Veneziano è l’Artist of the Year del 2023

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Alla fine ha vinto Giuseppe Veneziano, l’enfant prodige del neopop italiano, l’artista che, più di ogni altro, oggi riempie le mostre, le fiere, le piazze digitali di ragazze e di ragazzi “qualsiasi”, di giovani e vecchi non istruiti e non assuefatti al linguaggio del contemporaneo, di persone estranee e indifferenti al circuito ristretto dell’arte “ufficiale”, che dell’artista apprezzano lo stile sarcastico, immediato, irriverente, divertito e corrosivo, capace di mettere insieme, in un’unica serie di quadri, una Madonna di Raffaello, Berlusconi, Michael Jackson, Spider Man, Gesù Bambino e Hitler, tutti comprimari di un grande circo folle e imbizzarrito quale di fatto oggi è il nostro immaginario diffuso, dove tutto si mescola con tutto come in un frullatore ubriaco, dove “alto” e “basso” – con buona pace di Umberto Eco, che l’aveva predetto almeno tre o quattro decenni fa –, sono spariti dalla circolazione da un tempo che pare immemorabile, e la “fine della Storia”, da tempo annunciata e mai avvenuta nella realtà fattuale, si è avverata sotto forma di mimesis nel nostro immaginario digitale diffuso, dove i personaggi, gli avvenimenti e le vicissitudini del passato non hanno più, nella nostra testa, uno sviluppo lineare, ma esistono solo in un eterno presente orizzontale come insieme di volti, di immagini e di simboli utili a essere riciclati e riutilizzati ad uso e consumo dei bisogni dell’oggi, dove il passato e il futuro sono presenti entrambi in un calderone confuso, dissennato, assordante e divertente che ci vede consumare freneticamente studi, affetti, amicizie, passioni, ideologie, lavoro come in una grande, immensa, insensata e tragicomica serie TV live, da vivere in diretta social e in perenne corsa adrenalinica in un costante stato di eccitazione e di ubriacatura persistente e permanente.

Il giudizio di Sgarbi: Veneziano, un’arte popolare e istruttiva

Ha vinto Veneziano, dunque, e ha vinto l’idea di un’arte che è sempre più scollata da quella che un tempo il “sistema” – quell’insieme di curators, galleristi e direttori di musei che un tempo decidevano in maniera arbitraria e inappellabile chi dovesse entrare nel mercato, nei musei e nella Storia e chi dovesse invece starne fuori per sempre – propugnava: un’arte elitaria, rarefatta, esclusiva, priva di connotazioni e di stile, priva di presa su un pubblico generico che non fosse quello già abbondantemente “istruito” sulle regole del contemporaneo. Come ci conferma, a caldo, anche Vittorio Sgarbi, “la vittoria di Veneziano è la testimonianza della forza dell’arte figurativa popolare e di facile lettura”, contro “gli intellettualismi propri di molti artisti contemporanei, che creano la separazione tra l’artista e l’osservatore. Capire Veneziano”, aggiunge Sgarbi, “è semplice, e in molti casi istruttivo. Altri sono complicati e distruttivi”.

Non è un caso che proprio Veneziano, soltanto due anni fa, in occasione della sua grande mostra diffusa a Pietrasanta, dove le sue sculture giocose e irriverenti (dal Papa in skate a Cattelan che fa capolino dal suo wc d’oro) erano diventate le maggiori attrazioni turistiche della cittadina, finendo in decine di migliaia di selfie e di reel e di stories instagram o Tik Tok, il sistema dell’arte avesse fatto quadrato contro di lui, denunciando la “svendita” delle migliori piazze dell’arte ad artisti (secondo loro) “non degni” di finirvi, fino al grottesco di proporre (è stato fatto davvero, da parte dell’attuale editore di “Flash Art”, Cristiano Seganfreddo) una sorta di “cintura di sicurezza” contro di lui e altri artisti considerati “non adeguati” dal sistema, che non potrebbero così mai più “avere accesso” alle piazze o alle istituzioni più prestigiose, riservate solo, nel loro distopico modo di pensare, ai loro accoliti, quelli appunto “certificati” dal sistema: “quante piazze deturpate dalle speculazioni artistiche”, aveva scritto l’editore di “Flash Art” a commento dell’enorme successo ottenuto da Veneziano nella mostra di Pietrasanta. “Troppo straordinario patrimonio pubblico lasciato in mano a decisioni di assessori incompetenti, tra banane giganti e Spiderman. Dovremmo proporre un’Area C anche per la cultura. Si entra solo a emissioni zero”. Insomma, una fatwa in piena regola per un artista che raccoglie invece a piene mani consenso di pubblico, di followers, di collezionisti.

