Ozmo, viaggio (alchemico) al centro della terra

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È un “viaggio alchemico” quello che ci presenta Ozmo, in mostra allo Studio Raffaelli di Trento (fino al 7 aprile), tra simboli esoterici, teschi, satiri, putti, marchi e loghi industriali, maschere arcimboldesche, pterosauri, veneri, draghi, leoni, robot, conigli, aquile, gufi… e anche Humpty Dumpty, il misterioso personaggio a forma di uovo di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll: che, in quella che è solo l’ultima delle tante “piramidi sociali” cui ci ha abituato Ozmo, nelle quali l’artista è solito rappresentare in forma simbolica la rigida gerarchia del potere nella società contemporanea, siede questa volta al centro, proprio alla base della struttura piramidale che l’artista ha piazzato proprio nel cuore della mostra, l’aria sorniona e divertita, quasi a farsi beffe di commentatori, professori, studiosi, esperti vari e forse dell’umanità tutta: in questo, in fondo, simile forse a un autoritratto simbolico dell’essenza stessa dell’arte, o dell’artista, che guarda, con un misto di saggezza e di derisione, quel pazzo pazzo guazzabuglio di cui è composta la contemporaneità – unico, forse, tra tutti, a riuscire a carpirne i fili misteriosi e segreti che legano un’epoca all’altra, un simbolo all’altro, un riferimento culturale all’altro.

Ozmo, Mons Philosophorum, 2023.

Non mancando, in alto, naturalmente, il sole stilizzato (“rubato” alla carta  n.19 dei tarocchi), simbolo di vitalità, di crescita e di armonia interiore, nonché segno identificativo, da qualche anno, dello stesso Ozmo, che sparge, giallo su fondo rosso, per i muri delle città; oltre a una più che mai eloquente mano che, sporgendo da una nuvoletta, tiene saldamente nel palmo una bomboletta (simbolo identificativo dell’origine dell’artista, che proviene appunto dall’ambito della street art), e, levitante sopra l’intera struttura, una corona – simbolo di potere, certo, ma, nella vulgata contemporanea, anche e soprattutto di rispetto, credibilità, autorevolezza (non a caso, il termine “king” e la stessa corona sono stati spesso utilizzati nell’ambiente del writing, oltre che in quello della musica hip hop e del rap, per indicare i migliori nel campo).

Ozmo, Mons Philosophorum, 2023 (dettaglio).

Eccolo, dunque, il fulcro del nuovo lavoro che Ozmo (nato nel 1975 a Pontedera col nome di Gionata Gesi, ma vissuto per anni a Milano e oggi di stanza a Parigi), tra i più attivi urban artist europei, ma anche uno dei pittori più talentuosi sulla scena italiana, sempre in bilico tra citazione e rielaborazione in chiave ipercontemporanea della classicità, con uno stile inconfondibile giocato spesso sui toni del bianco e nero e un uso molto caratterizzato del disegno, presenta in mostra a Trento. Ma, tra piramidi e simboli alchemici, ecco fare qua e là capolino il classico repertorio cui l’artista che l’artista ci ha presentato negli ultimi anni, rielaborando, in un ben amalgamato caos, pittura classica e character dei fumetti, paesaggi rinascimentali rivisitati, topolini liquefatti, angeli e demoni sfigurati dalle emoji cui ci ha abituati la cultura digitale, Piero della Francesca e Raffaello alterati e mixati alle immagini del nostro immaginario pop, siano essi Walt Disney o Looney Tunes, mani alchemiche che si sovrappongono all’immagine della Vergine, e ancora personaggi di scene religiose, metafisiche, o un memento mori secentesco, come quello celebre del fiammingo Michael Sweerts, tramutati parodisticamente con volti zooomorfi: mescolanze, ibridazioni, derive, divagazioni visive e concettuali: eccola, dunque, l’Amalgama di Ozmo, pittore della modernità che gioca a nascondino, omaggiandoli nello stesso tempo, con la storia, il mito, la tradizione.

L’abbiamo intervistato, per farci raccontare l’origine dei suoi nuovi cicli di lavori, le simbologie sottese, le sue riflessioni sull’Urban Art, la pittura, lo spazio pubblico e l’Intelligenza Artificiale.

Ozmo, partiamo dalla mostra in corso. Perché “Amalgama – Un viaggio alchemico”? Come mai hai deciso di dissotterrare linguaggi e simbologie esoteriche per raccontare la contemporaneità?

L’uso ed il potere delle immagini è l’interrogativo dominante nelle mie opere. Lavoro con immagini da molti anni e i simboli agiscono nella loro interpretazione in modo ambiguo e quindi esoterico ed essoterico. Studiando il linguaggio e la storia di quest’ultimi si arriva necessariamente ai tarocchi ed alle simbologie magiche ed alchemiche. È un percorso che ho iniziato più di 20 anni fa.

