What Remains: la poetica dei frammenti ritrovati di Cianne Fragione in mostra a New York

Cianne Fragione apre la porta del suo studio con un luminoso sorriso. L’aria è intrisa della polverosa e pungente fragranza dei materiali che l’artista impiega nella sua pratica, un misto di pigmenti, oggetti, detriti minerali e organici, carta e tela, mentre la luce filtra dalle ampie finestre accarezzando tele ed elementi sparsi in quella che appare essere una magica e caotica Wunderkammer creativa. Siamo nel cuore di Truxton Circle, a Washington D.C., ma basterebbe chiudere gli occhi un istante per ritrovarsi altrove: in un paesaggio interiore fatto di stratificazioni, gesti sospesi, parole cucite tra strati di materia e ricordi. È questo il mondo di Cianne Fragione, artista americana dalle profonde radici italiane, capace di trasformare ogni opera in un dispositivo poetico, dove l’astrazione incontra la memoria, colore e frammenti si fanno linguaggio, e il tempo—quello personale, quello storico, quello emotivo—si piega sotto il tocco delle sue mani.

La sua mostra personale What Remains, in corso alla Nunu Fine Art Gallery di New York, è una costellazione di segni e reliquie visive che attraversa cinque anni di lavoro. Dipinti, disegni, collage e assemblaggi si intrecciano in un lessico artistico che sfida le definizioni, restituendoci la complessità di un’identità artistica che si muove con grazia tra le pieghe dell’astratto e del tangibile. Un vocabolario creativo variegato, dove la pittura astratta si interseca con la scultura, le parole si fanno soglie, oggetti, immagini e ricordi si sovrappongono trovando un nuovo senso e stendendo nuove cartografie dell’anima. Fragione non racconta storie, le evoca. E in ogni frammento, in ogni giustapposizione, in ogni silenzio, ci invita a fermarci e domandarci: cosa resta?

In questa conversazione a cuore aperto, l’artista ci accompagna dentro il suo processo creativo, rivelando radici, rituali e visioni che attraversano il suo lavoro come vene sotterranee. Un viaggio intimo tra arte e vita, dove ogni più piccolo segmento conta.

Cianne Fragione What remains veduta dell installazione alla Nunu Fine Art Gallery photo credit Martin Seck

What Remains: puoi raccontarci il significato del titolo della tua nuova mostra presso la Nunu Fine Art Gallery e come si collega alla tua recente evoluzione artistica?

Sento le donne conversare incessantemente, le loro voci si levano dalla luce del sole e dalle ombre della piazza fino al balcone del mio studio, oppure le colgo per caso durante le mie passeggiate in città”.

Queste parole restano nella memoria e, come un elemento di collage, l’aggiunta di questi resti evoca i rudimenti delle loro storie e identità. Quanto basta, spero, per caricare le nostre congetture davanti all’immagine, per stimolare l’invenzione poetica dello spettatore. Le proprietà talismaniche dei frammenti di materiale — ovvero oggetti usati da individui specifici le cui vite, sogni e desideri si sono intrecciati con la mia esistenza — entrano nella mia pratica e il loro potere si rinnova attraverso la mia interazione con essi.

Il tuo lavoro si basa su un profondo rapporto con quello che è il tuo processo creativo, una modalità personalissima che hai sviluppato nel tempo. Ci racconti da dove nasce questa tua esigenza creativa?

È importante che io mi abbandoni completamente al processo costruttivo, e dunque il tempo finirà inevitabilmente per diventare un elemento significativo nel mio lavoro. Il processo è come una lunga conversazione, piena di spazi, di risposte meditate, periodicamente segnato da occasioni per tornare sui propri passi e poi procedere nuovamente in avanti. Di conseguenza, una relazione tra tempo ed opera — intesa sia come lavoro creativo, sia come opera d’arte — sarà sempre, in una certa misura, tematica.

Intrattieni un profondo legame con la poesia e il potere simbolico delle parole. Molte delle tue opere più recenti dialogano con Mediterraneo e Ossi di Seppia diEugenio MontaleIn che modo queste raccolte di testi (e le parole in generale) risuonano con la tua concezione artistica?

La poesia è una fonte di ispirazione di particolare importanza. Offre un punto di partenza. Un verso poetico può diventare un titolo o un portale per addentrarsi nell’opera, che a sua volta avvia o apre una sorta di spazio libero. Se utilizzo testo nel mio lavoro, esso diventa un segno distintivo, e creo frammenti eliminando parole e aggiungendo segni visivi e linee mentre leggo.

