Antoh Mansueto, ormai conosciuto per gli “Altroviani”, i suoi personaggi unici che fondono immaginazione e tecnologia, si distingue nel panorama contemporaneo per la sua capacità di integrare tecniche tradizionali e digitali, creando opere che riflettono una visione innovativa dell’arte. Fin da giovane, ha coltivato la sua passione per la pittura ad olio sotto la guida di sua zia Cecilia e di un artista napoletano, per poi essere ispirato dall’incontro con Bruno Munari a Milano, un vero sperimentatore e innovatore.
Nel corso degli anni, Antoh ha saputo adattarsi all’evoluzione tecnologica, utilizzando strumenti come il personal computer, scanner, Photoshop e l’iPad per sviluppare le sue creazioni artistiche. La sua ultima mostra, “Altroviani”, rappresenta perfettamente questa fusione, presentando personaggi che nascono da una combinazione di tecniche manuali e digitali, simbolo di un’arte in continua trasformazione.
In questa intervista, Antoh condivide il suo percorso nel mondo dell’arte digitale, le esperienze con gli NFT e le sfide legate all’integrazione tra digitale e fisico. Ci parlerà inoltre dei suoi prossimi progetti e della sua visione per il futuro dell’arte immersiva, offrendo uno sguardo approfondito sul lavoro di un artista che riesce a navigare con successo tra tradizione e innovazione, trasformando ogni nuova tecnologia in un’opportunità creativa.
Antoh innanzitutto raccontaci, come sei arrivato all’arte digitale?
Non ci sono arrivato…ci sono cresciuto dentro, come un germoglio. O possiamo dire che ci sono arrivato in modo naturale, se consideriamo che amo creare e innovare e amo le innovazioni, e se consideriamo il percorso sorprendente delle tecnologie negli ultimi decenni in cui ho vissuto.
Ho iniziato a dipingere ad olio a dieci anni sotto la guida di mia zia Cecilia e di un artista napoletano, per poi conoscere e frequentare Bruno Munari a Milano: lo amavo perché era uno sperimentatore, un attento osservatore e innovatore delle regole ormai fuori tempo. Lui ha usato per fare arte le prime fotocopiatrici, la serigrafia, ma noi nei decenni di fine secolo avevamo il personal computer, lo scanner, photoshop, le stampanti digitali, poi l’ipad, e molto altro, e così, ad ogni nuovo strumento, si pensava a come farci arte. E spesso anche nel realizzare un’opera pittorica si succedevano passaggi digitali, grafici e manuali, senza nemmeno renderlo noto allo spettatore.
Per il momento posso dire che il digitale è il mare in cui sono immerso, ma poi mi piace prendere il sole a riva, e quindi per me passare da digitale a fisico, alternarli e integrarli secondo la mia creatività, è normale e bellissimo. Una volta si diceva mens sana in corpore sano. Parafrasiamo? Digitale sano in materia sana. Esiste un digitale senza la materia fisica dei processori, dei semiconduttori? Non mi pare. Ed anche noi per fortuna siamo in carne ed ossa, oltre che fatti di pensiero.
Ci avete fatto caso che non esiste un termine unico e universalmente accettato per indicare l’esatto opposto del “digitale” nel campo dell’arte? Questo perché la distinzione tra digitale e “non digitale” è in continua evoluzione. La tecnologia si evolve rapidamente, e con essa anche i confini tra digitale e non digitale si sfumano sempre di più. Molte opere d’arte contemporanee combinano elementi digitali e fisici, o analogici, rendendo difficile una categorizzazione netta, ovvero nel processo di creazione si alternano, appunto, elementi di vario genere.
Per me artista cresciuto in questa epoca il processo creativo può essere sempre sia digitale che analogico, o materiale, fatto a mano o non a mano, mentre l’osservatore a volte vede solo il risultato finale, che può essere digitale o materiale…fatto a mano o non fatto a mano…
Per concludere, faccio una osservazione e una domanda: ma vi rendete conto che nelle gallerie importanti ancora è necessario proporre ai collezionisti pesanti cataloghi cartacei per dimostrare il valore di un artista? Che senso ha? Forse perché la carta stampata resiste anche senza energia elettrica? E allora la pietra dove la mettiamo? Proporrei cataloghi scolpiti sulla pietra.
Parliamo un attimo dei tuoi personaggi che chiami “altroviani”. Come ci sei arrivato?
