Cosa vuol dire immortalare un dettaglio? Si fotografa un particolare per conoscere e far conoscere, dare valore a quello che è – o può divenire – un simbolo. La “Medusa” in bronzo che adorna il portone di Casa Versace, in Via Gesù 12 a Milano, è uno di questi simboli: lo sa bene Camille Vivier, che ne ha scattato un’iconica fotografia ricostruendone la valenza. Pregna di estetica mitologica, questa piccola ma significativa opera porta con sé una narrazione unica e il “peso” di una storia che è finalmente pronta a farsi scoprire. Pare quasi che l’accattivante piastra decorativa sfugga all’obiettivo della macchina: è decentrata, vola via verso sinistra. Merita attenzione ma solo se si è pronti a correrle dietro.
È in questo modo che comincia il viaggio di Versace Embodied: il progetto, a cura di Dario Vitale, non può essere liquidato relegandone l’appellativo al titolo di mera campagna. Il sentiment è evocativo: celebra la comunità Versace, il racconto di un’intera vita. Non semplice promozione, quanto piuttosto un’azione volta al ricordo, alla consapevolezza e perché no, all’educazione. Una mossa che pur rafforzando ulteriormente un brand già ampiamente consolidato, di questa parte raccoglie solo un piccolo “effetto collaterale”. Attraverso una conversazione che si snoda tra vari capitoli, l’identità di Versace viene letta tramite persone, cultura, opere, e serve a costruire un’atmosfera che ne rimarca la memoria storica, senza la quale non vi sarebbe futuro. La Maison nata nel 1978 si ferma e si domanda “chi sono e come sono arrivata fino a qui?”, impartendosi una lezione autoconoscitiva.
Nell’osservare uno degli scatti della fotografa Andrea Modica, pare di immergersi in vongloediane vibes: c’è un forte senso di intimità nelle sue opere in bianco e nero e gli stessi giovani che scampagnano per il Sud Italia: la sensualità fluida e il punto di vista documentaristico sposano l’approccio Versace, dove il corpo si fa energia e trasmissione sensoriale. A richiamare le origini Mediterranee della Maison, poi, anche la citazione ai Bronzi di Riace: un frame storico – e anonimo – rivela la curiosità e l’interesse della folla – tra l’ossessivo e lo stupore – per questi colpi scultorei, presentati al Quirinale nel 1981.

Il concetto di fisicità viene poi ulteriormente estrinsecato da artisti come Collier Schorr: le sue illustrazioni sono accennate, quasi deboli e vulnerabili. Suggeriscono di valutare il corpo come un ammasso di sentimenti, nella sua qualità umana. Anche la poesia di Eileen Myles, “Put it back”, viaggia tra le sensazioni più intime – a cui fa da letto il background blu – e le eccitazioni corporali più istintive, immortalate in modo quasi fluorescente da una tonalità simil-aranciata. L’accezione sessuale “rubbing into you | now | everywhere” si perde in quell’abisso di emozioni che è il sentire dell’essere, al di là della semplice presenza carnale. Impossibile non menzionare, poi, l’apporto di Olly Elyte, modello, artista e ballerino: il suo intervento a New York e Los Angeles si concretizza in spazi comunitari per la danza: il corpo diviene performance nel suo più profondo atto comunicativo.
È una moodboard ben definita, quella di “Versace Embodied”. D’altronde il titolo del progetto nasconde un duplice significato: se letteralmente “Embodied” vuol dire “che si fa corpo, incarnato”, il valore interpretativo premia i sostantivi “essenza, presenza, vissuto”. Ricostruisce, mette insieme gli indizi. Versace veste e si veste: traccia il passato e ne fa tradizione orale, tramandando la propria storia con la forza della simbologia.
Per ora, è stato svelato solo il Capitolo 1 di questo avvincente romanzo. E l’implicazione di un rilascio progressivo risulta coerente con la missione del progetto: un’esperienza culturale verso una ritrovata e più consapevole identità.


