Identità e rappresentazione: forme, materie e concetti sul nuragico in mostra a Sassari

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Se l’arte ha un compito, anche quando non si prende troppo sul serio come ama fare o è questo implicito, è la permanente convergenza di passato, presente e futuro in codici che li condensino fissandoli nella materia, nel gesto e nell’atto, quindi nel simbolo, protendendone i significati oltre il tempo e addensandoli nella storia. Fino, in tal caso, ad oggi. L’attesa, l’auspicio e l’intenzione del progetto qui descritto riguardano infatti un bisogno di mettere ordine in un tempo esteticamente bulimico per garantire la misurata restituzione della ricchezza delle forme espressive che hanno significativamente contribuito alla narrazione del dinamismo dell’età del Bronzo in Sardegna, locus amoenus storiografico-concettuale del dibattito in materia di identità sarda. 

L’Onda Nuragica. Arte, artigianato e design alla prova della preistoria, esperienza espositiva atipica, è un viaggio imperdibile attraverso l’eclettismo plastico dei linguaggi mediante e in funzione dei quali i sardi hanno pensato, ripensato e tradotto il loro rapporto con quanto diciamo – non senza assolutizzazioni culturali – civiltà nuragica, dischiusasi al mondo nella sua ricchezza semantica almeno a partire dagli anni Cinquanta, dunque dalle prime indagini sul monumentale Nuraghe di Barumini e la prima attenzione seriamente accademica verso le tracce di un passato protostorico organico.

I sardi edotti, si potrebbe precisare ed obiettare; non sono certo sia opportuna alcuna forma di riduzionismo sociale: le immagini, le figure, il senso di quel mondo e una sua idea costante ed imperscrutabile emergono negli accostamenti materici del Padiglione Tavolara sospinti da un senso unico: in quei prodotti dell’arte e della tecnica ogni livello sociale risale, nella retorica e nello sguardo, quindi in una personale idea estetica ad un quid condiviso, primordiale, teso a chiarire un proprio posto nel mondo nel mondo che in Sardegna meglio si esprime in quel modo, ovvero – dichiaratamente – quello ch’era dei sardi nuragici.

Curata da Giuliana Altea, Antonella Camarda e Luca Cheri e organizzata dalla Fondazione Nivola con una nutrita promozione (e partecipazione) istituzionale, la mostra si snoda nel racconto delle personalità scientifico-accademiche, artistiche e artigianali che, nel corso del Novecento, sono state in grado di contribuire alla costruzione di un ponte culturale tra una società affamata di sapere, la nostra, ed un passato la cui missione di (ri)scoperta scientifica ed organica vede i suoi albori, a ben vedere, nel 1951, anno dei primi scavi archeologici presso l’imponente nuraghe di Barumini, fra le più monumentali testimonianze dell’architettura nuragica. D’altra parte, furono le mostre curate da Giovanni Lilliu e Gennaro Pesce che, nel 1949-50, consegnarono alla coscienza pubblica la straordinarietà culturale ma soprattutto estetica della piccola statuaria nuragica (i cd. “bronzetti”); senza dubbio un momento spartiacque nella parabola artistica regionale del Novecento.  

La ricchezza dell’allestimento è un dato. Essa emerge con sapiente misura nella sua veemente varietà di forme espressive, che l’occhio competente dei curatori ottiene di codificare grazie ad ad un percorso sinuoso capace di dare vita ad una esperienzialità avvolgente in grado di coinvolgere qualsiasi tipo di visitatore. In questo la mostra è vincente: se l’osservatore esperto risulta facilmente coinvolto nella restituzione tecnico-pratica di una lunga storia delle idee, il meno consapevole non fatica di certo a sentirsene parte integrante: è allora che l’arte manifesta la sua carica di dimensione di confronto. Ancorché intrinsecamente polisemico, infatti, il tracciato espositivo chiarisce subito – emergente una volontà di ricostruzione formale a partire dall’archeologia – l’intenzione di consegnare al linguaggio artistico ed ai codici impliciti del saper fare quella necessità di racconto del “concreto” mediante i cui caratteri possiamo più evidentemente rappresentare il fascino e l’immaginazione custoditi in un periodo che la nostra memoria culturale meglio riesce ad interpretare come identitario.

Tocca a Costantino Nivola inaugurare questo sforzo con il bronzo L’archeologo fortunato (1987), dedicato proprio all’amico di una vita Giovanni Lilliu e trait d’union, nell’economia della mostra, tra indagine scientifica e arte stricto sensu. Seguiranno le colorate ceramiche di Melkiorre e Federico Melis, tra gli sperimentatori in materia di tema nuragico e sicuramente protagonisti nella stagione di rinnovamento delle arti applicate in Sardegna fin dagli anni Venti, e dopo di loro proseguirà il racconto Mauro Manca, fra i più versatili interpreti dell’estetica nuragica nonché maggiori artisti del secondo dopoguerra. Un climax cromatico e formale sembra profilarsi, lungo la sinuosa direttrice del percorso, fino all’avvenuta liberazione dalle pretese filologiche attribuibile al massimalismo degli anni Ottanta e Novanta, spettacolarmente declinatosi, fra gli altri, negli splendidi tappeti disegnati da Aldo Rossi per una cooperativa tessile di Zeddiani (OR) e anticipato – oltreché dalla sezione del fantastico di Tanda e Nonnis, audaci e originali nell’accostare esseri artificiali e figure nuragiche –  da una maestra assoluta del genere: Maria Lai. Non c’è frenesia nella densità di codici, mai compulsiva: l’indugiare è garantito dalla stessa varietà che sembra incalzare l’esperienza dei sensi. La luce costante e mai eccessiva del Padiglione Tavolara suggella il senso del luogo: non solo rende giustizia ma celebra la statura di artisti e artigiani presenti nell’allestimento e recanti, col loro estro tecnico e i loro oggetti, sfaccettature e alternanze tattili, simboliche e ideali di sicura aderenza al gusto della società sarda nei suoi diversi livelli di consapevolezza. 

Rilevante risulta, a tal proposito, la partecipazione di numerosi ceramisti – ad esempio provenienti da una lingua di terra fra Campidano e Marmilla – di indiscussa abilità e merito che con le loro botteghe hanno generato o addirittura rivitalizzato filiere che individuano la loro forza nel consumo degli oggetti ceramici, di pregio ma non solo, sulla scorta della riscoperta delle tradizioni produttive dei territori. Tutta la Sardegna, insomma, partecipa al tributo alla propria arte facendosi Onda Nuragica. Fino all’8 luglio, per ora. 

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