2013, Festival di Cannes, viene presentato al pubblico Tiān zhùdìng (Il tocco del peccato), pluripremiato film cinese del regista Jia Zhangke. Una scena del film fornisce un quadro molto significativo del modo in cui la gente pensa ai collezionisti d’arte cinesi: Jia interpreta un ricco uomo d’affari che parla al telefono con il suo assistente riguardo un’opera in vendita dell’acclamato artista Xu Beihong.
Xu Beihong? Compralo. Ottimo investimento
Dice seccamente prima di riattaccare. Non può prendersi la briga di fissare un orario per vedere il pezzo di persona.
L’idea che la Cina sia invasa da collezionisti speculativi che non conoscono né si preoccupano delle opere venerate che stanno acquistando viene ribaltata da una nuova generazione di appassionati che negli ultimi due decenni hanno lasciato il segno nel mondo dell’arte globale. Questo piccolo ma influente gruppo è un esempio dell’enorme ed eterogenea crescita cinese, diventando una forza culturale importante sia in patria che all’estero, poiché le loro attività legate all’arte si espandono ben oltre l’aggressività istantanea dell’asta. Negli ultimi decenni sono sbarcate fiere e sempre più mega-gallerie hanno aperto e stanno aprendo sedi nella Terra del Dragone.
Tutto ciò risulta chiaro dalla classifica dei 200 migliori collezionisti d’arte globali pubblicata da Artnet, dove la presenza cinese è sempre più importante. L’apertura di organizzazioni artistiche, fondazioni e musei pubblici e privati è sintomatica della direzione che stanno prendendo le cose.
I nuovi musei
In effetti il paese dell’Asia orientale sta vivendo un boom di musei d’arte grazie ad un influente gruppo di collezionisti, spesso molto giovani. Lu Xun, figlio di Lu Jun, un promotore immobiliare e presidente del Sifang Culture Group, ha aperto il Sifang Art Museum vicino a Nanchino nel 2013. Nel frattempo, il magnate dei nightclub Qiao Zhibing ha inaugurato nel 2019 un nuovo centro d’arte contemporanea appena fuori Shanghai. Un’altra coppia di collezionisti, il marito Lin Han e la moglie Wanwan Lei (ovviamente presenti nella lista stilata da Artnet), hanno fondato nel 2014 il Museo M Woods nel quartiere artistico di Pechino.
L’influenza ed il peso a livello internazionale di queste figure è sempre più significativa. Dal 2012 il miliardario Adrian Cheng fa parte del Asian-Pacific Acquisitions Commettee della Tate, dove figurano anche Alan Lau e Richard Chang. Chang è anche membro del International Council sempre della Tate, nonché amministratore della Royal Academy di Londra, del MoMA PS1 e del Whitney Museum di New York (dove ha anche co-fondato e presiede il Performance Committee).
L’arazzo Ming da 45 milioni di dollari
Novembre 2014, ci troviamo presso la sede di Christie’s ad Hong Kong, situata nel celebre complesso commerciale denominato Landmark. Un arazzo tibetano commissionato da un imperatore Ming è stato appena venduto per 45 milioni di dollari. Il prezzo più alto mai battuto all’asta per qualsiasi opera d’arte cinese.
Ad acquistarlo? Liu Yiqian e Wang Wei, una delle coppie di collezionisti più famose a livello mondiale. Non solo artisti blue chip e arte impressionista, ma un forte e radicato interesse per alcuni dei tesori e dei nomi più importanti del panorama artistico locale.
Questa tendenza ha fatto si che le opere di artisti cinesi contemporanee e/o classiche siano apprezzate anche sul mercato americano ed europeo, come i pezzi di Zeng Fanzhi, Liu Wei, Xu Zhen, Yang Fudong, Liu Ye, Ai Weiwei e Cao Fei, solo per citarne alcuni.
Risultato? I prezzi dell’arte classica e contemporanea cinese stanno lentamente rosicchiando il divario con quelli dei blue chip artists occidentali. Ciò non vuol dire che i collezionisti di Pechino, Shanghai o Hong Kong si astengano dall’acquisto dei grandi maestri occidentali, anzi.
