Quanto più ci ostiniamo a fare ricerca servendoci della fisica quantistica per trovare risposte chiare in un universo sconfinato, tanto più finiamo delusi: essa stessa ci dice che nulla è certo, tutto è imprevedibile e indefinito. Qualsiasi volontà di racchiudere il cosmo in una concezione di prevedibilità e causalità è vana.
Questa ricerca non resta all’interno dei laboratori di fisica, ma viene esaminata anche in un contesto completamente nuovo, quello di San Marco Art Center (SMAC), una nuova istituzione sorta nelle Procuratie di Piazza San Marco a Venezia, inaugurata a maggio di quest’anno a seguito del restauro dell’edificio ad opera dell’architetto David Chipperfield. Questo spazio oggi si propone come centro che esamina la cultura visiva contemporanea in correlazione con la storia, la scienza, la filosofia e la società promuovendo ricerca, dialogo e sperimentazione.
“The Quantum Effect”, curata da Daniel Birnbaum e Jaqui Davies e visitabile fino al 23 novembre, esplora attraverso opere e installazioni i paradossi spaziali e temporali introdotti dalla teoria quantistica, fra cui l’esistenza di universi paralleli, i viaggi nel tempo, il teletrasporto, la “supersimmetria” e la materia oscura. Per fare ciò si serve di studi, scoperte e formule della meccanica quantistica grazie al supporto del consulente scientifico Ulf Danielsson, professore di Fisica Teorica e Segretario del Comitato Nobel per la Fisica, che ne ha seguito il processo.

In questo contesto, verrebbe da chiedersi: come si inserisce l’arte? L’arte contemporanea si rivela qui un efficace strumento a servizio della fisica, esemplificandone le formule e segnalando nuove possibilità creative in un contesto in cui gli oggetti possono essere contemporaneamente una cosa e il suo opposto.
L’idea di mostra è tratta dal romanzo “Locus Solus” (1914) di Raymond Russel, in cui uno scienziato presenta invenzioni di grande stranezza, fra cui otto tableaux vivants allestiti all’interno di una struttura in vetro, creando un mondo popolato da esseri che abitano uno stato liminale fra realtà e finzione, fatto di stadi paralleli che creano sconcerto e spaesamento in chi osserva. Anche la mostra, composta da sedici sale disposte su di un lungo corridoio di ottanta metri, si sviluppa simmetricamente con due file di gallerie percepite come mondi paralleli e speculari, catapultando il visitatore in realtà multiple che creano un ponte tra il mondo della scienza, dell’arte e del cinema.
Prima di addentrarsi nel percorso, ci si ritrova nella sala specchiata di Isa Genzken, che con Oil VII (2007) trasforma materiali quotidiani in esplorazioni immersive di spazio, percezione e ripetizione, con immagini che si moltiplicano all’infinito creando una sensazione di disorientamento.

Ad ogni sala è affiancata un’equazione e la prima è quella di Schrödinger, che illustra il concetto di sovrapposizione, mettendo in luce l’idea che i sistemi quantistici possano esistere in più stati simultaneamente. Essa prende forma e senso attraverso la fotografia di Man Ray del 1923 “Glissiè re contenant un moulin à eau (en mé taux voisins) (“Glider Containing a Water Mill [in Neighboring Metals]”) (1913–15), che ritrae Marcel Duchamp sdraiato dietro la sua prima opera in vetro. Questa immagine è affiancata dall’opera video di Jaqui Davies In the blink of an eye (2025), che ne riprende la forma semi circolare; entrambe utilizzano il vetro come metafora fra ciò che è reale e ciò che può essere immaginato, facendo desiderare – come nel caso della protagonista del video – di attraversare o infrangere il vetro verso altre dimensioni che coesistono.
Attraverso l’opera di Jeff Koons One Ball 50/50 Tank (Spalding Dr. J Silver Series) (1985) si illustrano le equazioni spazio-temporali di Einstein, su cui si basa la nostra comprensione moderna di gravità. Il pallone di Koons in questo senso sembra voler sfidarne la legge, sospeso com’è nella sua teca di vetro, allo stesso tempo gravitante e immobile, occupando di fatto due stati fisici contemporaneamente.

La Teoria delle Superstringhe, secondo cui dei filamenti vibranti interconnessi fra loro costituiscono l’universo, è resa magnificamente attraverso le ragnatele sospese in teche di vetro di Tomás Saraceno, che delicatamente suggeriscono l’intreccio indissolubile della realtà stessa.
Dara Birnbaum invece dà vita al fenomeno del teletrasporto con Technology/Transformation: Wonder Woman (1978–79), che attraverso il medium televisivo rivela la supereroina nel momento del teletrasporto, il suo corpo che ruota fra frastuoni e lampi di luce trasformandosi dal personaggio quotidiano al suo alter ego sovrumano, mentre passa facilmente da una dimensione ad un’altra.

Oltre al contributo degli artisti, è di grande rilevanza quello dei curatori stessi che, sovvertendo le consuete gerarchie, imbastiscono video e collage cinematografici attraverso cult della cultura pop che ricreano un’idea di “Entanglement” (correlazione quantistica) e di Science Fiction, una linea temporale alternativa che mette in discussione la nozione di tempo lineare e la natura della realtà, attraverso una moltitudine di schermi con video e stimoli diversi, intrecciando testimonianze scientifiche, cartoni animati e videogame che fratturano il tempo quantistico riconducendolo alla simultaneità.
Visitare la mostra significa fare davvero un viaggio in un universo che contiene una fra le innumerevoli realtà possibili. I lunghi corridoi e la disposizione delle sale aumentano la percezione di star varcando soglie di spazi paralleli, speculari e interconnessi. Alla fine il cerchio si chiude nel modo in cui è iniziato, generando un senso di spaesamento.Un itinerario che non fornisce risposte, ma che al contrario genera dubbi e domande sul funzionamento della realtà che ci circonda, più imperfetta e imprevedibile di quanto pensiamo.


