La Sala del Trono della Villa Reale di Monza diventa il palcoscenico di un progetto unico: “La Corte di Danimarca”, un’installazione realizzata dall’artista Velasco Vitali e curata da Renata Cristina Mazzantini.
Classe 1960 Velasco Vitali nelle sue opere racconta storie legate alla città, alla memoria e ai cambiamenti nel nostro modo di vivere. Vitali utilizza spesso figure simboliche come cani randagi o animali antropomorfi, che diventano metafore dell’abbandono, della resistenza e della trasformazione sociale. Un altro aspetto del suo lavoro è il dialogo con la storia e la letteratura, come nel progetto “La Corte di Danimarca”, ispirato all’Amleto. Si tratta di un ciclo di sette grandi tele che prendono spunto, appunto, dalla tragedia di William Shakespeare, e che trasformano lo spazio della Sala del Trono in un luogo di riflessione e rappresentazione, dove l’arte pittorica dialoga con la teatralità e la profondità del dramma shakespeariano.

Le tele, studiate per inserirsi nelle quadrature della Sala, si ergono come comprimarie di un’ipotetica messa in scena. Qui, l’azione sembra in attesa di svolgersi, con il visitatore al centro, invitato a riflettere sul rapporto tra teatro e vita.
Le opere reinterpretano i personaggi e i temi cardine dell’Amleto, offrendone una chiave di lettura simbolica. La disposizione delle tele crea un percorso che guida il pubblico attraverso le inquietudini esistenziali del principe di Danimarca, ma anche attraverso interrogativi universali, come il potere, l’identità e il dubbio.
Ogni tela porta con sé un frammento dell’universo shakespeariano, trasformato in immagini potenti e ricche di dettagli.

“Spettro”: Collocata al centro, questa tela monumentale raffigura due figure speculari che si tengono per mano. La loro identità rimane ambigua: sono riflessi, amanti, fratelli, o forse il re defunto e suo figlio? È un’immagine che incarna il mistero e il dualismo che permea tutta la tragedia. “Regina”: Una figura femminile, avvolta da un’aura di malinconia, si allontana dalla scena. È la regina Gertrude, simbolo di fragilità, ma anche di transizione tra il passato e il presente. “Youth”: Un’opera che celebra la bellezza giovanile ma ne mette in luce anche la precarietà. Una mano scosta un lembo di tenda, mentre un piccolo dipinto cattura un riflesso fugace: è Ofelia, vittima degli eventi, testimone di una vita spezzata. “Rebus”: Qui Amleto emerge come figura enigmatica, sfuggente, che potrebbe rappresentare chiunque e nessuno. È la domanda che si riflette nello sguardo di ogni personaggio, ma anche nello spettatore. “Eroe”: Il dilemma esistenziale di Amleto trova espressione in questa tela, dove l’uomo moderno è ritratto come un essere che cerca, indaga e non dà nulla per scontato. È l’eterno “Essere o non essere”. “Potere”: Una tigre maestosa, simbolo di autorità e forza, si erge al centro della scena. La sua presenza domina lo spazio, richiamando l’ambizione e le lotte per il controllo che attraversano la tragedia. “Noè”: L’elefante, simbolo di memoria e saggezza, è rappresentato con un’arca sullo sfondo. Un’immagine che evoca la resilienza e il peso della storia, ma anche la capacità di sopravvivere e di rinnovarsi.

L’installazione invita a riscoprire l’Amleto non solo come opera teatrale, ma come specchio della condizione umana. Come spiega Velasco Vitali, “tutta la vita è nell’Amleto: non solo le vicende personali, ma anche la politica, la famiglia, il mondo intero. Shakespeare ci offre una struttura aperta, capace di abbracciare il tragico e il comico, il dolore e la speranza, la follia e la ragione”.
La scelta della Villa Reale non è casuale. Poco distante, più di un secolo fa, si consumò un regicidio che segna un parallelo inquietante con le lotte di potere descritte nell’Amleto. Il 29 luglio del 1900, infatti, l’anarchico Gaetano Bresci assassinò re Umberto I. L’attentato al sovrano rimase scolpito nella Storia, mentre la fine del regicida è ancora avvolta nel mistero. Questo dialogo tra passato e presente, tra storia e finzione, rende l’installazione ancora più suggestiva. Come osserva Bartolomeo Corsini, direttore della Reggia, “il visitatore può attraversare lo spazio e il tempo, immergendosi in un mix di suggestioni che legano il dramma shakespeariano alle vicende della nostra storia”.

“La Corte di Danimarca” non è solo un tributo all’Amleto, ma una riflessione profonda sull’essere umano e sul teatro della vita, che trova nella Sala del Trono di Monza il suo palcoscenico ideale.