Giuseppe Veneziano, Mc Emmaus, 2010.

Secondo e terzo posto: Andrea Crespi e Chiara Calore

Veneziano ha fatto dunque il pieno di voti, e ha vinto la prima edizione del premio “Artist of the Year” di Artuu. È stata una competizione sofferta, partecipata, gioiosa, e anche concitata. Artist of the Year, il primo premio d’arte aperto al voto popolare dei lettori, e non solo alla giuria di “giudici” esperti e inseriti nel sistema, ha avuto un successo oltre le nostre stesse previsioni: oltre 20mila visualizzazioni in sole due settimane di voto, 35 finalisti, centinaia di condivisioni, più di 2mila i voti, e alla fine un vincitore e due classificati. Il primo posto come abbiamo detto è di Giuseppe Veneziano, forte delle varie mostre realizzate quest’anno, dall’Italia (un’antologica nella sua città natale, a Caltanissetta, a Palazzo Moncada) alla Germania, oltre partecipazione a collettive, a progetti, anche con gli NFT.

Al secondo posto, invece, distaccato solo da una settantina di voti da Veneziano, si è piazzato Andrea Crespi, artista digitale e “pittore del ventiduesimo secolo”, come si autodefinisce per la sua propensione a uno sguardo ipercontemporeaneo e in linea con la trasformazione digitale imperante, che negli ultimi anni, e in particolare nell’ultimo anno, ha riscosso un grandissimo successo anche fuori d’Italia, esponendo con opere di arte pubblica a Pechino, Hong Kong, Miami e persino New York, su un mega schermo a Times Square. Un artista a tutto tondo, “phygital”, in grado cioè di spaziare tra fisico e digitale (a cui dedicheremo un articolo esaustivo e un’intervista nelle prossime settimane, ndr), che, anche lui, come Veneziano, ha saputo conquistare popolarità e successo al di fuori del “sistema”.

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Terza classificata, Chiara Calore, giovane pittrice veneta di straordinaria sensibilità (anche lei verrà dedicato un articolo e un’intervista nelle prossime settimane, ndr), che ha sviluppato un linguaggio originale, colto, molto contemporaneo, che sa pescare dalla storia dell’arte come dalla contemporaneità più stretta, all’interno di una pratica pittorica estremamente fluida e già eccezionalmente matura per il suo curriculum, che gli ha valso inviti a mostre collettive importanti, assieme ad artisti internazionali di grande livello, da parte di critici e curatori già molto inseriti nel sistema ed estremamente selettivi, come Demetrio Paparoni, che di recente l’ha inserita in mostre di grande rilievo a Napoli e Siracusa, Luca Beatrice e Gianluca Marziani.

Ma non è la sola Chiara Calore ad avere successo tra le artiste donne, anzi. Potremmo dire anzi che, fatti i salvi i due primi classificati, che hanno “sbancato” i sondaggi perché dotati di grande popolarità sui social e non solo, siano state proprio le donne artiste ad avere fatto il pieno di voti. Giuliana Cuneaz, Lucia Simone, Florencia Martinez, Ilaria Del Monte, Loredana Galante, Annalù sono state le donne artiste che hanno raccolto più voti subito dopo Chiara Calore, arrivando a lambire il terzo posto, senza tuttavia riuscire a classificarsi: va però detto che, nell’insieme, le donne finaliste hanno raccolto nel loro insieme più voti degli artisti uomini, superando abbondantemente il traguardo dei mille voti.

Giuseppe Veneziano, Merda d’artista, 2021.