I nuovi collezionisti
Nel novembre 2013 Wang Jianlin si è aggiudicato da Christie’s Claude et Paloma (1950) di Pablo Picasso per 28,2 milioni di dollari. Sempre presso la casa d’aste di King Street, Alan Lau ha acquistato Green Car Crash (1963) di Andy Warhol per 71,7 milioni di dollari e prima ancora l’investitore immobiliare Joseph Lau ha fatto l’offerta vincente per l’iconico Mao di Warhol.
Negli ultimi anni il mercato dei dipinti di Vincent van Gogh ha visto una crescita significativa in Cina. Dei sette dipinti dell’artista olandese più costosi mai passati in asta, almeno tre sono andati ad acquirenti provenienti dalla Cina continentale, da Hong Kong e da Taiwan, per un valore di oltre 60 milioni di dollari ciascuno.
Gli anni post-pandemia
Tutto questo è stato radicalmente scombussolato dalla pandemia. Il sistema e il mercato dell’arte contemporanea hanno dovuto adattarsi, rinnovarsi, ma soprattutto ridimensionarsi, in Cina come nel resto del mondo.
Nel 2023, dopo le politiche zero-covid imposte dal governo (le più rigide e prolungate al mondo), i cinesi sono rientrati con entusiasmo nel jet set dell’arte globale, viaggiando per fiere e altri grandi eventi, insomma una gradita tregua dall’acquisto in pdf. Come riportato da Clare McAndrew nel suo report annuale, Art Basel e UBS Art Market Report 2024, i collezionisti della Cina continentale sono stati i maggiori investitori al mondo in dipinti, con una media di quasi 400.000 dollari procapite nel 2023, quattro volte quella del resto del mondo e in aumento del 20% rispetto al livello riportato nel 2022.
Ma non è tutto oro quel che luccica.
Come sottolinea lo stesso report la Cina era appena uscita da un lockdown prolungato indotto dalla pandemia, e l’energia repressa era particolarmente evidente nelle vendite della prima metà dell’anno, che hanno subito un rallentamento in occasione delle aste autunnali. Le aste primaverili del 2023 hanno confermato ciò che già si sospettava, ovvero che collezionisti, acquirenti e investitori del paese non provavano lo stesso tipo di vertiginoso desiderio nello spendere cifre folli con la leggerezza di un tempo.
Questo è un segnale che gli investimenti eccessivi nel settore immobiliare e il rallentamento dei consumi interni stanno avendo effetti in tempo reale sul segmento del lusso, arte in primis. Ma, come hanno dimostrato altri mercati globali, la domanda rimane forte per nomi collaudati, siano essi modernisti come Qi Baishi e Zhang Daqian o nomi più contemporanei come Yayoi Kusama e Yoshitomo Nara.
Inoltre, la frequenza dei voli cinesi verso l’Europa e il Nord America rimane molto inferiore a quella pre-pandemia. La visione delle persone riguardo al futuro e all’economia le rende più caute verso il collezionismo, mentre le prospettive macroeconomiche non sono ancora in ripresa e i timori che una nuova guerra possa minacciare l’economia mondiale sono dietro l’angolo. Insomma tali fluttuazioni e incertezze continueranno per molto tempo, portandosi in dote una mancanza di fiducia generalizzata.
Ci troviamo di fronte a un periodo molto distante da quei primi anni del nuovo millennio, l’inizio della cosiddetta “internazionalizzazione” della scena artistica cinese. Periodo caratterizzato da una crescita dell’economia del paese a due cifre, dalla nascita di un nuovo gruppo di ricchi collezionisti che avevano accumulato fortune durante il boom e in cui le opere di artisti contemporanei cinesi, che prima passavano inosservate, raggiunsero prezzi record.
Nel giro di poco più di un ventennio la Terra del Dragone si è imposta di diritto tra i paesi più importanti ed influenti del sistema artistico internazionale e ad oggi è il secondo mercato al mondo per volume di affari (dietro gli Stati Uniti). Sebbene gli acquisti speculativi non siano rari e la parodia di Tiān zhùdìng sia un fenomeno reale, questa non è l’unica forza che modella il mercato di Pechino.
Staremo a vedere cosa ha in serbo la Repubblica Popolare Cinese per il futuro del sistema dell’arte mondiale.