Tracey Emin a Firenze: Il gesto, lo scandalo, la forma

«Sono l’artista qui, quella della mostra, di Sensation, sono qui, sono ubriaca, ho passato una bella serata con i miei amici, ora me ne vado.» 

Furono queste le parole lapidarie e incoerenti con cui Tracey Emin, in un evidente stato di ebbrezza, si congedò dal leggendario dibattito televisivo Is Painting Dead?, trasmesso da Channel 4 in occasione del Premio Turner del 1997, anno in cui, per la prima volta nella sua storia la lista dei candidati non includeva alcun pittore. Fu un punto di svolta in cui scultura, installazioni e nuovi media acquisivano una preponderanza nella produzione artistica contemporanea, caratteristica già tangibile nella mitica mostra Sensation: Young British Artists from the Saatchi Collection. Quella comparsa televisiva, quasi performativa, si trasformò in uno stigma mediatico che ancora oggi accompagna l’artista, offuscando persino la sua opera The Tent (1995), esposta in Sensation e in cui, in modo confessionale e provocatorio, esponeva i nomi di tutte le persone con cui aveva dormito tra il 1963 e il 1995; un’opera che segnò l’inizio del noto carico autobiografico della sua produzione. La popolarità di Emin fu catapultata non solo da quell’episodio televisivo: la sua personalità disinibita rispecchiava perfettamente l’irriverente decennio degli anni ’90, e le sue dichiarazioni, liberate da qualsiasi moralismo, le valsero l’etichetta di “bad girl” dell’arte, mentre il suo lavoro veniva spesso sminuito da critici e accademici. 

Tracey Emin, Sex and Solitude, Palazzo Strozzi, Firenze, 2025. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025.

L’arrivo di Tracey Emin a Palazzo Strozzi con la mostra Sex and Solitude costituisce un fatto affascinante, soprattutto per le possibili reazioni del caratteristico pubblico della capitale toscana. Il neon omonimo che apre la mostra richiama lo scandalo provocato nel 2016 da Ai Weiwei con l’intervento sulla facciata dello storico edificio che oggi accoglie l’artista inglese.

E sebbene un paragone diretto tra i due possa sembrare forzato, i temi trattati da Emin come l’aborto, la maternità, lo stupro e il sesso privo di tabù, risultano ancora più sensibili in una società attraversata da un forte conservatorismo culturale, rendendo la loro messa in discussione tanto più necessaria. La mostra, composta da oltre sessanta opere tra lavori storici e nuove produzioni, si impone non solo per il suo carattere viscerale e umano, aggettivi ormai abusati nelle recensioni critiche e giornalistiche, ma anche per le scelte curatoriali ben calibrate e l’ottima accoglienza da parte del pubblico fiorentino. 

Tracey Emin, Sex and Solitude, Palazzo Strozzi, Firenze, 2025. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025.

Se da un lato la mostra include opere iconiche e imprescindibili dell’artista, come Exorcism: The Last Painting I Ever Made (1996), un’installazione che documenta la sua auto-reclusione in una galleria di Stoccolma, trasformata in studio che riflette la sua visione del mondo: pittura, bottiglie di vino e birra, CD, vestiti appesi e un letto disfatto, un caos coperto di pigmenti; sorprende, dall’altro, l’assenza di alcune delle sue produzioni più controverse.

Non è esposto How It Feels (1996), video in stile documentario in cui l’artista racconta l’esperienza traumatica del suo primo aborto; né The Tent, né il video Why I Never Became a Dancer (1995), in cui narra la propria attività sessuale durante la pubertà e le conseguenze dirette di una società ipocrita e sessista che la etichettò crudelmente come “slag”; e nemmeno vi è alcun riferimento alle sue memorie in Strangeland (2005). 

La mostra mette in secondo piano il lato più provocatorio e incendiario, propone un percorso che si avvicina a un lavoro ossessivo-maniacale intorno al sesso, attraverso la presenza continua di una figura femminile, rappresentata in video, sculture e soprattutto nella pittura, con tratti rapidi, in diverse posizioni: mentre si masturba o durante il coito.

