China Now. La parola a Uli Sigg, il più grande collezionista al mondo di arte cinese

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In occasione della mostra “CHINA NOW. Arte contemporanea dalla Sigg Collection” allo Spazio CARME di Brescia, Artuu ha intervistato l’imprenditore e collezionista svizzero che oggi vanta oltre 3mila opere d’arte cinese. Scoprendo che, tra tensioni geopolitiche e cambiamenti globali, anche l’arte cinese sta cambiando rapidamente volto

di Elisabetta Roncati

Il collezionista d’arte svizzero Uli Sigg a casa di Zeng Fanzhi durante le riprese del film di Michael Schindhelm sulla sua vita. Il signor Sigg è in piedi davanti al suo ritratto dell’artista Zeng Fanzhi. (immagine gentilmente concessa da Icarus Films)

Classe 1946, di nazionalità svizzera, primo businessman occidentale a stabilirsi nel Paese subito dopo la dichiarazione della Open Door Policy (una manovra politica avviata dallo statista cinese Deng Xiaoping nel 1978 per consentire agli investitori occidentali di operare nel Paese), Uli Sigg è un imprenditore e collezionista d’arte che nel tempo ha sviluppato un grande interesse e una vastissima competenza sull’arte contemporanea cinese: prima di diventare ambasciatore svizzero in Cina, Corea del Nord e Mongolia, Sigg ha infatti cominciato a collezione opere d’arte contemporanee arrivando a possederne più di 3.000. La sua è oggi in assoluto la più vasta collezione d’arte cinese al mondo. È lui infatti il primo a interessarsi, ancora negli anni Ottanta, ai primi artisti cinesi ad approcciarsi all’ancora acerbo mondo dell’arte cinese con uno sguardo “contemporaneo”, e ha continuato a farlo per decenni, non solo accumulando la sua vastissima collezione, ma anche interagendo direttamente con gli artisti e per molti versi influenzando lui stesso il mercato dell’arte cinese. “La Cina è un paese vastissimo: lì puoi trovare tutto e il contrario di tutto”, ha detto Sigg. E oggi, la mostra aperta a Brescia fino al 3 settembre allo Spazio C.AR.M.E di Brescia ne è la perfetta testimonianza.

“CHINA NOW. Arte contemporanea dalla Sigg Collection”

I dipinti, le fotografie, le sculture e i video in mostra a Brescia sono esposti per la prima volta in Italia e testimoniano come la Cina, negli ultimi cinquant’anni, abbia intrapreso un nuovo modo di “fare arte”, a cavallo tra cultura occidentale e antiche tradizioni millenarie: una sorta di unione tra “Yin e Yang” percepita come la creatività del futuro. Gli autori in mostra a Brescia, grazie allo sforzo congiunto delle Associazioni BELLEARTI e CARME, sono Ai Weiwei, Gu Changwei, He Xiangyu, Gu Wenda, Gabriele Di Matteo (unico artista occidentale presente, ma che da oltre quindici anni ragiona sui concetti di copia, di originalità e di falsificazione con un progetto di rielaborazione dei più celebri lavori di arte contemporanea cinese, ndr), Jin Shan, Li Jinghu, Liu Wei, Tsang Kin-Wah, Shao Fan, Tian Wei, Ke Ma e Made In Company, rappresentati da oltre 30 opere, a testimonianza del processo di evoluzione ed emancipazione dell’arte cinese degli ultimi decenni. Come del resto il collezionista svizzero ha fatto promuovendo altre mostre sul territorio italiano: dall’FM Centro per l’Arte Contemporanea di Milano, al Castello di Rivoli.

Ecco, in esclusiva per “Artuu”, che cosa ci ha raccontato Uli Sigg su cosa ha rappresentato e dove sta andando l’arte cinese di oggi.

Ogni collezione è un processo materializzato. È un distillato della visione del collezionista, della sua immaginazione, intuizione e passione, degli sforzi di ricerca, delle opportunità colte, delle risorse messe a disposizione, del duro lavoro e della sua mancanza”. A partire da questa dichiarazione, che ha rilasciato nel 2018, in occasione della mostra milanese “The Szechwan Tale. China, Theatre and History”, ci può brevemente descrivere come è nata la sua collezione?

U.S. In realtà è nata in maniera molto semplice: all’epoca non c’era nessuno in Cina che potesse rappresentare la produzione artistica contemporanea del Paese. Così ho scelto di auto assegnarmi questo compito.

Come è cambiata la scena artistica cinese dagli Anni Settanta del Novecento ad oggi?

U.S. La fine degli Anni Settanta è coincisa in Cina con un’arte che potremmo definire “autonoma”, nella misura in cui gli artisti potevano scegliere i soggetti su cui focalizzarsi piuttosto che essere strettamente vincolati dalle commissioni impartite da accademie e istituzioni governative. In pratica l’inizio dell’arte contemporanea cinese. Le opere prodotte in quel periodo, ad un primo impatto, sembravano derivare fortemente dall’arte occidentale. Questo perché gli artisti venivano, per la prima volta, in contatto con spunti ed informazioni vertenti la creatività al di fuori dei confini della Nazione ed erano, in un certo qual modo, ansiosi di sperimentare varie tecniche. Negli Anni Ottanta, invece, hanno trovato un proprio linguaggio caratterizzante, di pari passo con la progressiva libertà nella creazione artistica. Dopo il 1989, con una prima grande mostra al Bejing National Art Museum, la scena interna ha subito uno shock attribuibile ai fatti di Piazza Tiananmen, che ha dato vita al “pop politico” che ha reso famosa l’arte cinese in Occidente. Bisogna aspettare la fine degli Anni Novanta per vedere la nascita di un vero e proprio mercato dell’arte con una conseguente fioritura della produzione di opere. I lavori sono diventati di dimensioni sempre più grandi e hanno trovato la loro strada verso l’internazionalità. Oggi la creazione viene di nuovo censurata in modo marcato e gli artisti devono adattarsi facendo ricorso a strategie diverse: o più sovversive o decidendo di affrontare temi apolitici.

