Provalo tutta la notte/provalo tutta la notte ragazza/e denuncia gli imbrogli/provalo tutta la notte/provalo tutta la notte e ragazza/io lo proverò tutta la notte per il tuo amore.
(Prove it all night, Bruce Springsteen, 1978)
Recensire ancora una volta un concerto di Bruce Springsteen non ha alcun senso. Forse, recensirne due è addirittura faccenda del tutto inutile. Per contro, raccontarne due allo Stadio Meazza di Milano può servire per comprendere cosa voglia dire partecipare a questa sorta di danza collettiva.
Innanzitutto, dobbiamo far riferimento allo speciale rapporto del Boss con l’Italia e con Milano in particolare: lui, un pezzo di italianità la deve alla parentela e con il nostro paese ha un conto aperto e mai saldato, fatto di affetto e di amicizia. E non solo, a Milano, il Boss ha suonato una ventina di volte, non so dirvi il numero preciso, ma conosco con esattezza quali e quanti concerti abbia tenuto al Meazza (San Siro!): ben nove. Chi vi scrive questa breve testimonianza era presente a tutti gli show nello stadio milanese. Ma, essere stati presenti, non è sufficiente, perché un conto è redigere la recensione di un nuovo disco, dell’inizio di un tour o di un concerto in una città, altra questione è cercare di rendere leggibile, insomma rendere testimonianza della comunione fra Springsteen e il pubblico milanese. Solitamente, le rockstar cantano in un luogo convinti di essere in un altro: è capitato a una vecchia e attempata carampana del rock di salutare la città X mentre si trovava nella più lontana Y: capita quando sei in giro da molto tempo, ma, nel caso di Bruce, Milano e il Meazza – anzi, San Siro come chiama lui il vecchio stadio, non più amato dalla parte milanese più attenta ai conti che ai cuori – siamo dinnanzi a qualcosa che sarà difficile restituire: sudore e attenzione per la sua musica non sono sufficienti per elaborare una strategia recensoria efficace.
Proviamoci comunque.

Un concerto del Boss trascende la stessa dimensione musicale, seppur fondamentale. Questo show racconta il mondo. Bruce Springsteen sì e ci spinge verso una dimensione che fa del collettivo un punto dove cercare una speranza. Per il Boss niente di scadente e niente di scontato. Il grande rocker sale sul palco andando incontro a una comunione di intenti universale, dogmatica, simbolica ma anche umida, faticosa, sofferta. Il palco è il luogo dell’incontro e non solo con il pubblico. Facile fare paragoni con gli show attuali di colleghi ben meno attrezzati di lui: tolto il grande, immenso Vasco Rossi e qualche altro collega straniero ancora a schiena eretta, è difficile comprendere a quale tipo di comunione si assista se non sei stato almeno una volta membro di un pubblico che si fa comunità. Non è una danza collettiva né un concerto solo per ballare ed emozionarsi con il “tuo” artista: è un rito che ti costringe a seguire come finirà questo pirotecnico salto temporale.

Appunto, non è solo un concerto ma allo stesso tempo è il più scontato degli show di rock’n’roll. È un momento in cui sentirsi speciale può anche essere un modo per ritrovare e ritrovarti. Bruce non suona tre ore per battere un record ma canta, balla e si avvicina al suo pubblico per entrarvi dentro e quando ci invita a “rimuginare i tuoi dolori” e a “mettere una croce sui tuoi vecchi amori” (Thunder Road) ci spinge a liberare il nostro istinto e la nostra voglia di diventare veramente comunità. Inutile citare il suo pensiero contro i clown che stanno dominando il mondo, lui ci costringe a pensare a come uscire da questo momento ma, va detto, senza evadere dalle nostre responsabilità individuali, seppur limitate.
Lunedì 30 giugno e soprattutto ieri 3 luglio, Bruce ci ha deliberatamente avvertito che andremo incontro a momenti duri e che sarebbe meglio in futuro incontrarci vicino a un grande falò fatto di luce, calore e cuore. Il pubblico ha compreso, noi pubblico, abbiamo compreso.
L’incredibile coreografia messa in scena ieri a San Siro, con la grande scritta “See me in your Dreams”, si fa risposta da leggere come saluto e- anche come grande inchino collettivo nei confronti del più grande rocker della storia della musica. E lui, il grande uomo si fa piccolo e prima di attaccare My love will not let you down, una delle sue più grandi canzoni, saluta con un per nulla scontato “Only in San Siro!” frase che potrebbe sembrare un reciproco e scontato incipit allo show, un semplice ringraziamento ma che così non è.

Chi ha assistito almeno una volta a questo rito – e si perdoni la banalità – sa e comprende di cosa si stia parlando.
Bruce racconta il mondo. La rabbia, lo scontento, l’insoddisfazione per una classe politica così cattiva e incapace lo spinge a cercare nel proprio pubblico una dimensione di ascolto che lo toglie dal dolore e dalla depressione che, almeno un tempo, lo devastava. Per questo ci urla semplicemente “Grazie per ascoltare i miei problemi!” noi siamo lui e lui è noi. L’essere in questo tempo permette a lui e a noi che lo ascoltiamo e balliamo con le sue canzoni di mettere a fuoco le soluzioni, forse, per uscire da questa situazione. La sua dimensione politica è la nostra e non stupiscono i commentini stizziti di alcuni, in verità molti, piccoli individui che commentano le sue parole nella sfera dei social “che canti e basta”, gente dimentica del ruolo sociale del mondo di artisti come Bob Dylan, Nick Cave, Neil Young e appunto Bruce.
Springsteen inizia questo rito di San Siro nel 1985, tour di Born in the U.S.A., il famoso concerto durato ben quattro ore e mezzo con il sottoscritto armato di frigorifero da pic-nic e mi si perdoni il banale ricordo personale; poi ritorna con il mitico concerto del 2003, dove tutti ci troviamo sorpresi da un temporale che si fa uragano con il Boss che modifica la scaletta virandola in Who’ll stop the Rain, a seguire la canzone estiva Waitin’ in a Sunny Day; qui Bruce torna altre sette volte: nel 2008 (per me il migliore), nel 2012, nel 2013, nel doppio concerto del 2016 e in questi due fantastici show.

Ogni concerto pare meglio del precedente, tutti conoscono le canzoni, si fanno scommesse sulla scaletta, oramai annunciata dalla dimensione social, si danza, si canta e si soffre anche in questo grande caldo collettivo. Si arriva alla fine dello show scarichi di energia ma anche carichi di un sogno che da ben quarant’anni ci rende protagonisti. Anche ieri le danze si sono interrotte con le luci accese, per vedere meglio tutto e tutti. Quando si accendono le luci appunto, che nel caso degli encore succede quasi subito, praticamente un terzo dello show, il saluto della grande band, una vera orchestra di una ventina di elementi, ti restituisce alla tua vita anche se sai che forse, un altro pezzetto di te è andato in un luogo migliore.
Ultima piccola annotazione: alla sua partenza da Milano, Bruce incontra e saluta in aeroporto Carlos Santana in uno speciale incontro tra vecchi rocker chiamati a costruire un nuovo mondo.
A volte, i vecchi ne sono capaci.
Magnifica sintesi di due momenti indimenticabili
Grazie Luciano di vero cuore