Piacenza è forse la città meno conosciuta dell’Emilia-Romagna, eppure, merita una visita approfondita per i suoi ricchi palazzi, alla costruzione dei quali furono chiamati Ferdinando Bibiena, Luigi Vanvitelli e Cosimo Morelli, oltre ad artisti del calibro di Raffaello. Parallelamente ai palazzi, durante l’epoca farnesiana tra il Seicento e il Settecento, anche le chiese aumentarono considerevolmente al punto da far guadagnare alla città di Piacenza l’appellativo di città delle cento chiese.
Proprio in una di queste chiese, ormai sconsacrata, l’ex chiesa delle Teresiane che ospitava la clausura delle Carmelitane scalze e che era chiusa da sessanta anni, abbiamo visto la mostra In attesa del buio di Christian Zucconi che con le sue tredici sculture ha fatto rinascere quest’affascinante luogo. La chiesa un gioiello a pianta centrale in un’unica aula costruito nel XVIII secolo è il luogo ideale per ospitare i lavori dello scultore, con un allestimento immersivo, in penombra, in cui si stagliano grazie a giochi di luce le sculture, in travertino persiano modellate da Zucconi. Un vuoto che si fa presenza, animato dalla “Madonna del sonno”, la “Sibilla della sera”, e dove si avvertono il “Canto delle foglie” e il “Canto del vento”, come suggeriscono i nomi delle opere.
La voce di Lorena Nocera accompagna l’esposizione grazie alle poesie scritte dallo stesso Zucconi e benché dedicate alla notte, non vogliono essere descrittive di una storia, ma evocare lo stato d’animo in cui sono state concepite.
La voce narrante vuole ricordare le preghiere e le litanie delle suore che per tanti anni hanno riecheggiato tra i muri della clausura.
Dalla chiesa, poi, la mostra continua nella sala della ruota degli esposti, dove il video di Greta di Lorenzo racconta la lavorazione dell’opera il Canto delle foglie, finita poche settimane prima dell’inaugurazione.
In questa intervista esclusiva l’artista ci racconta come tutto è iniziato.
Come è nata l’idea di questa mostra?
È una mostra a cui tenevo molto, è il frutto di cinque anni di lavoro, è stato difficile anche tenere a casa tutte le sculture, parliamo di opere monumentali, però non volevo smembrare il ciclo, volevo esporle tutte insieme.
Quindi qual è stata l’idea principe, quella che ti ha ti ha guidato?
Non è una cosa nata a tavolino, è partito tutto nel 2019 quando ho creato la prima scultura, La Madonna dell’assenza, nata da una mia mancanza affettiva, da un lutto, ma non avevo idea di quello che poi ne sarebbe scaturito.
Per te è stato come una specie di catarsi, giusto?
Si, era il recuperare la voglia di andare avanti, cercando un modo per riuscire a superare questo dolore. E infatti la mostra è dedicata a tutti coloro la cui assenza è giornaliera presenza e poi, piano piano mi sono reso conto che lavorando l’assenza si riempiva sempre di più.
Alcune sculture sono svuotate, perché?
Sì, hanno una parte di vuoto, a volte compaiono anche archi e mani che non fanno parte del corpo vero e proprio, ma come se fosse qualcuno vicino, una presenza amorevole, sempre presente. Quindi pian piano, questo ciclo ha preso forma. Fino all’ultima scultura Canto delle foglie, la cui lavorazione viene raccontata nel video nella sala della ruota degli esposti, e che è il culmine del ciclo.
Perché hai scelto proprio questo luogo per la tua mostra?
È uno spazio straordinario, mi affascinava molto perché è nato per la clausura, le Carmelitane scalze, a cui sono molto legato, sono state in questo luogo sacro, sino al ’64 per trecentocinquanta anni. Per ricordare le loro litanie e le loro preghiere ho voluto la voce narrante su tre linee di voci, che hanno diverse modulazioni, immaginando le suore che assistevano alle funzioni dietro le grate nella zona dell’abside.
Conoscevi già questa chiesa, ormai sconsacrata?
Per la scelta devo ringraziare Manuel Ferrari, che è anche il curatore della mostra, abbiamo visitato diverse chiese, perché comunque il concetto era quello di voler ricreare qualche cosa di sacrale. Molte delle chiese che abbiamo visto erano ormai in disuso, e ne abbiamo girato tante, perché come tu sai Piacenza è soprannominata la città dalle cento chiese. Ma questa mi ha colpito, era chiusa da sessanta anni, quindi, ti puoi immaginare le condizioni in cui l’abbiamo trovata, una volta ripulita da vecchia signora è diventata una vecchia amica, insomma, la sento molto mia.
Abbiamo accennato che alcune sculture sono vuote, questo per simboleggiare una mancanza?
Sì, soprattutto la Madonna dell’Assenza, è svuotata al limite della possibilità del materiale, se l’avessi svuotata ancora l’avrei fatta cadere in pezzi.
Nelle tue opere si percepisce una sofferenza quasi fisica nella creazione.
In questo ciclo di opere, è una sofferenza più quieta, nel senso che non è rassegnazione, ma lasciarsi andare a quello che è poi l’esistenza. Questo concetto è espresso bene da La Madonna del Sonno, io la vedo proprio come una foglia secca portata via dalla corrente. E quindi è un abbandonarsi a una corrente dormendo, quasi come dormire sull’acqua.
La mostra, curata da Manuel Ferrari, sarà visitabile sino al 30 giugno.