China Now, exhibition view, Spazio Carme, 2023, courtesy Petrò Gilberti

E il mercato dell’arte?

U.S. Negli Anni Ottanta non esisteva un vero e proprio mercato dell’arte e gli artisti producevano soprattutto in vista di mostre temporanee. È nato negli Anni Novanta, ma i prezzi si aggiravano da poche centinaia a qualche migliaio di dollari. Dopo il Duemila sono davvero decollati. Nella decade precedente ci sono stati periodi in cui ero io stesso a influenzare l’andamento del mercato. È stata la Biennale di Venezia del 1999 a far conoscere al grande mondo dell’arte artisti cinesi che prima non aveva notato: in passato erano stati appannaggio di alcuni professionisti e sinologi o di fanatici della porcellana. I prezzi sono così esplosi nel 2006-2008 e sono stati poi letteralmente abbattuti con il grande crollo dell’arte in Occidente. Oggi si osserva un mercato interno di caratura importante seppur molti collezionisti cinesi, che erano stati fedeli agli artisti locali, hanno iniziato a guardare anche all’arte occidentale.

La pandemia globale da Covid-19 ha modificato l’assetto del sistema creativo cinese?

U.S. Non in maniera particolare, se non per il fatto che era vietato ai visitatori stranieri recarsi nel Paese. Il panorama creativo si è quindi ripiegato su visioni locali.

Nel 2010 ha deciso di donare 1450 opere della sua collezione all’ M+ Museum for Visual Arts di Hong Kong, che ha aperto le porte al pubblico nel 2021. Ci può spiegare il motivo di questa scelta e come mai sia ricaduta proprio su un’istituzione culturale sita ad Hong Kong?

U.S. Fin dal principio avevo stabilito di voler creare una collezione enciclopedica, degna degli sforzi di un museo nazionale all’epoca non esistente, e che l’avrei restituita alla Cina. Immaginate: avevo di fronte il più grande spazio culturale al mondo, ma a nessuno importava cosa stessero creando gli artisti contemporanei. Ho quindi provato a negoziare con Pechino e Shanghai, ma il tutto si è rivelato troppo complesso: definire quale tipo di censura applicare e altri cavilli burocratici. Nel frattempo, sono stato contattato più volte da esponenti di Hong Kong con un enorme progetto museale da sviluppare. In sostanza avevano bisogno del nucleo di base per la loro collezione istituzionale ancora da costruire. Dal 1997 Hong Kong è una regione amministrativa speciale cinese e, all’epoca, mi era garantita libertà di parola oltre che di gusti e scelte artistiche. Così ho scelto loro, facendo dell’M+ Museum l’unico posto al mondo dove poter vedere il dipanarsi della trama dell’arte contemporanea cinese fin dai suoi esordi. Pensate che ci sono state giornate in cui hanno annoverato ben 15.000 visitatori.

In Italia si parla di rapporti Italia-Cina esclusivamente per questioni politico-economiche. Tuttavia, da un punto di vista culturale, cosa possiamo imparare da uno scambio reciproco tra i due paesi?

U.S. Che ci sono modi molto diversi di guardare al mondo e alla produzione artistica di un altro continente: tutti pensiamo che l’Italia abbia indiscutibilmente una grandissima tradizione creativa, ma la stessa cosa vale per la Cina. C’è un’ampiezza e una profondità nella creazione contemporanea cinese che sorprende i non informati. Inoltre, in Cina gli artisti contemporanei possiedono un’istruzione basata su abilità tecniche senza pari in Occidente.

China Now, exhibition view, Spazio Carme, 2023, courtesy Petrò Gilberti

In occasione della nuova mostra italiana “CHINA NOW. Arte contemporanea dalla Sigg Collection” i visitatori potranno ammirare più di 30 capolavori. Come e perché ha scelto proprio quelli?

U.S. Ho voluto dare una panoramica sui diversi media in uso e su alcune tecniche specifiche della tradizione cinese, come la pittura a inchiostro. Le opere riflettono molte delle questioni sociali della Cina attuale: il suo forte patriottismo e la critica al medesimo mostrate nello stesso luogo espositivo. L’ex chiesa bresciana dei Ss. Filippo e Giacomo, attuale Spazio CARME, è davvero un bellissimo posto, ma ha i suoi limiti per quanto riguarda l’esposizione di opere di grandi dimensioni. La mostra è di per sé un’ottima rappresentazione di ciò che gli artisti cinesi stanno facendo attualmente.

Come si svilupperà la sua collezione nel prossimo futuro?  Puoi darci qualche anticipazione?

U.S. Non ho bisogno di proseguire con uno stile di collezionismo “enciclopedico”: al giorno d’oggi ci sono molti collezionisti e istituzioni in Cina che operano su questo fronte. Mi concentro così sugli artisti più giovani e anche sui nuovi media espressivi. Spesso commissiono opere e, a volte, partecipo al processo creativo affiancando gli autori. Questo è ciò che mi piace ed è il modo più gratificante per indagare a fondo tematiche socioculturali nel panorama cinese attuale: il focus su cui sto attualmente riflettendo.

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