Una Boccata d’Arte: l’Italia minore come laboratorio estetico alla Fondazione Elpis

C’è qualcosa di profondamente politico e poetico nel modo in cui Una Boccata d’Arte ha riscritto, in cinque anni, la mappa culturale del nostro Paese. Il progetto, nato nel 2020 su iniziativa di Marina Nissim e promosso da Fondazione Elpis, ha costruito nel tempo un modello di intervento artistico decentrato, capillare, relazionale. La mostra “Dove non sono mai stato, là sono”, visitabile fino al 6 luglio 2025 presso la sede milanese della Fondazione, raccoglie e rielabora questa esperienza corale, restituendo al pubblico un archivio vivo, fatto di opere, materiali, documentazioni e gesti condivisi in oltre cento borghi italiani.

Fin dalla soglia, la mostra si rivela per ciò che è: un dispositivo affettivo e frammentario, che non pretende di essere esaustivo, ma di attivare uno sguardo. Le opere che accolgono il visitatore già dalla facciata esterna – come il monumentale Abracadabra di GRJB da Pietragalla, o le torri visionarie di Matteo Nasini da Soverato Vecchia – sono spostamenti, travasi, segni di un altrove che si innesta nel tessuto urbano milanese. Sono le prime “pieghe” di un racconto che si costruisce per affioramenti, non per linearità.

All’interno, la mostra si sviluppa su tre livelli, ciascuno con una propria grammatica. Al piano terra, disegni, bozzetti, opere su carta offrono uno sguardo intimo sul processo creativo: appunti visivi che riportano il gesto dell’artista alla sua dimensione più fragile e quotidiana. Colpiscono, tra gli altri, i tondi pittorici di Alice Visentin, che evocano presenze sospese legate al borgo di Avise in Valle d’Aosta, o i disegni performativi di Antonio Della Guardia, pensati come istruzioni poetiche per azioni solitarie in montagna. Qui, il territorio non è mai semplice scenario: è corpo attivo, interlocutore, controcampo.

Ma è al piano interrato che la mostra cambia ritmo e densità, diventando paesaggio immersivo e documentale. Una selezione di video, registrazioni sonore, pubblicazioni e oggetti d’uso narra la pluralità di linguaggi emersi nel tempo. In mostra i lavori di Elena Mazzi, Eva Marisaldi, Fabrizio Bellomo, tra gli altri, che raccontano l’Italia invisibile: quella dei margini, dei silenzi, dei luoghi dove la contemporaneità arriva senza clamore ma lascia tracce profonde. Le sculture modulari di Sabrina Melis, realizzate nel borgo friulano di Sutrio, ospitano edizioni nate nei cinque anni del progetto, ricordandoci che l’arte è anche scrittura, documento, pratica discorsiva.

Il primo piano è un atlante visivo: il collettivo Atelier Tatanka ha lavorato sull’archivio fotografico del progetto – oltre 3.000 immagini – per costruire una cartografia emotiva, fatta di installazioni, volti, azioni. È un colpo d’occhio che disorienta e seduce: non c’è un centro, solo traiettorie.

Il cuore di Una Boccata d’Arte resta però il rapporto con le comunità locali. Il progetto si è retto su una rete di curatori regionali – spesso giovani professionisti legati ai territori – che hanno fatto da ponte tra artisti, istituzioni e cittadini. Questa architettura relazionale è la vera forza del progetto: non una mediazione, ma una costruzione condivisa di senso.

“Dove non sono mai stato, là sono” non è dunque una retrospettiva, ma un atto di continuità. È una riflessione su come l’arte possa ancora abitare i margini, attivare paesaggi, generare immaginari situati. In un’Italia che si riscopre fragile e decentrata, Una Boccata d’Arte ha indicato un’altra via possibile: fare arte come gesto di prossimità e trasformazione.

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