Nel mio studio, preparo la scena attraverso la musica. Poesia e musica si uniscono così nel processo creativo. In questo momento, predomina la musica della Taranta. Anche la poesia di Montale e di Ignazio Buttitta, un siciliano. Tutti e tre sono permeati di angoscia, dolore e gioia, come un viaggio umano di trasformazione e redenzione. Ma quando sono immersa nel lavoro, non sento più la musica. Esiste solo l’opera.

Cianne Fragione Group view of Bundles 2020 2025 mixed media photo credit Martin Seck

Le tue precedenti serie Gate to the Ionian Sea e Fragments of Carrara / Journey to the Ionian Sea fanno riferimento alla costa meridionale italiana, dove hai trascorso diversi soggiorni. Che rapporto intrattieni con il tuo retaggio italiano, con la cultura e il particolare paesaggio di questi luoghi? Che genere di dialogo nasce dall’esplorazione di questi “territori dell’anima”?

Un paesaggio. Una linea d’orizzonte. Un cielo. Lo spazio. Questi elementi sono comuni a ogni paesaggio. I dettagli della superficie rivelano elementi specifici, localizzati, unici. Perché siamo attratti da un luogo piuttosto che da un altro? La risposta si trova nel modo in cui questi vari elementi si unificano nelle loro particolari combinazioni di generalità e specificità. E, naturalmente, nel modo in cui risuonano in noi, in chi siamo. Dove ci sentiamo collocati, a casa, in una sorta di armonia. Difficilmente possiamo sottrarci a questa risposta nei confronti dei luoghi che incontriamo.

Le mie preoccupazioni formali e compositive legate alle forme sovrapposte trovano almeno in parte la loro origine nella mia esperienza del paesaggio italiano, soprattutto del Sud Italia. Dall’alto di una delle catene montuose che si innalzano bruscamente sopra la costa ionica, con le acque in vista, la prospettiva visiva semplicemente scompare o si dissolve, allineandosi in una prospettiva semplice e piatta, simile a uno schermo, quasi una non-prospettiva. Non è facile determinare le precise relazioni spaziali o le distanze tra spiaggia e mare, mare e orizzonte, cielo e nuvole. L’effetto è inspiegabile — in sé, e nella sua somiglianza con un dipinto, con la cosiddetta immagine bidimensionale.

Inoltre, la piana, che scende a strapiombo, il bianco abbagliante delle spiagge, l’azzurro squisito e quasi traslucido del mare, e il cielo morbido e fragile, collaborano tutti a creare una visione di straordinaria bellezza. La luce è argentea, quasi bianca. Potresti rimanere a contemplare per sempre quelle silenziose e tranquille stratificazioni di luce e forma. Il mistero aleggia su tutto ciò che chiamiamo ordinario, non è vero? La vita è fragile, evanescente, eppure resistiamo e continuiamo a creare e ricreare le nostre vite in una narrazione di vulnerabilità e forza.

Cianne Fragione Bundles Seacoasts Among Fragrances Winds Decoy 2024 mixed media photo credit Martin Seck

Lo spazio, il tempo, la luce e il colore intessono un rapporto molto particolare con la tua pratica artistica: qual è la tua relazione con questi elementi e in che modo li incorpori nelle tue opere?

Lo spazio è un “luogo” in cui mi inoltro, un territorio, e alcune delle mie opere riguardano principalmente lo spazio. Altre, invece, si concentrano sul processo di costruzione. Ma entrambe si muovono verso un senso di armonia espresso attraverso la linea, il colore, il segno, la composizione; tutto conduce a un insieme, a una totalità, come una danza nella sua interezza.  Dovrebbe trasmettere un’atmosfera o un carattere intrinseco, un senso di tempo e luogo specifici, un reticolo di associazioni.

Eppure, non posso escludere la realtà presente dello studio. C’è, ad esempio, una finestra incrinata e rotta, che ho coperto con strati di plastica traslucida per mantenere caldo lo studio durante l’inverno. Ma ho mai sostituito questa fiestra particolare, perché ne traggo ispirazione. La luce del mattino qui tende a essere troppo intensa, e schermandola con i fogli di plastica ottengo una luce morbida e meravigliosa. Quando lavoro la sera e le luci sono accese, l’oscurità che filtra dalla finestra è come un sussurro. Il mio ambiente mi influenza. Non cerco di controllarlo.

