Un posto vuoto come orizzonte irraggiungibile. Giulio Paolini alla Galleria Studio G7

“Un petit-tour in una stanza: un mondo meno vasto ma più prezioso” scrive Giulio Paolini in riferimento alla sua mostra personale Un posto vuoto alla Galleria Studio G7 di Bologna, visitabile fino al 4 gennaio 2025. La galleria bolognese inaugura la stagione espositiva attraverso quattro opere inedite dell’artista. Come scrive Marina Dacci in La geometria sacra di Giulio Paolini, l’artista “trasforma lo spazio della galleria in un habitat che richiama la dimensione intima del suo studio e al contempo il processo creativo”. Un’estrinsecazione dell’interiorità della creazione artistica attraverso l’esplorazione visiva del lavorio intellettuale di Paolini.

Nato nel 1940 a Genova, è uno degli artisti italiani più noti a livello internazionale per la sua ricerca sull’arte concettuale. Il pensiero artistico paoliniano non consta nella produzione dell’oggetto artistico in quanto tale, ma aspira alla costruzione di un’architettura semantica in cui l’azione di osservare, vedere, percepire diviene preponderante nella significazione stessa dell’opera. A riprova di ciò Italo Calvino, nel 1975, scrive in Giulio Paolini, La squadratura: “Le opere che espone il pittore non sono dei veri e propri quadri: sono momenti del rapporto tra chi fa il quadro, chi guarda il quadro e quell’oggetto materiale che è il quadro. Lo spazio che occupano queste opere è soprattutto uno spazio mentale“.

Giulio Paolini Un posto vuoto 2024 matita matita rossa e collage su carta grigia 50 x 70 cm photo Francesco Rucci courtesy lartista e Galleria Studio G7 Bologna

La vacuità suggeritaci dal titolo della mostra è acuita dal bianco eburneo dello spazio – o del vuoto – in cui sono installate opere talora dotate di una semplicità materica e profondità concettuale rara. Autore del Giovane che guarda Lorenzo Lotto del 1967, Paolini pone al centro della sua riflessione la percezione visiva dell’opera d’arte, attuando un ribaltamento del punto di vista, inglobando nell’opera lo spettatore che osserva dal di fuori della produzione fotografica stessa. È cioè la relazione dialettica sull’arte, la relazione tra opera e spettatore, artista e spettatore ad interessare concettualmente Paolini.

Al centro della stanza vi è Ultimo modello, ovvero una struttura di plexiglass, un teatro fotografico frammentario, una serie di iconografie geometriche che riproducono – attraverso sagome di porte e umane – l’entrata della sua dimora, costruita secondo Dacci “come un labirinto con pareti di luce. Ad osservare questo teatro di proiezioni fisiche e concettuali, ai lati, vi sono quattro busti di gesso de L’Efebo, su altrettanti candidi basamenti in gesso. Nonostante disposti a sorvegliare Ultimo modello, essi paiono attraversare la struttura senza guardarla davvero.

Giulio Paolini Finis terrae 2023 matita matita rossa e collage su carta 50 x 70 cm photo Francesco Rucci courtesy lartista e Galleria Studio G7 Bologna

La disposizione di quanto descritto contribuisce alla creazione di una condizione di sospensione metempirica in cui lo spettatore è immerso in un contesto di silenzioso vuoto contemplativo che lo invita all’attività mentale. Si tratta per Paolini di innescare domande cui sembra aver già intimamente risposto. Altri protagonisti di questo teatro del vuoto, collocati agli angoli opposti della stanza, sono Ebe e San Sebastiano. Ebe – calco in gesso della Ebe di Canova – è protagonista di Vertigo. Investita da un dinamismo dato dal panneggio azzurro che cinge la figura scultorea, Ebe danzatrice silenziosa rivolta di spalle, sembra ambire ad uscire dallo spazio espositivo, alludendo alla volontà di valicare uno spazio altro. Sul drappo azzurro, che estende la presenza della figura femminile, sono collocati una genesa e un’ametista, simboli di spiritualità e armoniosa pacificazione.

Giulio Paolini Estasi di San Sebastiano 2024 riproduzione fotostatica in teca di plexiglas matita nera cornice dorata collage su passe partout teca di plexiglas base bianca misure complessive 140 x 50 x 50 cm photo Francesco Rucci courtesy lartista e Galleria Studio G7 Bologna

Diagonalmente a Vertigo vi è Estasi di San Sebastiano. L’opera si compone di una fotografia dell’opera di Lorenzo Costa, inserita in maniera decentrata in una cornice rotonda dorata, collocata sopra una teca di plexiglas. L’insieme dei materiali è attraversato al centro, come la freccia flagello del santo, da una matita nera, simbolo dell’attività artistica. «Vergine e Estasi […] sono stati mentali depurati da tempo e spazio. Sento l’opera di Paolini chiamare poesia piuttosto che scrittura critica: il suo abecedario ci parla di infinito, enigma, identità, memoria e del tempo» scrive Marina Dacci.

È un’investigazione dello sguardo e dell’infinità che esso può raggiungere attraverso immagini antiche e atemporali che dialogano con media e materiali contemporanei. È una dimensione assoluta e inafferrabile quella inaugurata da Paolini che, in una stanza vuota, immette l’indicibile illimitatezza dell’umano. Attraversando lo spazio vuoto pervaso di immagini comunicanti, lo spettatore riflette su ciò che Paolini suggerisce: un labirinto intimo personale, ma universale, in quanto umano. Come un equilibrio di energie attive: “le sue tranquille affermazioni non sono altro che domande formulate con discrezione, dopo le quali non resta che aspettare risposte che forse non verranno e nuove domande che verranno certamente”.

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