Anche oggi, come in altri periodi storici, una grande incertezza del futuro, assieme a una forte tensione generalizzata (squilibri sociali, guerre, razzismo, nazionalismi, etc), è accompagnata da un fortissimo cambiamento scientifico-tecnologico in atto. Siamo di fronte a un passaggio epocale nella Storia. In che modo l’arte può porsi di fronte a questo passaggio?

I cambiamenti vi sono sempre stati, se pensiamo all’arte come ad un linguaggio di cambiamento e stimolo, allora penso debba fare ovvero facendo quello che ha sempre fatto, cioè indicando una via per l’evoluzione umana. Bisognerebbe innanzitutto evolvere se stessi prima di rivolgersi all’esterno altrimenti non sarà possibile una vera rivoluzione.

Ozmo, St. Michael defeating Satan, emoji version, 2018.

Una celebre frase di Bertold Brecht, di fronte all’orrore dei campi di sterminio nazisti, recitava che fosse “un delitto” parlare di alberi “quando su troppe stragi comporta il silenzio”. Il che voleva mettere in risalto, in buona sostanza, l’impossibilità per un artista di fare arte “disimpegnata” in momenti storici caratterizzati da orrori, violenze e genocidi. Oggi stiamo assistendo a spaventose catasfrofi umanitarie, a cominciare dalle macerie a cui è ridotta la Striscia di Gaza col suo carico di civili ammazzati dall’esercito israeliano. In che modo, oggi, l’arte può testimoniare ancora tutto questo, senza cadere nella retorica o nella facile “condanna” di facciata ad uso prettamente social?

Faccio parte di un gruppo di persone che manifestava contro la guerra in Irak nel 1991, contro quella dopo il crollo delle torri nel 2001 e al contempo contro la globalizzazione per il G8 lo stesso anno, e contro il razzismo nei primi anni Novanta, quando gli unici immigrati che si vedevano erano i ‘marocchini’ sulle spiagge che ti vendevano braccialetti. Nonostante i recenti sconvolgimenti mi chiedo come gli artisti allo scoppio di una guerra mondiale abbiano potuto continuare a creare opere e pensare che questo fosse la scelta appropriata. Penso a quelli dei primi del Novecento che da Parigi partirono volontari durante la Prima guerra mondiale come Apollinaire, sopravvivendo, ma morendo di spagnola poco dopo, o a Magritte che si limitò a usare colori più allegri per i suoi quadri durante gli anni della Seconda guerra mondiale.

Penso che ognuno reagisca come può e che esiste uno scollamento tra la dimensione umana, di pancia e immediata e una prospettiva artistica che si confronta necessariamente se non con la Storia addirittura con l’Assoluto.

Ozmo, Portrait of a Young Man in Red with Emerged Background, 2023.

Nei tuoi lavori hai sempre mescolato cultura alta e bassa, citazioni e riferimenti classici con icone iper-contemporanee. Oggi questo è mix è diventato un linguaggio mainstream. In che modo caratterizzi e differenzi il tuo lavoro rispetto a qualsiasi altro “poppismo” oggi molto in voga?

Dovrebbero fare i critici questa differenza e non io. Esiste una critica? Un onestà intellettuale oggi da parte di quella categoria? Forse la crisi delle gallerie li ha resi meno mercenari ma il rischio di finire influencer è forse peggiore.

Dal punto di vista formale e contenutistico – dimensioni a parte –, il tuo approccio al lavoro cambia in qualche modo tra la dimensione artistica “in studio” e quella pubblica, che sia o meno su commissione?

Certamente , il mio site specific che scodello nel contesto pubblico viene spesso scambiato per citazionismo, d’altra parte a differenza del 99% della Street art le mie installazioni e la ricerca che ha alle spalle ogni singola opera non sono comprensibili osservando frettolosamente un’immagine, sia essa stampata su una rivista , su un catalogo o peggio sui social. D’altro canto, il site specific in un contesto espositivo privato come un museo o una galleria lo declino con il confronto con quella tradizione lunghissima che è l’arte occidentale.

Nel primo caso mi confronto con lo spazio pubblico e con le sue implicazioni sociali politiche artistiche e storiche, e nel secondo in modo più specifico con la Storia dell’Arte, ma nella teoria mi pare di essere non formalmente uguale (non stimo chi traghetta le opere dalla strada alla galleria perché in linea di massima rivelano una ricerca non articolata e acritica).

Che cosa credi che caratterizzi e distingua in particolare il tuo lavoro strettamente artistico oggi? Qual è l’intento, la molla che fa scattare la creazione di un’opera o di un ciclo di opere, nel momento in cui ti approcci alla tela?

Grazie a Dio e nonostante tutto, si tratta di pura ricerca personale e non dover capitalizzare nell’immediato il mio personal brand. Ho dovuto però non contare economicamente su questa produzione per renderla davvero libera. Cercasi tutt’ora, nonostante tutto, mecenate illuminato per alzare l’asticella. Mess. in priv.

