Willem Dafoe è Giuda con le poesie di Gabriele Tinti: parole, ombre e redenzione nella Pinacoteca di Brera

Nel silenzio suggestivo della Pinacoteca di Brera, la voce profonda e scolpita di Willem Dafoe attraversa lo spazio con la forza di una preghiera spezzata, o forse di un grido trattenuto. A risuonare sono i versi di Gabriele Tinti, una serie di poesie che danno voce a Giuda, l’apostolo maledetto, la figura più controversa della narrazione cristiana.

Il tutto accade davanti a un capolavoro: Il Cenacolo di Pieter Paul Rubens, oggi collocato nel Laboratorio trasparente di restauro della sala XVIII, in vista di un importante intervento conservativo. Ed è proprio da questo scenario – sospeso tra materia e spirito, arte e parola – che nasce un evento unico.

“La poesia è viva, la trovo ovunque: nel cinema, nell’arte, nelle parole scritte,” racconta Dafoe. “È qualcosa che non si adatta alla logica, un enigma necessario.” Ed è proprio in quella zona ambigua, liminale, che Tinti ha trovato il suo Giuda: non il semplice traditore, ma l’uomo diviso, spinto tra luce e tenebra, illusione e disincanto, obbedienza e condanna.

Le poesie, scritte come una confessio vitae, sono il frutto di una riflessione che affonda le radici nella spiritualità, nella storia dell’arte e nella teologia. Tinti racconta: “Giuda, in questo dipinto, è separato dagli altri, è in ombra, ma guarda lo spettatore. È lui che ci invita a entrare nella scena, a far parte della narrazione. Questo gesto mi ha spinto a scrivere, a rispondere a quella chiamata.” E a quella chiamata ha risposto anche Dafoe, prestando corpo e voce a un personaggio che, più che rappresentato, sembra evocato, risvegliato.

Willem Dafoe and Gabriele Tinti courtesy Guido Gazzilli

Rubens dipinge la sua Ultima Cena a inizio Seicento, rifacendosi a un’iconografia che affonda le radici nel primo Rinascimento fiorentino. Cristo è al centro della tavola, attorno a lui gli apostoli. Pietro, Giovanni, e in disparte, dall’altra parte del tavolo, Giuda. La figura è immersa nell’ombra, con i capelli neri corvini, come vuole la tradizione. “È il Giuda più Giuda dell’intera storia dell’arte europea,” dice con orgoglio Angelo Crespi, direttore generale della Pinacoteca. “Un Giuda complesso: cattivo, sì, ma anche timoroso. Forse persino consapevole di essere strumento della passione e della resurrezione.”

Un dettaglio non da poco, visto che l’opera stessa è frutto di una storia di scambi e destini incrociati. “Il Cenacolo fu acquisito da Brera nel 1813,” ricorda Tinti, “come parte di uno scambio con il Louvre, all’epoca diretto da Vivant Denon, che offrì alcuni capolavori dei maestri fiamminghi in cambio di opere rinascimentali italiane. È una tela che viene da lontano, con un’eredità pesante.” Il momento del restauro, quindi, non è solo una parentesi tecnica, ma anche un’opportunità narrativa. “Inizialmente avevamo pensato di rimandare il reading,” confessa Tinti, “ma poi ho capito che era perfetto così: proprio in questo momento in cui il dipinto riceve una cura materiale, potevamo offrirgli anche una cura spirituale.”

L’interpretazione di Giuda offerta dalle poesie di Tinti non è consolatoria, ma neanche semplicemente accusatoria. Al contrario, scava, esplora, mette in discussione. Lo fa anche grazie a una rilettura dei Vangeli, inclusi quelli gnostici, come quello di Giuda, scoperto solo nel secolo scorso e oggi considerato una delle testimonianze più radicali del primo cristianesimo. Secondo questa visione, Giuda non è spinto dal male, ma da un disegno divino: “Era l’unico abbastanza forte da tradire,” dice Tinti, “l’unico in grado di sopportare il peso dell’atto necessario alla liberazione di Cristo dal corpo. Per gli gnostici, Giuda non è il maledetto, ma il prescelto.”

Gabriele Tinti Rubens Brera courtesy Mattia Zoppellaro

E non solo secondo i testi gnostici: anche nei Vangeli canonici, Giuda riceve un ordine diretto. “Dopo quel boccone, Satana entrò in lui,” scrive Giovanni, “e Gesù gli disse: ‘Quello che devi fare, fallo subito.’” Nei Vangeli, negli Atti, persino nei Salmi si fa riferimento a un Giuda necessario, predestinato. “Il tradimento,” osserva ancora Tinti, “non è un atto di odio, ma un gesto d’amore: il bacio che dà a Gesù non viene respinto. Anzi, Cristo gli risponde ‘amico’, compagno.”

Il reading, filmato e destinato a essere reso pubblico (il video della performance sarà, infatti, disponibile da mercoledì 9 aprile sul canale YouTube della Pinacoteca di Brera e su pinacotecabrera.org), si fa atto rituale. Un incontro tra parola e immagine, tra voce e pittura. “La poesia non ha nulla da vendere,” dice Tinti. “È un atto solitario, spesso ignorato, ma necessario. Come un tentativo, una domanda lanciata nel buio.” Anche Dafoe lo sottolinea: “Mi piacciono le sue poesie perché sono fisiche, essenziali. C’è qualcosa di tangibile in loro. Ti permettono di entrare in un dialogo interiore.”

Questa essenzialità ha accompagnato altri progetti condivisi tra i due, ma in questo – complice l’opera di Rubens, l’aura della Pinacoteca, la figura di Giuda – la riflessione si fa più profonda. “Sono attratto dall’ombra,” ammette Tinti. “Dai personaggi che stanno al limite, tra luce e oscurità. Non perché siano malvagi, ma perché in loro ci riconosciamo. Tutti, in fondo, siamo Giuda.”

Ed è questa l’intuizione più potente del progetto: non riabilitare Giuda, ma ascoltarlo. Riconoscerlo. Scoprire in lui – nella sua paura, nel suo dubbio, nella sua fragilità – la nostra stessa condizione umana. “Siamo qui per cercare,” dice Tinti, citando Sant’Agostino. “Anche la fede è una ricerca, un tentativo. E la poesia è una delle forme più oneste di questo tentativo.”

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