Zhang Zhaoying – Lifelong Beauty, in mostra dall’8 maggio al 3 agosto 2025 al secondo piano del Museo di Palazzo Grimani di Venezia, segna l’ingresso ufficiale in Italia di uno degli artisti più incisivi della scena contemporanea cinese. La rassegna, curata da Lü Peng, Li Guohua e Carlotta Scarpa, propone 26 opere che attraversano oltre trent’anni di ricerca visiva, offrendo uno sguardo profondo e stratificato sull’evoluzione del linguaggio pittorico di Zhang Zhaoying, autore che ha saputo trasformare la propria formazione in una grammatica originale, colta e potentemente scenica.
Zhang Zhaoying, nato a Guangzhou nel 1988 e formato tra il Sichuan, Bruxelles e Macao, è tra i protagonisti della cosiddetta Nuova Generazione, gruppo di artisti che ha ridefinito il rapporto tra pittura, globalizzazione e media visivi. Nei suoi lavori si intrecciano tradizione figurativa cinese, influenze rinascimentali, gestualità modernista e riferimenti alla cultura pop, in un processo che non è mai né pastiche né citazione sterile, ma ricostruzione attiva e problematizzante.
Il titolo della mostra, Lifelong Beauty, mette a fuoco un nodo tematico che pervade tutta la sua produzione: la bellezza come tensione, come processo instabile da osservare ai margini, in equilibrio precario tra l’immaginazione e la realtà. La bellezza, in Zhang, è inseguita, smontata e rimontata, talvolta ironicamente sabotata, ma sempre interrogata con una pittura minuziosa e stratificata, che alterna superfici levigate a inserti grotteschi, elementi surreali e apparizioni inattese.
L’impatto con i dipinti è immediato e ambiguo. Ogni tela si presenta come una scena teatrale, spesso dominata da figure iconiche, simboli globali, animali fuori scala e scorci da cartolina. Ma l’illusione narrativa si infrange presto: polipi giganti, gamberi sovradimensionati, elementi di disturbo visivo fluttuano in ambienti formalmente coerenti, creando una tensione tra il visibile e il pensabile, tra il senso e il nonsense. Zhaoying usa la pittura per costruire “trappole visive”, come le ha definite il curatore Lü Peng: dispositivi che attirano lo sguardo ma impediscono ogni lettura univoca.
Lo stile pittorico di Zhang Zhaoying è fortemente controllato. Le sue opere si distinguono per una tecnica raffinata, dove coesistono pennellate morbide, passaggi tonali calibrati e una capacità compositiva che dimostra tanto perizia accademica quanto una consapevolezza ironica della storia dell’arte. Se da un lato si avvertono gli echi delle avanguardie europee e delle grandi narrazioni rinascimentali, dall’altro emerge una cifra personale che sfugge a ogni classificazione. Ogni opera sembra dialogare non solo con il proprio tempo, ma anche con il passato e il futuro della pittura, in un confronto mai nostalgico ma sempre attivo.
A rendere la mostra ancora più significativa è l’allestimento nelle sale del Palazzo Grimani, raro esempio di architettura rinascimentale a Venezia, arricchito da stucchi e affreschi cinquecenteschi. Le stanze che ospitano la collezione archeologica dialogano con le tele di Zhang in un confronto affascinante tra memoria classica e immaginario contemporaneo, tra la solidità delle statue greco-romane e la volatilità delle visioni pittoriche dell’artista. Un’operazione curatoriale lucida, che valorizza tanto l’opera quanto il contesto.
Accanto al tema della bellezza, emergono con forza le riflessioni sull’identità, la percezione culturale e la mediazione tecnologica. In un’epoca segnata da un flusso costante di immagini e informazioni, Zhang affronta il presente non con cinismo ma con una consapevolezza stratificata, che traduce l’ipertrofia visiva del nostro tempo in quadri complessi, affollati ma mai caotici, sempre capaci di interrogare lo spettatore. Il quadro diventa una finestra su un mondo parallelo e familiare allo stesso tempo: un luogo dove le coordinate spaziali si dissolvono e dove ogni certezza è sospesa.esto è quello di chi interroga, ricuce, disegna ciò che non si può più vedere. Così facendo, restituisce al pubblico un senso più ampio del fare arte oggi: prendere posizione, dare forma al dolore, custodire la memoria altrui come fosse propria.