarra elettrica e pianoforte. Rumori evanescenti e frammenti acustici che evocano il mondo interiore alterato del protagonista crea un linguaggio polifonico capace di esprimere la psiche frammentata del protagonista dando voce al rimosso inconscio.
Sul fondo del palcoscenico, grandi schermi rimandano i volti deformati dei personaggi, proiezioni della mente disturbata di Bill, i suoi doppi che abitano dentro di lui, ma nega continuamente quanto accade sotto i suoi occhi. Nella società dell’informazione, dello spettacolo, delle televisioni, dell’immagine elettronica, digitale, virtuale, a regredire è proprio la possibilità di conoscere il mondo in base alla nostra esperienza vissuta. La nostra conoscenza non riposa più sull’esperienza. A breve, tutti noi guarderemo il mondo da un’unica cornice panoramica che coinciderà con il display di un cellulare o con uno schermo, sembra altresì suggerire la regia.


Spettacolo complesso, stratificato, multimediale, e con talento Cabra sa mischiare diversi livelli. Accanto alla rappresentazione vera e propria della vicenda del protagonista, c’è anche la messa in scena teatrale della stessa con le due attrici-che saranno interpreti di vari personaggi, con una sorta di distanziamento brechtiano dalla storia, anticipano e spiegano gli eventi che si andranno a rappresentare, assumendo il ruolo insolito di didascalie umane. Cabra chiede infatti ai suoi attori di non nascondere il meccanismo del teatro, ricordando che quello che gli spettatori stanno vedendo è finzione teatrale. Emblematica la scena in cui quando vediamo Bill ammanettato, con la bocca piena di sangue, Anna Gualdo riporta la dimensione reale, smascherando quella che è solo finzione teatrale “Ma quello non è vero sangue: è succo di pomodoro”. Sottolinea Cabra: “Alla fine mi piace molto dichiarare la macchina che produce finzione. Chiamare in causa il pubblico. Questo è necessario oggi, non posso far finta che non ci sia. Il pubblico è a teatro, non è al cinema. Questo tentativo di distanza va, secondo me, in qualche modo destrutturato. La vicinanza tra attori e pubblico nella nuova sala A2A permette di guardare e guardarsi senza pareti, senza ostacoli, senza schermi”.
Tutto si mescola. Tutto lo spettacolo è un continuo cortocircuito. I dialoghi dei personaggi, ma anche degli attori, abilissimi nel rimanere credibili, e quindi falsi, colti nella loro dimensione teatrale, intenti a dismettere i panni di scena , per rivelare una realtà mai lineare, sempre stratificata. Cercando una verità nella consapevolezza che la verità non è rappresentabile, ma con l’intento che questa ricerca vada a scalfire certezze e identità granitiche, scomponendole in tante piccole tessere, in schegge, per l’appunto. A quale verità sceglierà di aderire lo spettatore, è responsabilità solo sua.

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