Il Nucleo Storico della Biennale 2024: il Modernismo del Novecento attraverso gli occhi del sud del mondo

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La 60ma Esposizione Internazionale d’Arte ormai alle porte, dal titolo Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere a cura di Adriano Pedrosa, vede in questa edizione la suddivisione in due nuclei dislocati tra Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale: il Nucleo Contemporaneo e il Nucleo Storico

Un’edizione che è stata a lungo preannunciata come un osservatorio della storia recente dal punto di vista degli artisti provenienti dal sud del mondo, rappresentati dallo stesso curatore Pedrosa originario del Sud America, e dalla prospettiva di coloro che vivono la condizione di “straniero” in tutte le differenti sfaccettature. 

La decisione di riservare una parte espositiva della Mostra ad autori del XX secolo è sempre connessa alla tematica generale di fare luce su quegli artisti del Sud del mondo che, in questo caso, sono stati importanti forieri dell’arte nelle loro terre ma che successivamente sono stati dimenticati. Pedrosa afferma infatti che l’importanza del Nucleo Storico stia nel “riportare oggi alla memoria questi artisti e contestualizzare il loro lavoro nel nuovo secolo”.

Mentre la maggior parte degli spazi della Biennale, tra Arsenale e Padiglione Centrale ai Giardini è dedicata agli artisti contemporanei, solo tre sale del Padiglione Centrale saranno rappresentate dalla selezione di opere del Nucleo Storico. Queste tuttavia, saranno allestite col maggior numero di artisti appartenenti al panorama storico-artistico del XX secolo e provenienti dal Centro e Sud America, dall’Africa, dall’Asia e dall’Oceania e dal mondo arabo. 

Una scelta curatoriale volta a favorire una rilettura del Novecento attraverso gli autori di queste macroaree del mondo che lo hanno vissuto, insieme ad un’indagine d’approfondimento sulle forme di Modernismo non occidentali ancora poco analizzate come, per l’appunto, quelle sviluppatesi in queste zone. 

Il poeta Oswald de Andrade

Tra queste, calzante è l’esperienza del poeta brasiliano Oswald de Andrade che nel 1928 ha pubblicato il Manifesto Antropofago, in cui ha previsto una sorta di riappropriazione culturale da parte dei popoli autoctoni di alcune aree del mondo. I lasciti culturali coloniali, secondo la sua visione, avrebbero dovuto essere decostruiti e successivamente riletti attraverso l’attribuzione di nuovi significati, al fine di ricreare in questi luoghi un modernismo più autonomo e autentico.

Il Nucleo Storico sarà suddiviso in tre sezioni all’interno del Padiglione Centrale: i Ritratti, la sala Astrazioni e quella dedicata alla Diaspora italiana. 

Le due sale dedicate ai Ritratti ospiteranno le opere di 112 artisti, in maggioranza dipinti oltre che lavori su carta e sculture, realizzati tra il 1905 e il 1990 e focalizzate sulla progressiva crisi e conseguente evoluzione della rappresentazione della figura umana, così come è stato d’altronde per tutto il XX secolo. Si vedrà come molti di questi autori, del Sud globale, entrati in contatto con il Modernismo europeo attraverso viaggi, studi e libri, abbiano poi elaborato il tema della figura umana secondo le proprie sensibilità e riflessioni. 

Etel Adnan, photo Fabrice Gilbert

La sala dedicata alle Astrazioni ospiterà 37 artisti, dove risaltano artisti provenienti dalla Corea e dal Singapore oppure artisti indigeni Maori come Selwyn Wilson, Sandy Adsett o come Etel Adnan e Samia Halaby. 

La terza sala del Nucleo Storico dedicata alla Diaspora italiana è l’ultima sezione che racconta la tradizione artistica scaturita dagli autori italiani o italo discendenti che nel corso del Novecento  sono emigrati. In particolare, vengono esposti 40 autori italiani di prima e di seconda generazione che hanno sviluppato le loro carriere in Africa, America Latina, nonché nel resto d’Europa e negli Stati Uniti, i quali hanno riportato nei loro lavori i risultati della commistione culturale ed artistica che ne è scaturita, oltre che essere stati significativi per una narrazione del Modernismo al di fuori dell’Italia. 

L’allestimento di Lina Bo Bardi al Museo Jumex di Città del Messico

Le opere verranno presentate con un allestimento costituito da espositori a cavalletto in vetro e cemento da Lina Bo Bardi (1914-1992), artista italiana trasferitasi in Brasile e vincitrice del Leone d’oro speciale alla memoria della Biennale Architettura 2021. 

Pedrosa parlando di questo nucleo di ricerca artistica, fa presente come si siano trovati due elementi diversi ma collegati che si ritrovano in tutta la Mostra. Il primo elemento è il tessile, presente nelle ricerche artistiche di molti autori sia del Nucleo Storico che nel Contemporaneo, evidenziando come molti siano interessati all’artigianato e, generalizzando e rimanendo in tema con il concept di Biennale 2024, abbiano considerato quelle arti considerate altre, straniere ed estranee. Il secondo elemento è quello rappresentato dagli artisti legati da vincoli di sangue, dove la tradizione e la trasmissione delle conoscenze è determinata dal passaggio da padre o madre ai figli o più in generale tra parenti. 

Un cambio di prospettiva necessario e coerente con il fil rouge della Mostra, finalizzato ad una rilettura  di un secolo denso di eventi storico-artistici come il Novecento attraverso gli occhi degli artisti del sud del mondo, per rinsaldare il concetto di straniero, capovolgendolo e tessendo nuove trame di sfumature e significati. 

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