C’è un tempo in cui l’amore somiglia alla primavera: improvviso, incontenibile, pieno di promesse. Poi arriva l’estate, in cui tutto è pieno, saturo. Ma l’estate, come l’amore, (s)finisce. L’autunno è già lì, con le sue nostalgie, a ricordarci che ogni slancio, ogni guizzo deve imparare a convivere con i suoi momenti di inerzia. E l’inverno, infine, è la resa dei conti.
The Four Seasons, serie Netflix basata sul film di e con Alan Alda Le quattro stagioni, creata e scritta da Tina Fey, è questo: un affresco impressionista che lascia intravedere più di quanto mostri. L’idea semplice ma potente è quella di accompagnare tre coppie di amici attraverso quattro vacanze, in cui si ride, si mangia, si ricorda e, soprattutto, si cambia. Nulla resta intatto: né il desiderio, né la pazienza, né le illusioni. Tina Fey, affiancata da un cast appassionato e generoso (Steve Carell, Will Forte, Colman Domingo, Marco Calvani, Kerri Kenney-Silver, Erika Henningsen), abbandona il metanarrativo di 30 Rock per spingersi in territori più fragili e umani, dove l’umorismo nasce non dall’assurdo, ma dalla verità.

La storia orbita alla vita di tre coppie: Kate (Fey), donna razionale e ironica, e Jack (Will Forte), compagno affettuoso ma indeciso, eterno adolescente travestito da marito affidabile. Danny (Colman Domingo), carismatico e vulnerabile, e Claude (Marco Calvani), partner premuroso ma invadente, in una relazione tanto libera quanto prigioniera. Infine, la faglia su cui si apre la narrazione: Anne e Nick, interpretati da Kerri Kenney-Silver e un magnifico Steve Carell, che qui disegna il ritratto sfumato e struggente di un uomo in crisi di mezza età. Nick, inquieto e stanco, comunica agli amici la volontà di lasciare la moglie. È un detonatore, una frattura che si allarga con il passare degli episodi, e che non colpisce solo la coppia in frantumi, ma l’intera architettura emotiva del gruppo. Nulla, da quel momento, sarà più lo stesso.
Se Il grande freddo di Lawrence Kasdan aleggia come un’ombra inevitabile (quelle case borghesi, quelle chiacchiere nobili e disperate, quel senso di fine imminente), Fey compie una scelta precisa: rinuncia al lutto come evento scatenante, preferendo il logorio quotidiano, il lento sfaldarsi delle convinzioni. La scrittura è cesellata con mano esperta: il tono è leggero, ma mai superficiale; l’ironia è tagliente, la malinconia è sottile.

Tina Fey non ci chiede di amare questi personaggi. Ci chiede qualcosa di più scomodo: riconoscerci in loro. Riconoscere quel punto cieco in cui ogni relazione smette di essere scelta e diventa abitudine. Quel luogo oscuro dove l’amore è un terreno scivoloso, impervio, in cui restare è complesso, desiderare ancora meno, un luogo che pochi sono capaci di indagare con piena onestà. E allora si ride, certo. Perché il dolore ha bisogno di travestirsi. Si ride sapendo che ogni battuta è una crepa, ogni sorriso una toppa su un vestito che non tiene più.
Alcuni personaggi – come Claude – scivolano a tratti in un registro caricaturale, e certi snodi narrativi si risolvono in scorciatoie poco convincenti. Tuttavia, The Four Seasons resta una riflessione lucida e penetrante sulla condizione sentimentale del nostro tempo. In un’epoca in cui tutto è transitorio, Tina Fey osa proporre un affresco corale che non teme la complessità. E lo fa con grazia, con sarcasmo, con intelligenza. The Four Seasons è una serie da divorare, camaleontica, preziosa, un’opera tanto leggera nel tono quanto spietata nella sostanza.