L’omaggio della capitale a Kounellis

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Il Maxxi di Roma rende omaggio (cosa mai accaduta nella capitale) a Jannis Kounellis,  rinomato artista scomparso ormai sette anni fa. “Notte”, a cura di Luigia Lonardelli, sarà visitabile fino al 30 aprile. L’allestimento è visto e pensato come se lo spazio fosse la tela di un dipinto, il cui sfondo è la meravigliosa architettura di Zaha Hadid. 

Jannis Kounellis (1936-2017) è stato un artista greco, riconosciuto come una delle figure chiave dell’Arte Povera, un movimento artistico che emerge nel tardo anni ’60 in Italia e che si caratterizza per l’uso di materiali umili, quotidiani e “poveri” contrapposti ai tradizionali materiali artistici, per esplorare questioni di spazio, potere e individualità.

Kounellis nasce a Pireo, Grecia, ma si trasferisce a Roma nel 1956, dove studia presso l’Accademia di Belle Arti. A Roma, Kounellis inizia a sviluppare il suo stile artistico, inizialmente influenzato dal movimento informale e dall’espressionismo astratto. Tuttavia, è negli anni ’60 che la sua opera subisce una svolta significativa, allontanandosi dalla pittura tradizionale per esplorare l’uso di materiali non convenzionali come carbone, pietre, sacchi di iuta, e persino animali vivi, come nel suo famoso lavoro del 1969, dove installò 12 cavalli vivi in una galleria d’arte.

Oggi le sue opere tornano quindi in quella città che è lo ha adottato ed è diventata una seconda (se non prima) madre in uno dei musei principali della capitale.

© Musacchio, Pasqualini & Fucilia / MUSA, courtesy Fondazione MAXXI

Entrando nello spazio (scenico) ci imbattiamo in Senza titolo – Notte, opera che riprende le prime sperimentazioni con l’alfabeto degli anni ‘50 ed è metafora di un netto distanziamento di Kounellis da qualsiasi apparato gerarchico di visione. Le lettere appaiono come pittura e quindi icona, si muovono nello spazio, come gli arti di un corpo, vivo, in movimento. Ci chiedono di essere decifrate, capite e meditate ma anche avvertite come segno puro, fine a sé stesso. 

© Musacchio, Pasqualini & Fucilia / MUSA, courtesy Fondazione MAXXI

In sottofondo percepiamo alcune note, apparentemente slegate e sconclusionate, del Va Pensiero. Un pianoforte a coda e il suo pianista sono subito dopo la scritta Notte, sulla destra, alla fine di una impercettibile salita che ci invita a proseguire. Sorprendente è come siano sufficienti pochi frammenti musicali e senza logica a far risuonare nella testa dello spettatore l’intera opera verdiana; simbolo di come  a volte basti un frammento, una minuscola parte di un tutto, per dare un senso, figurato o meno, a qualcosa di molto più mastodontico e grandioso. Il dettaglio, il suggerimento, il particolare che assurge a protagonista indiscusso della scena. L’incessante ripetersi dello stesso frammento dovrebbe arrecarci disagio, infastidirci, portarci all’esasperazione, eppure, ci culla, ci trasporta in quella dimensione onirica e sospesa che caratterizza l’intero spettacolo.

© Musacchio, Pasqualini & Fucilia / MUSA, courtesy Fondazione MAXXI

Andiamo oltre, ci lasciamo alle spalle quel che ci ha accolto. Siamo pronti per proseguire e lasciarci catturare dal futuro prossimo. Sui montanti della splendida e suggestiva vetrata panoramica, simbolo indiscusso del Maxxi, è poggiato un riallestimento dell’opera concepita nel 2003 dall’artista per il chiostro di San Lazzaro degli Armeni a Venezia; sbalorditivo è il gioco creato sulla tensione fra i materiali: l’opera, come una quinta teatrale, rimane sospesa a sottolineare un passaggio e un collegamento fra il dentro e il fuori del museo. Bene lo descrive la curatrice, Luigia Lonardelli: “Una pioggia di piatti da bilancia sospesi in verticale, con composizioni di bicchieri e brocche di vetro, in “un’opera che ci parla delle nostre fragilità” .

Un omaggio a Kounellis perfettamente riuscito, che arriva dritto al segno, che mette in pratica il pensiero dell’artista secondo cui ogni antologica è un’occasione per ripensare il lavoro in relazione agli spazi che lo ospitano, in una perfetta messa in scena di un dialogo tra le opere. Ogni immagine ci risulta simbolica, sobria ed essenziale. Le opere non sono semplicemente collocate all’interno del museo, la cui struttura viene reinterpretata, messa a loro servizio fino a diventare ideale palinsesto di un percorso espositivo totale e immersivo, ma ne diventano amiche, instaurando un dialogo pregnante e profondo tra loro e lo spettatore.

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