Creare un mondo di personaggi tutti miei è una mia fissazione da quando ero ragazzo. Ci sono arrivato nel tempo, cercando di fare qualcosa che non c’è, mi sono poi lanciato dal surrealismo nell’astratto, ma i miei personaggi di surrealismo astratto assumevano forme antropomorfe, tuttavia il linguaggio del mio disegno è una specie di frattale che si ricompone causalmente in forme antropomorfe o animali, un disegno che tuttavia ciascuno può interpretare a modo suo: come con le nuvole. Trovo che questo sia aderente a me stesso, perché mi piacciono molto le domande intelligenti, più che le risposte, sempre provvisorie.
Infine, negli ultimi anni, attraverso lo strumento dell’intelligenza artificiale, i miei disegni bidimensionali hanno potuto esplodere in mille forme tridimensionali casuali, tra le quali inseguo a fatica ciò che mi rispecchia. Alla fine però se uno vede un mio “altroviano” e dice: “E questo che cosa diavolo è?” Allora ho raggiunto il mio scopo.
Altroviani è solo il titolo della mia ultima mostra. Sono personaggi di altrove, non so dove, forse una galassia lontana. Perché noi abbiamo sempre bisogno di un altrove in cui rifugiarci per riflettere o con cui scontrarci per crescere.
Come artista digitale, anche tu sei entrato nel mondo degli NFT. Raccontaci un po’ come è andata…
Devo dire che è stato bellissimo, sotto il profilo creativo, ma ci sono arrivato un poco in ritardo, rimandando di un paio di anni, paralizzato come ero dagli anni della pandemia. E quindi è andata come sempre, che adocchi la nascita di qualcosa di nuovo e vado a curiosare. Ci sono arrivato a fine 2021. E a parte la questione dei prezzi, ho trovato una community agguerrita, talora chiusa in se stessa, ma feconda di entusiasmi e nuove idee.
Posso dire che me ne sono nutrito, e ho vissuto nuove tendenze alcune delle quali più congeniali a me, come ad esempio l’arte ibrida, ovvero che unisce passaggi hand made a passaggi con intelligenza artificiale. Non ho approcciato l’arte generativa, che tuttavia comprendo nella sua astrazione. Poi devo dire che il mondo degli NFT è immersivo, richiede un continuo impegno, mentre io amo saltellare tra il digitale e il materiale. Ma ci sono, lo apprezzo, me ne nutro, creativamente parlando.
A proposito di “immersivo” trovo anche interessanti le nuove per ora rare gallerie d’arte immersive, dotate di grandi schermi e proiezioni: effettivamente ti immergi nel digitale.
É notizia di pochi giorni fa la vendita di “Chatbot and Chill”, un NFT dell’OG XCOPYX per 800 Ethereum. Il mercato è veramente morto oppure semplicemente non ha più attenzione mediatica?
Io ho avuto la fortuna di lavorare in Borsa, come il signor Jeff Koons. Quando nasce qualcosa di totalmente nuovo e ispirante, e lo si collega al denaro, nascono grandi episodi speculativi, eccessi, bolle speculative che poi esplodono. Vogliamo parlare della bolla speculativa dei tulipani in Olanda del 600? O dei tecnologici nel 2000? Anche gli NFT, legati come sono alle criptovalute, hanno avuto un mercato inizialmente in sordina, poi folle, e quindi soggetto a crolli clamorosi. Deriva dalla psicologia delle masse.
Cosa è rimasto però dalla esplosione della bolla dei titoli tecnologici, spesso totalmente scomparsi? Bene, sono rimasti Google, Microsoft, Apple, Amazon e molti altri. Insomma i colossi di oggi.
Voglio dire che se gli NFT non verranno sorpassati da altri mezzi tecnologici, hanno avuto il merito di essere certificati di autentica digitali attaccati a opere digitali. E scusate se è poco. Hanno dato una possibilità molto più concreta agli artisti digitali di vendere le loro opere. Il fatto che poi l’opera possa circolare liberamente, senza il suo certificato, conta poco. Può circolare anche l’immagine della Gioconda. Certo la Gioconda è materiale, ma per una generazione che vive con la testa nello schermo e in piccolissimi appartamenti senza pareti, avere una ampia collezione virtuale vale come avere una ampia collezione reale per i pochi collezionisti con case immense.
Credo in sintesi che se non verrà superato da altri strumenti atti a valorizzare il digitale, il mondo degli NFT avrà una terza ondata, più controllata, più ampia e lenta, e più dominata da grandi operatori dell’arte. Quello che è accaduto alla “street art” in 40 anni su per giù.
Alla fine, si tratta sempre di nuovi muri. Prima quelli delle città, poi quelli virtuali, comunque ben visibili ai nostri occhi. Certo, troppi guardano agli NFT vedendo solo il denaro. A costoro dico: state attenti! Antoh vi dice che il prezzo dell’arte è pari il sesso degli angeli. Scherzo, ma se uno acquista l’arte, è importante che ne apprezzi non solo il prezzo, ma anche il valore artistico, che può essere soggettivo, ma arricchisce la nostra vita.
