5 opere scomparse della Collezione Agnelli

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Lui è stato uno degli uomini più potenti dell’Italia del XX secolo, con una grande passione per l’arte e per il collezionismo, culminata nel 2002 con l’apertura della Pinacoteca Agnelli all’ultimo piano del Lingotto di Torino, su progetto di Renzo Piano.

Gianni Agnelli alla sua morte avvenuta nel 2003 aveva lasciato in eredità più di 600 grandi capolavori di maestri come Claude Monet, Giorgio De Chirico, Jean-Léon Gérôme, Giacomo Balla, ma anche Picasso, Paul Klee, Klimt e Schiele.

Una collezione di inestimabile valore che oggi è andata apparentemente perduta. Infatti, secondo un’inchiesta di Report andata in onda ieri 15 Ottobre, i nipoti di Agnelli, tra cui Ginevra Elkann, avrebbero denunciato la scomparsa delle opere da un caveau in Svizzera, dove (forse) si trovavano in passato.

Pur essendoci una lista al Ministero, questa non è consultabile, e questi beni non sono inoltre mai stati notificati: questo vuol dire che molto probabilmente sono stati trasportati all’estero e venduti.

Nonostante ciò, i giornalisti di Report sono riusciti a parlare  con Emanuele Gamma e Jean Patry, avvocati a Torino, che hanno nominato alcune opere che farebbero attualmente parte della collezione e si troverebbero in un qualche “porto franco” o collezione estera.

“Glacons, effet blanc”, Claude Monet, 1894

Sempre secondo alcune testimonianze raccolte da Report, il dipinto si trovava nella sala da pranzo in una delle dimore degli Agnelli, presente anche nel catalogo ragionato dell’artista redatto da Daniel Wildenstein. In realtà già diverse testate, come il Corriere

L’opera è stata poi venduta da Sotheby’s nel 2013 per 10 milioni di dollari, e il sito riporta una provenance piuttosto chiara: passato da diverse collezioni private, il dipinto è stato venduto dall’ultimo proprietario tramite la galleria Duhamel Fine Arts di Parigi.

L’opera è una maestose composizione che dimostra l’abilità di Monet nel catturare le sfumature del mondo naturale in evoluzione. Questa vista sulla riva sinistra e l’isola di Forée da Bennecourt fa parte di una serie di quindici vedute fluviali completate durante l’inverno del 1892-93. Monet dipinse questa composizione all’inizio di gennaio 1893, catturando l’atmosfera invernale con il ghiaccio che inizia a sciogliersi sulla superficie del fiume. Alla fine del mese, il disgelo pose fine alla campagna di Monet, lasciando alcune opere incomplete da terminare in studio. Questa composizione, datata nel 1894, è tra le più viscerali e sensoriali tra le sue osservazioni di quell’inverno.

“Study for a Pope III” di Francis Bacon 

Francis Bacon e Gianni Agnelli erano grandi amici, tanto che nel 1977 l’artista inglese lo ha anche dipinto in uno dei suoi tipici trittici. Agnelli inoltre, aveva donato nel 1973 lo “Study for Velazquez Pope II” ai Musei Vaticani. “Study for a Pope III” è invece un olio su tela del 1961, apparso per l’ultima volta alla Skarstedt Gallery di Londra nel 2014.

“Il mistero e la melanconia di una strada” Giorgio De Chirico del 1914

Si trarra di uno dei dipinti più importanti del pittore Metafisico, e in un primo tempo è stato di proprietà del gallerista Paul Guillaume, poi del critico d’arte Andrè Breton, che lo esponeva nella sua casa durante gli anni cruciali del movimento surrealista. Nonostante ci siano diverse versioni di questa opera, anche degli anni ’60, secondo il giornalista Manuele Bonaccorsi quello appartenuto a Gianni Agnelli sarebbe proprio il primo, l’originale. Il dipinto raffigura una bambina, o almeno la sua ombra, mentre corre facendo rotolare un cerchio in una scena appare spettrale, misteriosa per i colori scuri e le ombre che simboleggiano l’assenza o la solitudine (malinconica). L’immagine si dilata in prospettiva con i portici che si allungano, simboleggiando l’infinito.

“Scala degli addii” di Giacomo Balla, 1908

Anche qui sappiamo pochissimo della storia e dell’attuale locazione di questa splendida opera, dove il proto-futurista Giacomo Balla studia il movimento delle scale contrapposto alla mobilità degli individui. Una delle sue versioni è presente nella Lydia Winston Malbin Collection, importanti mecenati del futurismo.

“La Chambre” di Balthus (1952-54)

Esposto alle Scuderie del Quirinale a Roma nel 2015 in occasione della mostra “Selfie ad Arte” insieme a “Nude Profile” sempre del pittore francese. Anche lì, secondo Bonaccorsi, la Soprintendenza non avrebbe fatto niente per verifcare l’effettiva provenienza e autenticità.

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