Sparare sull’intoccabile: Marco Mazzarello sovverte il simbolo della Croce Rossa in un’ex chiesa di Piacenza

Con il progetto Shooting at the Red Cross – Sparare sulla Croce Rossa, l’artista Marco Mazzarello propone un’installazione di forte impatto visivo e concettuale, realizzata all’interno di un’ex chiesa sconsacrata del XVII secolo nel centro storico di Piacenza. Il lavoro, prodotto da Hexisart con il patrocinio del Comune e della Provincia di Piacenza, è curato da Tommaso Venco e Alisia Viola. Lo spazio espositivo, essenziale e privo di arredi liturgici, amplifica l’esperienza percettiva dell’opera, trasformando la navata in un contenitore neutro ma risonante, dove ogni dettaglio acquista intensità.

L’intervento si costruisce attorno a un unico elemento: un cofano originale di ambulanza, sospeso al centro dell’architettura, capovolto e trafitto da numerosi fori di proiettile. L’oggetto, decontestualizzato e reso inutilizzabile, perde la sua funzione primaria legata al soccorso e si trasforma in un artefatto simbolico. Il gesto di ribaltarlo altera anche la scritta speculare “AMBULANZA”, che da segnale immediato di emergenza diventa un testo disorientante, ulteriormente destabilizzando il rapporto tra forma e significato.

Il titolo stesso dell’opera introduce una ambiguità semantica deliberata. “Shooting at the Red Cross” richiama da un lato un atto letterale, brutale, che infrange un simbolo considerato inviolabile a livello internazionale; dall’altro rimanda all’idioma anglosassone che descrive l’atto di colpire un bersaglio troppo facile. Proprio su questa ambivalenza si fonda il cortocircuito visivo e concettuale dell’installazione, che mette in discussione i codici culturali che definiscono l’intoccabilità e l’universalità dei simboli.

Marco Mazzarello adotta una pratica legata al ready-made ma agisce sull’oggetto con un intervento diretto e trasformativo. Il cofano viene fisicamente lavorato: i fori che lo attraversano diventano tracce materiali di un’azione distruttiva che non è simulata, ma reale. La sospensione nello spazio accentua il suo isolamento e la sua esposizione, collocandolo in una condizione di vulnerabilità totale. Il lavoro si colloca nel solco della scultura-installazione contemporanea, dove l’oggetto industriale, estratto dal suo contesto d’uso, è caricato di una nuova dimensione critica.

Un aspetto rilevante dell’opera risiede nella sua essenzialità compositiva. Nessuna narrazione lineare, nessuna sovrastruttura interpretativa: l’opera si presenta come un enigma visivo diretto, dove il significato emerge dal confronto immediato con l’oggetto alterato. Il cofano, pur nella sua semplicità, catalizza l’attenzione dello spettatore, invitandolo a interrogarsi sul senso dell’intervento, sul valore della funzione perduta, sulla trasformazione del linguaggio tecnico in gesto artistico. L’artista evita ogni forma di estetizzazione o retorica, mantenendo il fuoco sull’impatto del singolo elemento nello spazio.

La scelta del luogo espositivo contribuisce a intensificare la lettura dell’opera. L’ex edificio sacro, svuotato della sua funzione religiosa, diventa un luogo di sospensione, in cui l’oggetto installato si confronta con la verticalità e la risonanza della navata. Questo contrasto tra spazio spirituale e violenza simbolica produce una frizione percettiva che non lascia indifferenti. L’installazione non propone soluzioni, non cerca il consenso, ma solleva domande silenziose, attivando un processo di riflessione sul rapporto tra corpo, cura, violenza e simbolo.

Infine, l’intervento tocca anche una dimensione più personale e collettiva, attraverso un gesto che nasce da un interrogativo comune e infantile: “Perché la scritta AMBULANZA è al contrario?” Mazzarello trasforma questa domanda in un’azione artistica, ribaltando realmente l’oggetto, e con esso il senso attribuito a ruoli e certezze. Il cofano diventa così il punto di contatto tra memoria individuale, funzione pubblica e rappresentazione istituzionale.

Con Shooting at the Red Cross, Marco Mazzarello realizza un lavoro rigoroso e stratificato, che non cerca spettacolo ma precisione, non grida ma interroga. Un’opera che si colloca con forza nel dibattito contemporaneo sul ruolo della tecnica, del simbolo e della vulnerabilità come territorio di riflessione artistica.

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