Sempre nel caso degli NFT, si parla sempre poco del ruolo delle piattaforme nel processo di FOMO e acquisto. Non trovi che la loro user experience sia quanto di più studiato per invogliare al collezionismo? Prendiamo OpenSea e SuperRare per esempio…
Sicuramente li trovo molto efficaci e funzionali. Mi trovate su Opensea e Foundation. Tuttavia, all’inizio, devi entrare nel mondo delle criptovalute, dei wallets, e dribblare gli scammers. Opensea, comunque, lo dice il nome, è un mare aperto, immenso, ove si può scoprire di tutto, adatto a chi ama scoprire nuovi talenti, e sebbene molto funzionale, è un mercato enorme e pieno di cose che sono collectibles, non arte. Mentre SuperRare è più selettivo, ma magari proprio per questo non trovi la sorpresa di un artista “imprevisto”. Esiste anche il problema degli scammers, che sono molto presenti, occorre documentarsi e difendersi.
Al momento il pubblico di Opensea e similia, è intercettato dal social X di Elon Musk. L’artista “materiale” in genere preferisce Instagram. I social sono tanti e senza di essi le piattaforme suddette non bastano per promuoverti. Quindi in tema di piattaforme mi aspetto nuove tendenze e mutazioni. Sia più segmentate che ancora più friendly e controllate.
Pur essendo un artista digitale, la tua pratica è sempre stata legata ad un supporto fisico. Come riesci ad ottenere lo stesso risultato estetico, sia a livello digitale che fisico?
Semplicemente, non cercando lo stesso risultato estetico. Lo trovo sbagliato. Ogni strumento con cui facciamo arte, sia esso un pennello di pelo di bue o un AI, riesce a fare cose stupende, che inventerai o scoprirai se lo sai manovrare, ma nel suo genere.
Il bello è ottenere cose stupende nuove che soddisfano il mio senso estetico e la mia voglia di comunicare, e non che assomiglino a quello che si può fare con un altro strumento. Certamente si fanno delle scelte. Io non cerco la precisione nella pittura figurativa sebbene da ragazzo “sapessi dipingere” il figurativo: non mi interessa. Con l’AI è diverso. L’intelligenza artificiale opera in modo probabilistico, attinge da milioni di immagini e spesso prende degli abbagli, o, come dicono i tecnici, delle allucinazioni. Ecco, immaginate l’apprendista stregone di Walt Disney che si lancia in magie che non sa fare e combina guai?
Ebbene lo stregone resto io, e usare come assistente l’AI è come avere 100 assistenti stregoni velocissimi che ogni tanto fanno pasticci incredibili. Dai quali spesso trovo vie creative nuove. La sfida è controllarli, star dietro alla loro velocità, e sfruttarne gli errori. Da questo punto di vista l’AI è molto valida per l’arte, ma non soppianterà gli altri strumenti per fare arte.
Infine, manuale o non manuale, la ricerca dei materiali e della forma fisica finale, è sempre una sfida molto soddisfacente.
Puoi anticiparci qualche tuo nuovo progetto?
Amo il dialogo con vecchi edifici gloriosi. Il dialogo tra il contemporaneo e l’antico -o l’archeologia industriale- ha fascino… La mostra a Telese coinvolgeva un edificio ottocentesco. La prossima mostra sarà a Palazzo Caracciolo, un palazzo affascinante e cinquecentesco a Napoli, ove già ho un piccolo nucleo di opere che dialoga perfettamente col luogo.
Altroviani all’attacco e inaugurazioni in cui le mie idee le affido a piece teatrali, o teatralizzate, grazie alle mie vecchie esperienze nel teatro. Mostre in cui alle opere pittoriche o ibride, sempre colorate, aggiungo la magia della luce e delle ombre.
Continuo inoltre a rilasciare online le mie sperimentazioni nell’animazione dei miei soggetti surreali con la mia musica. Cito per il passato il video Fly On presentato nella notte dei musei di Roma nel 2019. Le mie opere visive continueranno ad evolversi nel principio della creazione continua e dell’uso delle nuove tecnologie e nuovi stimoli.
Sicuramente la mia via è la creazione continua e la ricerca del colore fisico e spirituale nel dialogo con un mondo che non è mai, mai facile da affrontare. Come ultimo spunto di riflessione vorrei lasciarvi citando la mia recente performance sotto la Torre dei Sogni a Telese dedicata a Sogno e Realtà, da cui la mia formula segreta che scherzosamente chiamo la formula di Mansueto:
(Sogno = Realtá x Amore).
A voi l’interpretazione.