Il tuo processo di ricerca rievoca a tratti tanto il lavoro dell’archeologo, quanto quello del collezionista: le tue creazioni nascono spesso dall’incontro con oggetti e da un meticoloso lavoro di stratificazione, assemblaggio e trattamento delle superfici. Come prende forma l’idea di una creazione? E quale ruolo attribuisci allo spettatore? È chiamato anche lui a uno sguardo indagatore, quasi archeologico, nell’approcciarsi al tuo lavoro?

Gran parte del mio lavoro si sviluppa a partire dal mio perpetuo interesse per i frammenti di linguaggio scritto, i materiali trovati e gli spazi — “ciò che è sepolto [sotto], per essere ritrovato.” Questa citazione è mia e si riferisce ai siti archeologici dell’antichità greca lungo il Mar Ionio, dove ho vissuto per alcuni mesi.

Le mie opere su carta, realizzate con materiali legati a quei paesaggi — colori fatti a mano, pigmenti grezzi, tessuti, oggetti referenziali di vario genere —cercano una bellezza luminosa e seducente. Inoltre, incarnano un’idea di ricombinazione che riflette il mio interesse per spazi multipli e giustapposti, un profondo senso pittorico del paesaggio e della luce, e materiali frammentati in raccolte di piccole vedute o vignette visive.

L’arte è elementare e, per me, la bellezza è davvero importante. Ci cattura e ci consente di trasformarci. Permette allo spettatore di vedere e sognare con i propri occhi, attraverso le proprie esperienze e la propria coscienza.

Questo, credo, è ciò che un’opera d’arte dovrebbe fare: essere un’esperienza diretta, immediata e intuitiva per lo spettatore, senza che esista giusto o sbagliato.  Non cerco di imporre o determinare l’esperienza di chi guarda, ma se l’opera riesce a farti sognare, a cambiarti o a smuoverti in qualche modo, allora ha assolto il suo compito.

Cianne Fragione Sacred Cheese Fields of Wild Fennel 2018 2020 oil based paint collage ink pen walnut ink on paper photo credit Lee Stalsworth

Sostieni il potere evocativo ma anche poietico (creativo) dell’oggetto stesso. L’oggetto può diventare qualcosa di diverso da sé oppure rivelarsi strumento, medium della tua pratica artistica: penso ad esempio agli ossibuchi (marrow bones) che tieni nel tuo studio e che utilizzi talvolta per stendere il colore, e che a loro volta si trasformano in sorte di talismani, mutati dallo strato di pittura. In che modo ti relazioni agli oggetti e cosa determina la tua scelta di un oggetto rispetto a un altro?

Il mondo è pieno di oggetti e se questi catturano il mio sguardo, possono trovare la loro strada verso lo studio, che è esso stesso un microcosmo del mondo. Tra questi vi sono, ad esempio, gli ossibuchi — ossa rotonde che, dopo ripetuti lavaggi, diventano lisce e bianche. Ero solita disegnare con sottili strati di pittura a olio e, dopo averle usate per applicare il colore, queste ossa finivano per trasformarsi in piccole sculture a sé stanti.

Nel mio studio, osservo come oggetti e materiali interagiscono tra loro in termini di forma e composizione, come si servano a vicenda nella singola opera e nel mio processo decisionale. Questo si collega alla mia concezione del processo inteso come bricolage, un recupero di opere precedenti riutilizzando scarti e frammenti presi da altri lavori e oggetti, resti di linguaggio scritto e reliquie del passato, così come a una riflessione tematica sulle origini. La varietà dei materiali — pigmenti grezzi, tessuti, elementi architettonici, detriti cartacei — non fa che ampliare ed espandere la sostanza tematica.

Cianne Fragione Group view of Bundles 2020 2025 mixed media photo credit Martin Seck

Il tuo percorso formativo è stato arricchito da molteplici prospettive: gli artisti della Beat e della Funk Art della Bay Area di San Francisco, gli espressionisti astratti, lo studio del Rinascimento italiano e dell’arte dell’antichità. Come sei riuscita a incanalare influenze così diverse costruendo una visione estetica originale e personale?

Per prima cosa, vedo il colore ancora prima di dipingere. È già lì. Il colore è fondamentale. La pittura è sempre il cuore del mio lavoro. Per questo motivo, ho seguito la mia naturale affinità con i grandi coloristi italiani, non solo i veneziani del Rinascimento, ma anche, per esempio, Marino Marini. Una gestione del colore insuperabile.