Ozmo, A Very Famous Milanese Lady, Corso XXII Marzo, Milano, Italia, 2022.

Come e in che cosa è cambiato in questi ultimi anni il tuo lavoro pittorico?

Non saprei onestamente così al volo, ma non penso sia compito mio. Ho pubblicato un libro con una selezione di più di 20 anni di lavori e 5 testi di curatori sociologi critici e ricercatori universitari. È stato pensato come uno strumento storiografico su questo fenomeno chiamato street art, oltre che sul mio lavoro, attendo che qualche addetto ai lavori inizi a usarlo seriamente. Non sai quante richieste per tesi ricevo ogni anno ma poche sono interessate realmente ad approfondire, piuttosto che prendere un titolo di studio o accontentare il relatore.

Tu provieni da una cultura underground e antagonista, con molte incursioni e testimonianze in centri sociali e spazi occupati. Ricordo diversi lavori tuoi molto iconici, a cominciare dal grande ritratto di Carlo Giuliani sull’ex Bulk a Milano, o gli interventi al Leoncavallo. Oggi quella cultura è molto diluita, frammentata. La destra è al potere, e si distingue per interventi dalla tendenza fortemente “securitaria”. Riesci a continuare a mantenere un equilibrio tra dimensione artistica “pura” e impegno sociale sul territorio?

Più che il sovranismo e l’ignoranza, internet ed i social hanno distrutto l’essere alternativi. In un mondo dove tutti hanno voce non esiste più un’alternativa a qualcosa ma un brusìo indistinto ed esteso. Ed anche chi è il capo di uno Stato si affida ai social per rilasciare dichiarazioni ed oggi somiglia più ad un influencer che a un leader. Ovvio che la superficialità sia non solo dominante ma anche una reazione allo stato delle cose.

C’è chi non capisce la mia Street art con i manifesti realizzati con l’AI e chi ignora cosa sto facendo nei musei, altri, pur tra gli addetti ai lavori, ignorano che io dipinga quadri e che realizzi opere diciamo vendibili a privati.

Ozmo, Piero della Francesca Looney Tunes Disney Judgement, 2023.

Il tuo lavoro è sempre proceduto su due binari paralleli, quello strettamente pittorico e quello urbano. Negli ultimi anni il lavoro urbano ha però perso i caratteri di illegalità che lo contraddistingueva all’inizio, aderendo a commissioni e a richieste specifiche, sia da parte di associazioni che di brand. Come si è evoluto il tuo linguaggio in questo contesto, e in che modo concili la tua autonomia artistica con la commissione?

Cerco di fare quello che mi muove animicamente e che quindi mi interessa/mi diverte, oltre alle urgenze tipo le opere contro la guerra o ironicamente politiche.

Che futuro vedi per l’Urban art nei prossimi anni, o decenni?

Anche il sistema dell’arte sta cambiando radicalmente pelle. L’Urban art da una parte e Internet dall’altra hanno accelerato il processo di disintermediazione tra artista e pubblico.

Ozmo, Self portrait of Michael Sweerts plus a prehistoric horse head, 2016.

Tu che sei stato uno dei pionieri di questo processo, come vedi lo sviluppo futuro del mondo dell’arte? Si stanno richiudendo i ranghi o si sta assistendo a un cambiamento ineluttabile?

Sono contento che questo bambino difficile che abbiamo partorito 20/30 anni fa abbia conquistato le strade il costume la musica e le arti, tuttavia sui giornali ha risalto anche uno scarabocchio. Trent’anni fa il solo riuscire a dipingere un muro enorme o pubblico ti autorizzava idealmente a farlo, in quanto formalmente era di fatto avanguardia. Oggi più che mai è necessaria una sensibilità e una maturità per pretendere di realizzare un’opera pubblica. Questo è qualcosa che sia le pubbliche amministrazioni, associazioni e comuni dovrebbero ben tenere a mente, oltre agli artisti. Troppe opere sui muri stanno spuntando senza una necessaria metodologia e ricerca.

Il rischio è di creare un’overdose di arte muraria che porti la qualità verso il basso e la percezione del pubblico a considerarla come un arte paracula, quando è arte nata per uno scopo altissimo, sacro, o al limite rivoluzionario.

Ozmo, Piero della Francesca Looney Tunes le Mat, 2023.

Anche l’AI sta intervenendo in maniera radicale sul processo creativo dell’artista. Tu come la usi, e che ruolo vedi nel futuro dell’arte di questa nuova tecnologia?

La uso semplicemente come uno strumento: come il pennello o il pennarello. La disinformazione figlia dell’ignoranza che gira in internet e sui giornali è la stessa che ha rovinato la percezione di ‘street art’ qualche anno fa.

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