Vermiglio: un affresco di umanità disadorna nel crepuscolo della guerra. La recensione

Vermiglio, il film scritto e diretto da Maura Delpero, vincitore del Leone d’argento alla 81ª Mostra del Cinema di Venezia e candidato italiano agli Oscar 2025 nella categoria del miglior film internazionale, offre una toccante esplorazione del dramma umano nell’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale. La narrazione si snoda attraverso le vicende della famiglia Graziadei, immersa nella quiete di un paesino alpino, la cui serenità viene brutalmente minata dall’arrivo di un soldato siciliano. Questo incontro avviene proprio nel momento in cui il mondo sembra volgere verso la pace.

La vita quotidiana di questa famiglia viene delineata con una cura meticolosa sin dalle prime scene. I gesti semplici e intimi, come la figlia maggiore Lucia intenta a mungere la mucca, sua madre Adele che scalda il latte e prepara la colazione, e i bambini che si riuniscono intorno al tavolo in un’allegra confusione, dipingono un quadro di esistenza rurale vibrante di autenticità. Il padre, Cesare, figura autoritaria e marziale, esercita il suo potere non solo sulla famiglia, ma anche sull’educazione dei ragazzi del paese. La sua passione per la musica si intreccia con il ruolo di maestro, in un contesto dove decide chi merita di proseguire gli studi e chi, invece, deve scontare la sua sorte con lavori più umili.

Flavia, la giovane più promettente, ha in sé la luce di una possibile educazione che la famiglia può concederle, mentre Ada, avvolta in un’oscurità di pensieri religiosi, si perde nel quaderno del padre, carico di immagini oscene, esperienze di cui si pente ogni volta. L’armonia domestica è scossa dall’amore di Lucia per Pietro, un disertore siciliano che ha salvato la vita a suo cugino e ora vive in clandestinità nel villaggio. Il loro matrimonio, nato dall’improvvisa passione, è destinato a svanire quando Pietro decide di tornare in Sicilia, lasciando Lucia nell’incertezza e nell’attesa.

Vermiglio si presenta come un’opera intrisa di sguardi, di dialetti che si intrecciano e di tavole imbandite con cibo scarso, riflettendo povertà e miseria in un quadro dove la miseria e la dignità convivono. La regista, con sensibilità, cattura la bellezza dei momenti quotidiani. L’ambiente alpino si erge fiero e immutabile, mentre l’ambiente familiare è un microcosmo in cui si snodano le tensioni, reticenze, timori e vergogne inconfessate.

Ada brama ciò che non può avere e si nasconde dietro l’armadio, rivolgendo le sue preghiere affinché i desideri non si riversino fuori di lei. Flavia desidera ardentemente un’istruzione, ma la sua lealtà verso la famiglia la trattiene, mentre Lucia indossa la sua vergogna come un velo scuro. Ogni personaggio occupa il proprio spazio, per quanto angusto, in una realtà che privilegia i doveri sugli desideri, e così Vermiglio si dipana come un affresco corale, ambientato sullo sfondo della guerra, assente ma palpabile, come un fantasma che aleggia su tutte le vite.

Il dolore pervasivo si insinua in questa umanità disadorna e periferica, tessendo storie di amori proibiti, lettere mai spedite e speranze disattese. La pellicola esplora il crinale invisibile tra il dentro e il fuori, tra l’individuale e il collettivo, tra la montagna e la valle, tra la neve e i raggi di luce, rappresentando le stagioni della vita e dell’amore, che si manifestano in modi diversi in tempo di pace e in guerra. In Vermiglio si percepisce l’intensità del dolore di esistere e della lotta per la sopravvivenza, in cui l’amore, sempre presente, si insinua in spazi scomodi, rivelandosi un’arma a doppio taglio ferina e brutale.

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