La Fondation Beyeler dedica a Yayoi Kusama la prima grande retrospettiva monografica in Svizzera che comprende oltre trecento opere tra dipinti, sculture, installazioni, alcune mai esposte prima in Europa. Il percorso attraversa l’intera parabola creativa di Yayoi Kusama e, al tempo stesso, il suo universo interiore, partendo idealmente dal caos per approdare lentamente alla quiete, attraversando fissazioni che diventano linguaggio e un impulso compulsivo che, invece di distruggere, genera uno dei lessici visivi più riconoscibili del nostro tempo.
Dalle prime opere giovanili, ancora sperimentali come Infinity Nets, si passa alle opere degli anni Sessanta, quando Kusama diventa figura chiave dell’avanguardia, fino alle celebri Infinity Mirror Rooms, esperienze immersive che dissolvono i confini tra corpo e spazio. Tutte le opere hanno in comune la capacità di sublimare l’ossessione trasformandola in armonia.
Kusama nasce nel 1929 a Matsumoto, in Giappone, in un ambiente familiare rigido e conservatore, dove la fantasia è guardata con forte sospetto. Fin dall’età di dieci anni soffre di allucinazioni, in particolare, orde di puntini si estendono nel suo campo visivo fino quasi a cancellare la realtà. Da questo disturbo nasceranno i polka dots, che saranno poi la sua firma artistica e il mezzo attraverso cui l’artista diventerà iconica. Tra i pezzi esposti in Svizzera, uno dei più significativi caratterizzato dai pois è Pumpkin (1991), in cui la forma organica della zucca, motivo ricorrente nell’arte di Kusama, si trasforma in una superficie ritmica scandita da puntini di varie dimensioni che giocano con luci e ombre e accentuano le curve della scultura.

Nel 1958, ispirata ed aiutata in senso pratico da Georgia O Keefee, Kusama lascia la provincia giapponese per approdare a New York. La scena artistica è dominata dagli uomini, ma lei riesce a imporsi con un linguaggio personale, nato dall’incontro tra la disciplina grafica orientale e la libertà dell’avanguardia americana. E alla Fondation Beyeler questo intreccio culturale si respira; la mostra è “molto giapponese” non solo per l’essenzialità dei muri bianchi, ma per la presenza della natura, che dialoga con l’architettura e accoglie all’esterno Narcissus Garden (1966–2020). Si tratta di un’installazione composta da sfere specchianti disseminate in un lago; queste trasformano lo spazio in un paesaggio mentale di riflessi infiniti, così che il visitatore diventa al tempo stesso osservatore e parte dell’opera, dissolvendosi armoniosamente nella realtà.

Le opere si snodano lungo più di dieci sale e oltrepassano i limiti dell’edificio, travalicando i confini tra interno ed esterno. Le iconiche Infinity Mirror Rooms e le sculture di Kusama creano un contrappunto di luce, colore e forma: un’interazione continua tra spazio, natura e percezione. Tra queste, Infinity Mirrored Room: Illusion Inside the Heart (2025) offre un’esperienza immersiva totale, in cui lo spettatore può abbandonare l’ego immergendosi in un’illusione che si dilata fino a diventare infinito. Nelle creazioni di Kusama, ogni punto, rete o riflesso risponde a una visione interiore, a un bisogno di ordine dentro la confusione. Laddove l’Espressionismo Astratto rivendicava l’io, Kusama cerca invece di annullarlo: non affermare sé stessa, ma disperdersi nell’infinito per sfuggire al caos della mente.

In mostra si percepisce anche un’altra qualità: la presenza di forme ripetute ma non simmetriche, protuberanze falliche, come se il ritmo interiore dell’artista fosse capace di generare equilibrio anche nell’irregolarità. Ne è esempio l’opera giovanile Accumulations, un’installazione simile ad una sedia con rilievi irregolari ed evocativi: l’artista li userà spesso per esprimersi. Dopo oltre sette decenni di carriera, tra arte, moda e performance, Kusama è diventata un’icona vivente: il suo segreto è stato la capacità resiliente di non soccombere di fronte agli aspetti spaventosi dei propri disturbi.
La sua opera non insegue la poesia, semmai la sovverte, sbeffeggiando le paure, diventando spazio terapeutico condiviso, poiché si fa registro stilistico attraverso cui raccontare i propri traumi. L’esperienza personale diventa codice universale, e proprio in questo passaggio Kusama parla una lingua immediata, fatta di colore, simmetria e ripetizione, che conquista chiunque, seppure a digiuno delle nozioni necessarie per approcciarsi all’arte contemporanea.
Alla Fondation Beyeler, questa lingua trova piena espressione; nei riflessi delle Mirror Rooms, nelle zucche, nei tentacoli, nei pois, in quell’infinita moltiplicazione di forme che, più che confondere, restituisce, stranamente, un senso di quiete.



