Queen Loretta: quando l’amore è più forte di qualsiasi pregiudizio

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Una storia che si trova nel crocevia tra il serio e il faceto, con un pizzico di paillettes. Queen Loretta traduzione in italiano del titolo originale Kròlowa – è una miniserie polacca in 4 episodi, per la regia di Lukasz Kosmicki. Il tema portante, ossia il mondo LGBT+ con un focus sul mondo Drag, non è nuovo all’interno piattaforma: esso è già stato sviluppato all’interno di altri prodotti “netflixiani”, si pensi a Pose per esempio; se volessimo, potremmo andare anche un po’ oltre, citando il popolare Rocky Horror Picture Show del 1975.

Queen Loretta ha una missione molto importante e delicata, ossia mettere in evidenza come i pregiudizi verso la comunità Drag siano ancora ben radicati nella società, il tutto, però, senza banalizzare o stereotipare troppo. Le aspettative ci sono, dal momento che lo stile di narrazione versatile riesce a far vivere le emozioni in maniera amplificata. 

La vicenda ha origine a Parigi: Sylwester (Andrzej Seweryn) è un sarto che vive tranquillamente con la sua cagnolina Laika e durante il giorno manda avanti il suo negozio di sartoria; calata la sera, però, egli diventa anche Loretta, Drag queen di successo e icona per il mondo LGBTQ+. La sua routine subisce una svolta quando riceve una lettera da parte della nipote Izabela (Julia Chetnicka), di cui fino a quel momento non conosceva nemmeno l’esistenza: dopo essere partito per la Slesia, per Sylvester inizierà un’esperienza di profonda comprensione non solo del dolore causato alla figlia Wioletta (Maria Peszek) dopo averla abbandonata, ma anche di sé stesso e di chi davvero vuole essere, riscattandosi una volta per tutte.

Il tentativo, da parte di Sylwester, di recuperare il rapporto con la figlia e crearne uno ex novo con la nipote, è sicuramente evidente fin dal primo incontro: inizialmente, solo Iza riesce a creare un contatto con il nonno ritrovato e mai conosciuto e facendo da motore conduttore nell’impresa di salvare la madre: sarà lei, infatti, che scriverà a Sylwester per chiedergli di recarsi in Slesia per donare un rene a sua madre.

Il tema dell’amore, che pian piano riemerge in varie forme e non solo quando vive sotto le spoglie di Loretta, permette a Sylwester di capire come solo attraverso il mostrare la propria fragilità e la sua più parte emotiva – quella che generalmente sembra quasi ingessata quando indossa il suo abito elegante e compassato – gli consentirà di farsi amare per chi si sente davvero e perdonare dalla figlia per il suo abbandono. A questo segue anche l’accettazione, ma non con accezione negativa, bensì in un’ottica di accogliere l’altro, perdonando i suoi sbagli e ripartendo da zero; un processo che avviene contemporaneamente sia all’interno, sia all’esterno del protagonista.

La narrazione si svolge entro un contesto rurale, in cui la principale attività lavorativa è quella che si svolge in miniera: è un terremoto a minare questo equilibrio, dal momento che alcuni minatori – tra cui anche Darek e Marek, tra i quali nasce una rivalità a causa del bambino che Iza porta in grembo – rimangono intrappolati sotto le macerie. Per aiutare economicamente le famiglie degli scomparsi, Wioletta e Sylwester decidono di organizzare uno spettacolo di beneficienza e di coinvolgere i minatori superstiti in una coreografia: la reazione di questi ultimi è spia importante di ciò che pensare comune del posto, per cui la danza possa essere un’attività da effeminati, che rende meno virili.

Allo stesso tempo, però, questo preconcetto viene smentito da una controparte di minatori che decide di affidarsi a Corentin (coreografo e amico di Sylwester) e a questo “raggio di speranza” rappresentato dallo spettacolo stesso. La causa comune porta le due realtà a collaborare, in nome di un fine ben più grande ed importante: non solo, grazie a questo suo mettersi in gioco, Sylwester – alias Loretta durante lo show – sente finalmente di poter essere sé stesso a 360 gradi, ma questo gli consente anche di portare nuova linfa all’interno di un microcosmo che, se si fosse affidato ai soliti metodi di contestazione, come lo sciopero, avrebbe avuto meno possibilità di successo.

Un elemento che caratterizza lo stile di narrazione è la calma: ogni azione compiuta si prende il proprio tempo, lasciando allo spettatore la possibilità di prendere familiarità con il contesto e coloro che lo vivono. Questo vale anche per quanto riguarda l’evoluzione dei rapporti tra i personaggi: attraverso alcune scelte quasi strategiche, quali lente panoramiche ed enfasi sui dettagli, il regista sembra voler ricamare pian piano una trama di relazioni, prima tra Sylwester e la nipote – si pensi ai primi piani ripetuti sulla lettera da parte di Iza e sulla cui apertura l’uomo sembra indugiare – e successivamente con gli altri.

D’altra parte, la quiete sembra contraddirsi nelle scelte cromatiche: sebbene i colori risultino in armonia tra loro, dando vita ad un ambiente coinvolgente, al loro interno spiccano alcuni dettagli che richiamano il mondo Drag e lo stesso estro creativo del sarto. Oltre alle luci blu e rosse della stanza d’albergo di quest’ultimo, che sembrano rievocare le stesse luminosità del locale presso cui Loretta si esibisce, un altro esempio è quello relativo al colore rosa shocking dei fiori portati da Sylwester alla figlia dopo l’operazione e che si ripresenta poi anche nell’abbigliamento di Corentin giunto in aiuto dell’amico. Un tono più dinamico traspare anche in alcune scelte di montaggio, come accade nel momento in cui viene mostrata la nascita del bambino di Iza e, contemporaneamente, la notizia della morte di Marek, creando un parallelo tra la vita che inizia e quella che finisce.

Queen Loretta si presenta come una miniserie piacevole e godibile, ma che, allo stesso tempo, cerca di portare in scena tematiche importanti, tra cui la condizione operaia e uno spaccato specifico sulla comunità LGBTQ+; i momenti di spensieratezza sono ben calibrati con altri di più alto spessore, anche attraverso l’uso di alcuni classici musicali – si pensi a “Ne Me Quitte Pas” di Nina Simone e “Holding out for a hero” di Bonnie Tyler – che amplificano ancora di più il senso di familiarità e il tentativo di eliminare le differenze una volta per tutte. Questo perché, in fin dei conti, la scena finale non fa altro che metterci fronte al fatto che ognuno di noi, a prescindere da orientamento sessuale, genere, religione, colore della pelle, non è poi così diverso dal suo vicino; siamo umani e, come esseri dotati di raziocinio ed emozioni, dobbiamo esserci gli uni per gli altri. Un connubio ideale che Queen Loretta riesce a restituire.

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