Ho iniziato a esplorare la storia dell’arte italiana in giovane età e sono stato attratta in particolare dai frammenti sopravvissuti dell’antichità classica, che sono incompleti, formalmente suggestivi, pieni di mistero, eppure in qualche modo familiari. A sedici anni ho visto il Mosè di Michelangelo, un momento di svolta nel mio modo di pensare a ciò che potevo realizzare come artista. La scultura mi ha spinto a cercare modi per fondere elementi visivi con la danza — avevo iniziato a formarmi come ballerina all’età di quattro anni — e a portare la mia materia fuori dalla superficie piana, nello spazio. Decenni dopo, sto ancora esplorando questo concetto dinamico, in particolare nelle opere a tecnica mista combinando pittura a olio (che preparo io stessa), collage ed elementi scultorei.

Per quanto riguarda gli artisti Beat e Funk della San Francisco Bay Area: sento ancora un’affinità con loro. Posso rilevare influenze residue tratte soprattutto dalla loro enfasi materica su un processo fisico e appassionato, e dalla loro elevazione della ricca traccia tangibile del processo di creazione al di sopra del virtuosismo ridondante o della finitura raffinata. Gli espressionisti astratti erano certamente virtuosistici. D’altra parte, il lavoro degli artisti Beat era rilassato, colloquiale, accessibile, assemblato a partire da materiali provenienti dal mondo reale e riconoscibile intorno a loro, capaci di raccontare la loro percezione di quel mondo.

Inoltre, ho scelto consapevolmente di studiare sia con scultori che con pittori, e sin dagli inizi della mia carriera ho mescolato forme tridimensionali, soprattutto in metallo e assemblaggi, con la pittura a olio — un’altra tecnica che associo ad alcuni artisti della Bay Area del dopoguerra che sono stati importanti per me, in particolare Manuel Neri, Jay DeFeo e Bruce Conner.

Poiché la pittura rimane un fondamento del mio processo, sempre integrata con altri materiali, è importante aggiungere che mi sono formata anche con gli espressionisti astratti, guardando attentamente a de Kooning, Kline, Joan Mitchell e, più tardi, Cy Twombly. Nella Bay Area, Frank Lobdell. Tutti loro provavano un amore profondo per la pittura come materia infinitamente flessibile, ma sempre segnata da un’individualità potente — un’eredità che riconosco e accetto.

Sin dall’inizio, ho saputo che si può guardare agli altri artisti e prenderne in prestito qualcosa, ma si deve sempre, sempre essere veri, cercare la verità e fare di essa la propria voce.

Il ricordo è parte di un processo creativo che conduce alla trasformazione, una redenzione dell’ordinario, e alla sua re-incantazione.

La danza, il movimento, rappresentano un altro elemento fondativo della tua formazione: in che modo ti rapporti a questi due concetti e che ruolo gioca la componente dinamica nelle tue opere?

Sono convinta che la mia formazione visiva interdisciplinare influenzi costantemente la mia pratica. Questo include, naturalmente, la mia esperienza professionale iniziale come ballerina. La danza è una disciplina fisica rigorosa e, per fare un’analogia diretta, i miei “movimenti” come artista hanno preso forma da tutti i passi compiuti fino a questo istante, da tutti i media con cui ho lavorato, da tutte le mie esperienze come creatrice.

Ora, però, la tela e il foglio sono il palcoscenico, lo spazio fisico in cui sia la disciplina corporea che l’effimerità della performance di una ballerina vengono orchestrate e inscritte in una forma concreta e articolata. È il senso del movimento di una danzatrice tradotto in un linguaggio visivo fatto di tempo e ritmo.

Per concludere, una domanda più ampia: ci troviamo in un momento storico molto particolare, caratterizzato da grandi cambiamenti che possono generare un senso di spaesamento e alienazione. Quale pensi possa essere il ruolo dell’arte in questi tempi incerti? L’indagine della bellezza e il senso di meraviglia che ne deriva possono contribuire a trovare un nuovo equilibrio, indicando una via percorribile per un ritorno a sé e alla nostra umanità?

L’ho detto in altre occasioni e continua a essere vero per me: “Nella società, nel mondo, abbiamo sempre avuto bisogno di opportunità per vivere la bellezza e l’armonia che l’arte può offrire. Quando un’opera raggiunge una profonda armonia, spinge lo spettatore a fermarsi davanti ad essa e a sognare.”

1 commento

  1. Thank you Maria for the taking the time to interview me and for this wonderful article. It is such a pleasure to work with you.
    The photo of me was taken in my studio by Elliot O’Donovan photograher in DC.

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