Veneziano, fenomenologia di un successo annunciato

In un testo di qualche anno fa dedicato proprio a Giuseppe Veneziano, avevo paragonato il nostro “Golden Boy” del New Pop italiano a Mike Buongiorno, con in testa il celebre, e sbalorditivo per l’epoca (quando un professore di semiotica all’università non era consono che si occupasse di fenomeni “pop” e trash) Fenomenologia di Mike Buongiorno di Umberto Eco, che l’allora giovane semiologo dedicò, nel lontano 1961, al principe delle banalità, delle gaffes e del “nuovo” gusto nazional-popolare della Tv generalista, che per primo portò in televisione il linguaggio dell’uomo medio nazionale. E anche Veneziano, da par suo, porta in effetti nell’arte contemporanea, con grande consapevolezza, cultura e anche una grande capacità di rovesciare codici e luoghi comuni, la visione dell’uomo, e della donna, medi, italiani e contemporanei: non quello vecchio stampo, certo, alla Alberto Sordi e sua moglie Anna Longhi in arte Erminia, che diventarono icona del gusto “semplice” contro quello astruso dell’arte contemporanea nelle Vacanze intelligenti di Mauro Bolognini, ma quello nuovo, giovane, intelligente, integrato nel nuovo mondo digitale, che sa spaziare tra citazioni di film e di serie TV e una cultura basica di storia dell’arte, di fumetto, di fotografia e di cinema d’animazione, che tra tutte queste diverse tipologie estetiche e simboliche sa trovare i nessi inaspettati, sa ridere dei giusti accostamenti, sa capire con ironia e partecipazione (caratteristiche, entrambe, del fruitore dal postmoderno in avanti), i giochi di parole linguistici e visivi, gli abbinamenti di immagini e di parole contrastanti, i cortocircuiti narrativi, le metafore visive, le accozzaglie di significati contrastanti e sorprendenti che un artista come Veneziano è solito “normalmente” distribuire nei suoi quadri.

Giuseppe Veneziano, l’Enigma della pittura, 2023.

E il successo dei suoi quadri, alla fine, risiede proprio in questo: nel suo saper essere insieme ipercolto e ultrapopolare, serissimo ma giocoso e parodistico al limite della burla e della barzelletta – meglio se con un retrogusto osé, come nella sua Cappuccetto rosso che si fa praticare un cunnilungus dal lupo cattivo (titolo, In bocca al lupo), o Biancaneve che si scatta un selfie alle parti intime, o Cattelan che, come in una celebre scultura dell’artista padovano, spunta da un tombino con la testa rivolta in alto, proprio nel momento in cui l’aria solleva il vestito a Marylin Monroe nella sua foto più celebre…

Ma non è certo il gusto della battuta salace a caratterizzare il lavoro di Giuseppe Veenziano. È, piuttosto, il costante rovesciamento linguistico e concettuale dei luoghi comuni, la desacralizzazione dei miti, sia antichi che contemporanei, la costante rimessa in discussione dei codici cui siamo abituati ad aggrapparci. È, in questo, Veneziano, un artista veramente e autenticamente contemporaneo. Con la sua pittura, infatti, senza mai essere tedioso, complicato o intellettualistico, l’artista decostruisce, smonta, mescola, reinventa, crea, gioca coi significati e con le parole, sempre divertendo, sorprendendo, accendendo sinapsi, creando paradossi, riattivando neuroni e ginnastiche mentali nel pigro fruitore postcontemporaneo di messaggi, di fake news e di meme provenienti da quel gran guazzabuglio che è la rete.

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Giuseppe Veneziano, La solitudine dei numeri due, 2011.

Un artista autenticamente pop, in un’epoca in cui, a 60 anni dall’invenzione di Andy Warhol, ha fatto sua la nozione di pop diffuso ovunque, dalla realtà fisica alla rete. Perfetto anche, dunque, bisogna dire, come vincitore della prima, fortunata edizione dell’Artist of the Year di Artuu, magazine che dell’estetica pop del contemporaneo racconta ogni giorno vizi, virtù, segreti, notizie e nuove tendenze.

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