L’insieme delle opere rafforza l’idea esplicita nel titolo della mostra: un fare rituale che implica un’azione solitaria, una testimonianza di come la sessualità ci attraversi fino al momento della morte. Risultati come No Distance (2016), il quale riesce a catturare la rapidità di un colpo di pennello, traducendola nella preziosità del ricamo. A questi esiti si aggiungono i suoi poemi al neon, che accentuano quella figura di solitudine, di ricerca d’amore e fragilità, come in Poem for CF (2007), dove la parola fatta calligrafia si fonde in un pallido rosa malinconico che dà inizio al percorso. 

Tracey Emin, Sex and Solitude, Palazzo Strozzi, Firenze, 2025. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025.

La decisione di non approfondire le tematiche più controverse legate alla figura di Emin – spesso presentata dai media come una presenza respingente e scomoda, alimentata da una narrazione intrisa di stereotipi di genere – appare come una manovra opportuna, soprattutto perché consente di eludere alcune questioni sollevate da diverse letture critiche, tra cui quella della ricercatrice Laura Lake Smith nel suo saggio Telling Stories: Performing Authenticity in the Confessional Art of Tracey Emin.

In esso viene messo in discussione quell’aspetto tanto celebrato della sua opera legato alla confessione, suggerendo come alcuni temi, in particolare i più controversi, siano stati affrontati e rielaborati dall’artista fino all’esaurimento, attenuando così il loro potenziale di denuncia e quel presunto slancio di onestà iniziale, fino a trasformarlo in una forma di storytelling, un racconto costruito. Lake Smith si sofferma in particolare sul tema dell’aborto e su come Emin lo abbia affrontato da così tante prospettive da finire per disinnescare la carica confessionale originaria. La ricercatrice cita un passaggio di un’intervista rilasciata da Emin a Lynn Barber nel 2001 e pubblicata su The Guardian, che rafforza la sua tesi:«…è come con il mio lavoro, la gente dice: “Oh, l’onestà e la verità che ci sono dietro” – ma è tutto montato, tutto calcolato, tutto deciso. Decido io di mostrare questa o quella parte della verità, che non è necessariamente tutta la storia, è solo ciò che scelgo di darti.» Un’affermazione che lascia intuire come un gesto autobiografico possa essere, al tempo stesso, una costruzione deliberata. 

Tracey Emin, Sex and Solitude, Palazzo Strozzi, Firenze, 2025. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025.

Tuttavia, il processo reiterativo acquisisce un tono diverso in Sex and Solitude, non appare logoro, al contrario, è carico di un’intensità introspettiva che si impone attraverso la ripetizione. Lontano dal consolidare il personaggio mediatico in cui è stata spesso confinata, la mostra permette di guardare al suo lavoro da un’altra prospettiva, includendo anche le opere dell’ultima decade, tra cui le sue sculture monumentali, le quali instaurano una dialettica con i lavori di Emin, da sempre contraddistinti da una preziosità e finezza che assumono un tono aggressivo.

Al contrario, queste sculture monumentali non riflettono né l’irruenza né l’introspezione che altre opere riescono a trasmettere: risultano pesanti, robuste, e per quanto tentino di evocare l’intimità, si percepiscono fredde e distanti.

L’etichetta di “bad girl” dell’arte che l’ha accompagnata nei suoi primi anni, appare oggi come il sintomo di quelle narrazioni riduzioniste più interessate al gesto e allo scandalo che al suo fare artistico, un’etichetta che, pur continuando ad avere presa sul grande pubblico —una strategia che sembra funzionare, come dimostra anche l’apertura di questo stesso testo pensata per attirare il lettore—, appare ormai sbiadita. E forse ciò che alcuni interpretano come una fase di esaurimento del suo lavoro è, in realtà, il segnale di una normalizzazione positiva: la rappresentazione di un essere umano, di una donna fragile, reale, con le sue ferite, che mostra il sesso, la gravidanza, la maternità in modo diretto, non appare più come un atto trasgressivo, ma come parte di una sensibilità che si è finalmente fatta spazio. Temi che, giorno dopo giorno, sembrano essere meno tabù, anche se l’attuale clima politico e sociale fa pensare che stiamo vivendo un inquietante ritorno al passato.

1 commento

  1. Davvero un bellissimo articolo, accademico e preciso, che lascia intendere un approfondimento maturo e sensibile sul lavoro dell’artista in questione, che per molti tra il pubblico delle mostre di Palazzo Strozzi è stata una rivelazione.

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