La vera storia di Don Carlo e di Elisabetta di Valois

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Povero Carlo Principe delle Asturie, costretto malgré soi a diventare il personaggio di una storia a tinte forti, in bilico tra Shakespeare e Quarto Grado. La storia che oggi, 7 dicembre, Milano consacra nel suo tempio dell’opera che è il Teatro alla Scala. Che colpa ha lui se quando papino – Filippo II di Spagna – decide di prendere moglie (la terza) la scelta cade su una che ha proprio la sua età, e che colpa ha se alla fine i due fanno amicizia, passano un sacco di tempo insieme – a giocare a carte, per lo più – dando adito a pettegolezzi e leggende. Due adolescenti infelici prigionieri in una corte austera, dove le mamme muoiono di parto con frequenza allarmante e dove tutti sono guardati a vista da eserciti di dame e maggiordomi.

Sofonisba Anguissola, Ritratto di Don Carlos, PrincIpe di Spagna

Ma davvero potremmo pensare che sia andata come ha raccontato Giuseppe Verdi (e prima di lui Friedrich Schiller)? Che Carlo è in giro per la foresta di Fontainebleau, incontra questa ragazzina con gli occhi scuri e la fossetta sul mento che gli è stata destinata come sposa (per suggellare la pace tra Francia e Spagna), in pochi minuti se ne innamora – ricambiato, per giunta – si dichiara e poi siccome scoppia la pace il padre decide di prendersela lui, scatenando un pandemonio? E poi l’amore per la giovane matrigna, i sotterfugi, le lettere segrete, i travestimenti, le ragioni del cuore e la ragione di Stato?

Ma dai! Prima di tutto guardiamolo un momento, questo povero ragazzo. Che ha la sfortuna di prendere su di sé tutte le magagne conseguenti a una serie infinita di accoppiamenti endogamici: ha la gobba, una gamba più corta dell’altra gli procura un’evidente zoppia e poi balbetta, pure. Non bastasse, anche la testa ha qualcosa che non va: è aggressivo e da piccino il suo passatempo preferito è quello di torturare piccoli animali (cosa che, noi assidui consumatori di Csi lo sappiamo, insieme all’enuresi notturna, che darei per scontata, e alla passione per gli incendi crea il tris perfetto di sintomi del futuro serial killer).

Alonso Sánchez Coello, Prince Don Carlos.

Sofonisba Anguissola lo ritrae a vent’anni, nel 1565, con una pelliccia candida e un sorrisino sotto i baffetti leggeri da eterno adolescente implume, rendendolo quasi grazioso. Ma temo che sia più veritiero il ritratto che gli fa l’anno prima Alonso Sánchez Coello, con il grugno sporgente e la fronte corrugata in un’espressione ostile. Ve la immaginate una quattordicenne figlia di Enrico II e di Caterina De Medici che nella foresta di Fontainebleau si vede comparire davanti un povero disgraziato che la fissa ingrugnato e se ne innamora? Senza parlare poi del resto: delle congiure che sarebbero state perpetrate da Carlo nei confronti del padre e del suo sostegno agli irredentisti olandesi che di quel sovrano non ne volevano proprio sapere. Il povero Carlo, già menomato, era pure caduto dalle scale, finendo in coma e svegliandosi peggio di prima; difficilmente era in grado di ordire complesse strategie politiche.

François Clouet, Portrait of Elisabeth of Austria.

Elisabetta, quella che nella tragedia di Schiller e nell’opera di Verdi esce come una fanciulla appassionata un po’ alla “Cime tempestose”, sembra essere invece uno scricciolo di bambina piuttosto ingenua. Difficile credere che alla sua educazione abbia partecipato attivamente Diana di Poitiers, la potente amante di papà Enrico II, quella che lo aveva sedotto ragazzino (aveva vent’anni più di lui), la protagonista degli intriganti ritratti di François Clouet, quella sul cui seno era stata modellata la coppa dello Champagne e che per mantenersi giovane beveva oro fuso nell’acido muriatico. Non solo Elisabetta è ingenua e dalla “zia” Diana non ha imparato nulla, ma ha pure una pubertà tardiva. Quando, quattordicenne, arriva alla corte di Spagna per sposare alla fine il trentaduenne Filippo, non ha ancora avuto il menarca, cosa che lascia il neo marito piuttosto interdetto. Quando finalmente, a sedici anni, Elisabetta si svilupperà avrà la gioia di una seconda luna di miele – nel 1564, ad Aranjuez – e il felice marito, tra una campagna di conquista e una battaglia, troverà il tempo di metterla incinta quattro volte.

Quattro calvari. Perché pur essendo riuscita a mettere al mondo due figlie (Isabella Clara Eugenia e Caterina Michela) tutte e quattro le volte Elisabetta rischia la morte, ha infinite emorragie e alla fine, in effetti, col quarto parto – un aborto – finisce di soffrire, lasciando spazio alla quarta moglie di Filippo Anna d’Austria.

Sofonisba Anguissola, Ritratto di Elisabetta di Valois.

Sofonisba Anguissola ritrae questa disgraziata creatura, vissuta solo 23 anni, nel 1563, quando ancora la smania di eredi del marito non aveva cominciato a devastarla, e ne fa una creatura quasi astratta, sognante, il viso perfetto, a forma di cuore, chiuso tra le perle del diadema e i pizzi della stretta gorgiera, e sotto, di un nero impenetrabile, l’ampio abito di velluto costellato di alamari. Erano amiche, Elisabetta e Sofonisba. La pittrice di Cremona, adorata dalla corte di Spagna, era stata chiamata da Filippo non solo come ritrattista, ma anche perché desse qualche lezione di pittura alla bambina che lui aveva sposato (del resto, prima della pubertà, lui aveva poco altro da farci).

Tiziano, Ritratto di Filippo II in armatura, 1550- 51.

Ma Filippo? Com’era questo Filippo che Verdi e Schiller descrivono come un padre autoritario e un sovrano conquistatore? Bello proprio no. Nemmeno Tiziano riesce a camuffare del tutto quel mento prominente che gli dà un’espressione vagamente stolida – soprattutto quando dall’armatura escono due gambette da fenicottero avvolte nella calzamaglia. Anche qui solo Sofonisba Anguissola riesce a redimere l’aria da buffone travestito da sovrano. Lo fa nel ritratto del 1573, vestendolo tutto di nero e infilandogli un copricapo bislungo che compensa le dimensioni del mento.

Tiziano Vecellio, Ritratto equestre di Carlo V.

All’epoca di quel ritratto sia Elisabetta che Carlo sono già morti. Il caso vuole che siano nati entrambi nel 1545 e morti entrambi nel 1568. Lei sappiamo come. Lui messo in prigione dal padre perché in odore – in effetti – di connivenza con il nemico e anche perché oramai completamente fuori controllo. Non si sa se sia morto di stenti o garrotato (non si sa, in effetti, cosa sarebbe peggio). No, non è comparso il fantasma di nonno Carlo (Carlo V) a chiamarlo a sé come nell’opera di Verdi. E davvero non so che cosa avrebbe fatto, Carlo. Si dice che quando vide per la prima volta quel nipote deforme, ancora bambino, abbia ordinato: “questo qui fatelo vedere in giro il meno possibile”.

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