Palermo e la sindrome della Golden Age

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La mostra “Palermo Liberty – The Golden Age” si inserisce tra le molteplici iniziative che puntano al recupero di questa stagione mitica che ha lasciato un segno indelebile.

Sarà forse per la necessità impellente di estraniarsi da un mondo in perenne crisi, oppure per la semplice nostalgia dei bei tempi che furono, sembra che oggi tutto voglia concorrere al recupero di una stagione d’oro che tutti vorremmo rivivere: quella dei Florio e dei Basile. Dalle mostre interattive e cross-mediali alle pubblicazioni per gli addetti ai lavori, dai romanzi per il pubblico ai set cinematografici, passando per gli infiniti itinerari tematici, tutto porta alla mitizzazione di quest’epoca che, in effetti, fu davvero d’oro. 

Apertura Archetipo del Massimo, restauratore Gianfranco Di Miceli, foto di Noemi Mazzola

Fortunatamente Palermo è talmente ricca di testimonianze Liberty che, nonostante la ferita ancora sanguinante inferta dal “sacco”, può essere considerata un museo dell’ art Nouveau a cielo aperto, tanto è vero che ha già aderito al RANN “Réseu art Nouveau Network”  e con i suoi numerosi palazzi e villini in stile floreale, rientra tra gli itinerari culturali del Consiglio d’Europa. 

Con oltre 500 opere, prodotte tra il 1897 e il 1923, la mostra “Palermo Liberty – The Golden Age” curata da Cristina Costanzo, Massimiliano Marafon Pecoraro ed Ettore Sessa, visitabile fino al 30 maggio presso il Palazzo Sant’Elia di Palermo, ci racconta questo spaccato di storia della città. 

Nel periodo di transizione tra il XIX e il XX secolo, la borghesia siciliana abbraccia il rinnovamento culturale europeo guidato dall’Art Nouveau. Vi è in quegli anni una temperie culturale che, proprio perché non dimentica delle sue radici, riesce ad elaborare un nuovo stile capace di parlare con un linguaggio unico a tutti, spalancando le porte alla modernità. Lo stile liberty della scuola basiliana, perfettamente in linea con le tendenze europee del tempo, riesce a permeare tutti i settori della creatività: dall’architettura alle arti decorative, dalla pittura alla scultura, fino alla grafica e al nascente industrial design. Progettisti, pittori, scultori, decoratori, artigiani e imprese produttive lavorano fianco a fianco per realizzare una città nuova, più moderna e adatta alle esigenze della borghesia nascente. 

La magia di quel periodo si genera dalla concomitanza di una serie di fattori: le committenze illuminate, lo sviluppo tecnologico e le grandi capacità artistiche di decoratori, stuccatori, pittori, scultori e architetti-designer. Ma vi è, innanzitutto, un ingrediente fondamentale: la voglia e la capacità di collaborare e, come si direbbe oggi, di fare rete. Non solo i Florio e i Basile, ma tante altre voci danno vita a quest’epoca irripetibile. Una serie di personalità uniche riescono a dialogare creando quel melting pot grazie al quale Palermo riuscirà ad esprimersi in modo originale. Vi sono, ad esempio, le famiglie dei Whitaker e degli Ingham che iniziano la loro ascesa imprenditoriale e poi vi è Vittorio Ducrot, intenditore, mecenate e stimato collezionista, ancor prima che imprenditore. Nato a Palermo da genitori francesi, Ducrot è fra gli esponenti di punta di quella classe imprenditoriale che costituisce la committenza ideale per il gruppo di creativi riunitosi intorno alla figura di Ernesto Basile. Insieme ad Ignazio e Franca Florio, regina indiscussa di Palermo immortalata da Giovanni Boldini nel 1901, Vittorio Ducrot contribuisce a creare e diffondere il gusto e la cultura tipiche della Belle Epòque. 

Dopo un secolo di storia, la mostra “Palermo Liberty – The Golden Age” cerca di far rivivere questo universo culturale attraverso una variegata selezione di opere – dipinti, sculture, abiti, gioielli, arredi, disegni, ecc. – realizzate da quei raffinati interpreti formatisi tra la scuola di Francesco Lojacono e il cenacolo di Ernesto Basile: Ettore De Maria Bergler, Luigi Di Giovanni, Gaetano Geraci, Salvatore Gregorietti, Antonio Ugo e tanti altri. 

