Vija Celmins alla Fondation Beyeler: silenzi cosmici e contemplazione meticolosa

La Fondation Beyeler dedica a Vija Celmins (*Riga, 1938) una delle retrospettive più estese mai allestite in Europa, aperta al pubblico dal 15 giugno al 21 settembre 2025. La mostra, frutto di una collaborazione diretta con l’artista, riunisce circa 90 opere — fra dipinti, disegni, sculture, stampe — accomunate dalla tensione tra la finitezza del gesto e l’infinitezza dei paesaggi rappresentati.

Celmins, artista di origini lettoni naturalizzata statunitense, ha costruito la propria carriera in modo riservato e rigoroso, mettendo in secondo piano le tendenze del momento per concentrarsi su un modus operandi molto personale. L’esposizione offre un excursus cronologico che parte dai primissimi dipinti realizzati a Los Angeles tra il 1964 e il 1968, oggetti quotidiani riprodotti con una tavolozza smorzata: lampade, piastre, stoviglie, rappresentati secondo una sensibilità a metà strada tra il silenzio morandiano e la finezza velazquezza. In queste opere emerge già una ricerca dell’essenzialità, in aperto contrasto con la vivacità della Pop Art californiana.

Negli anni immediatamente successivi (1965‑67), il suo sguardo si sposta verso il reportage bellico: pitture tratte da riviste illustrate raffiguranti aerei, momenti di violenza urbana, immagini di conflitti posti di fronte al pubblico con la stessa attenzione minuta usata per gli oggetti. Il risultato è un effetto straniante, grazie all’assenza di retorica e all’atemporalità della rappresentazione.

Il cuore della mostra è dedicato ai disegni su carta realizzati dal 1968 al 1992: immagini della luna, delle nuvole, dell’oceano e del deserto — molte tratte da fotografie NASA o scattate dall’artista stessa. I disegni, costruiti con infiniti strati di grafite e carboncino, esibiscono una precisione quasi maniacale, e al contempo invitano a immergersi in un silenzio contemplativo, dove profondità e superficie dialogano senza soluzione di continuità. Il percorso prosegue con le prime ragnatele (dal 1992), delicate architetture di filamenti concentrici, strumenti di visione visiva di estrema sensibilità e fragilità.

Tra le sculture, una citazione significativa è To Fix an Image in Memory I–XI (anni ‘70‑’80): undici pietre raccolte in Nevada accanto alle rispettive repliche in bronzo, dipinte con tanta precisione da rendere indistinguibili gli originali dalle copie. Qui si manifesta la tensione fra reale e memoria, tra presenza materiale e ricostruzione mentale.

Le scelte espositive privilegiano la sobrietà: le opere, distribuite in ambienti luminosi ma raccolti, stimolano un contatto diretto con il lavoro dell’artista, offrendo al visitatore il tempo e lo spazio per una contemplazione calma, quasi meditativa.

Negli anni più recenti, Vija Celmins realizza opere di grandi dimensioni che raffigurano fiocchi di neve illuminati da luci stellari contro fondi notturni, confermando il suo interesse per il bianco, il nero, il silenzio e la tensione fra limitato e illimitato. La neve, come nuovo orizzonte visivo, diviene l’estrema espressione di una quiete primaria e misteriosa.

Il catalogo, pubblicato da Hatje Cantz, è curato da Theodora Vischer e James Lingwood, e include scritti e note della stessa Celmins, più riflessioni critiche di figure come Julian Bell, Marlene Dumas, Teju Cole, Glenn Ligon, tra gli altri. Un apparato teorico che accompagna il visitatore in una lettura stratificata, e mai riduttiva, dei contenuti.

La mostra pone una domanda estetica fondamentale: in che modo l’arte può misurarsi con l’infinito senza cedere alla retorica, attraverso una lente visiva essenziale? Celmins dimostra che il disegno e la pittura — pratiche spesso considerate minori rispetto al discorso concettuale o installativo — possono conversare con il sublime, se affrontati con lentezza e attenzione estrema.

Criticamente, l’esposizione è un’occasione preziosa per riflettere sul tempo dell’osservazione, di fronte a un’arte che esige calma e contemplazione. In un panorama sovraccarico di immagini e stimoli, l’opera di Vija Celmins — nitida, silenziosa, resistente — propone una strategia di fronte al visibile: il vedere come atto meditativo, il materiale come dignità autonoma, l’inerzia come presenza piena.

L’allestimento è coerente con questa filosofia estetica: luci indirette, pareti sobrie, spazi di distanza calibrati in modo da favorire la relazione tra opera e fruitore. È un invito a rallentare, a scegliere il tempo dell’osservazione minima, a navigare gli interstizi fra piano e profondità, superficie e vuoto.

Vija Celmins resta un’artista elusiva e rigorosa, fedele a sé stessa. Una rara sintesi tra controllo esecutivo e attitudine contemplativa che, in questa mostra, trova una cornice perfetta per definire i contorni di un’arte che agisce per sottrazione e per sottrazione conduce verso visioni indisturbate

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