Michele Catti, Uscita dei Tasca da Villa Camastra, 1904, olio su tela, cm 60×120, collezione privata

Tra le tante opere in mostra ve ne sono alcune del magnifico Michele Catti. Parafrasando Baudelaire si potrebbe affermare che egli fu capace di “strappare alla vita moderna il suo lato epico”, riuscendo a immortalare con il suo stile malinconico e quasi impressionista la nuova città nascente in cui la borghesia si riconosceva.

In mostra vi è il golfo di Palermo illuminato di notte dai primi bagliori della luce elettrica dei lampioni. Il dipinto di O’Tama Kiyohara è un’opera emblematica che non poteva mancare, la storia di O’Tama e di Vincenzo Ragusa costituisce, infatti, la testimonianza tangibile dell’arrivo del japonisme in Italia. Non potevano mancare neanche le naiadi dello scultore Mario Rutelli e del pittore Ettore De Maria Bergler, talentuosissimo interprete di quello stile floreale che si può ammirare, ancora intatto, all’interno del Salone degli Specchi di Villa Igiea, da cui proviene anche uno straordinario paravento a cinque ante dalle tipiche curve «a colpo di frusta».

Ernesto Basile, Tavole con disegni per i Florio il camino, 18991902, china su carta, cm 31 x 21, Archivio Basile

Tra un cappello a cilindro e le crinoline degli abiti della collezione Piraino, tra cui quello dell’affascinante Donna Franca Florio – l’unico rimasto a Palermo dato che il suo intero guardaroba è custodito nel museo del costume di palazzo Pitti a Firenze – si prova a rivivere l’atmosfera magica della “golden age”, quella dei salotti aristocratici, quella dove un tempo s’incontravano intellettuali ed imprenditori.

Dai divanetti alle fioriere, dalle maniglie ai tavolini, in ogni suo progetto Basile disegna personalmente tutti i dettagli. Egli, nonostante il suo prestigio come architetto e come accademico, non si sente affatto sminuito nel disegnare carte da parati e persino i font e il lettering delle etichette, applicandosi a tutto con la stessa dedizione. Una visione anticonformistica per l’epoca, lo renderà uno dei precursori indiscussi del design europeo.

Ernesto Basile, Mattonella con iniziali EB, XX secolo, maiolica invetriata, cm 20 x 20, Archivio Basile

Tra gli arredi in mostra spiccano i mobili del Villino Ida, la casa-studio di Ernesto Basile che oggi si vorrebbe far diventare museo. Vi è anche la mitica poltroncina “Tipo Torino” realizzata da Ernesto Basile insieme alle officine di Vittorio Ducrot. Pensata per una produzione economica, perderà persino gli essenziali decori presenti nella prima versione del 1902 (la “sedia Torino” presentata all’omonima mostra internazionale delle arti decorative), anticipando così le tendenze dell’industrial design dei decenni a venire e inaugurando la produzione in serie di oggetti di altissimo pregio destinati alla grande diffusione. Una versione contemporanea della poltroncina “Tipo Torino”, rieditata insieme ad altri arredi dell’epoca da un’azienda siciliana in collaborazione con gli allievi del professore Dario Russo dell’Università di Palermo, ed esposta anche alla Triennale di Milano, si trova all’interno della mostra, nella sala cadetta del palazzo. 

Demetra – Pupa del Capo –

Anche la Pupa del Capo, il mosaico policromo realizzato per il panificio Morello, torna sotto gli occhi del pubblico, ma in un’ambientazione nuova, “gold” e ricca di effetti speciali, che purtroppo non fanno percepire al meglio le cromie originali. Poi ci sono i piroscafi e la città che cambia, con i disegni del piano di risanamento e di ampliamento di Mondello e della Favorita, ci sono i video della Targa Florio e una sezione specifica dedicata al “sacco” di Palermo, con la scellerata demolizione di villa Deliella. 

Potremmo continuare all’infinito con la rievocazione di questo passato memorabile che un folto numero di curatori, storici dell’arte ed esperti si è impegnato a ricostruire. E che ben vengano le mode e i selfie, se possono aiutare a far da volano per il recupero di questa stagione d’oro. A patto, però, che si cerchi di ricordare quale fu l’humus culturale che permise la fioritura di questa “golden age”: una reale e sincera collaborazione tra i vari soggetti, quelli che oggi chiameremmo stakeholders. Un humus culturale senza il quale nessun percorso, itinerario o museo sarà mai bastevole per far rinascere una stagione d’oro. 

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