Tre artiste giapponesi alla Dorothy Circus Gallery di Roma raccontano la magia dell’infanzia

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Nel cuore di Roma, c’è una galleria d’arte unica nel suo genere: un piccolo scrigno che racchiude un’atmosfera magica, in bilico tra l’immaginario stravagante alla Tim Burton e il fumetto underground, ma anche la tradizione giapponese e il surrealismo. È la Dorothy Circus Gallery di Alexandra Mazzanti, con sede in Via dei Pettinari (e un’altra “gemella” a Londra, in Connaught Street). 

Fondata nel 2007, la galleria ha dedicato oltre 15 anni alla promozione dell’originalissima corrente del “Surrealismo Pop”, anche se, come specifica Mazzanti, “parlare di Surrealismo Pop ormai è inappropriato, quello che è nato sotto questo nome, più di vent’anni fa, è un movimento dilagato che sfugge a questa come ad altre definizioni, un movimento di natura sentimentale, espressionista che ha contaminato tutto il contemporaneo figurativo dalla pittura alla scultura fino alla street art e alla fotografia e che si è anch’esso lasciato plasmare dalle tendenze del mercato così come dai nuovi contenuti e fatti storici”.

Sublime Introspections_Opening pictures 9_Courtesy of Dorothy Circus Gallery and ph. Federica Iannella

Perciò, aggiunge, “se è vero che la mia galleria si e distinta sul panorama europeo per aver portato per prima il movimento pop surrealista d’oltreoceano, è anche vero che abbiamo rappresentato il vasto riflesso di una società che stava cambiando – post globalizzazione – le cui forme nell’arte sono state espresse dal pop surrealismo, così come dalla street art e con una forza decisiva, cariche di un impatto talmente massivo che era impossibile da contenere e con il semplicissimo intento di rivoluzionare il panorama dell’arte. Noi abbiamo solo aperto la porta al cambiamento”

Lo spazio ha appena inaugurato una doppia collettiva (in contemporanea a Londra e a Roma), dal titolo Introspezioni Sublimi: Arte Femminile Giapponese tra Scultura e Pittura. Visitabile fino al 16 dicembre, la rassegna raccoglie i lavori di tre artiste giapponesi, ognuna con uno stile unico e una visione distinta: Moe Nakamura, Mayuka Yamamoto e Karin Iwabuchi. La porta della Dorothy Circus si apre su tre mondi introspettivi; tre dimensioni, tra pittura e scultura, che raccontano con dolcezza il legame che unisce il bambino interiore e l’adulto che è diventato, in una continuità quasi atemporale che mescola i due stati fino a renderli indistinguibili. “Quello che esprime la serie Sublimi Introspezioni  –  in un racconto che si articola attraverso tecniche molto diverse, pittura con carta di riso, scultura in legno e pittura ad olio su tamburi giapponesi – è lo stato di sublimazione dell’esistenza che deriva dalla percezione, l’introspezione per queste artiste diventa l’apertura di un esplorazione del non visibile. Le opere hanno infatti la simbologia comune degli occhi chiusi e ci guidano attraverso il racconto dei sensi per farci trovare noi stessi e gli altri e riscoprendoci per quello che abbiamo dentro“, spiega ad Artuu la gallerista. “In un mondo contemporaneo in cui predomina l’uso della vista, e la cui tendenza è quella di spingere le nostre menti all’artificiale allontanandoci sempre di più dalla realtà, valorizzando la proiezione ritoccata di noi stessi, queste opere offrono uno spunto di riflessione e ci navigano contro corrente invitandoci a relazionarci con quanto di più prezioso abbiamo: l’anima“.

Sublime Introspections, Courtesy of Dorothy Circus Gallery and ph. Federica Iannella

Elemento non di secondaria importanza, Introspezioni Sublimi è una mostra di artiste donne, organizzata da una gallerista donna. “Questa è la mia politica ormai da 17 anni“, spiega Mazzanti, “seleziono soprattutto artiste donne, mi faccio affiancare da un team di donne e proprio in questo momento tremendamente triste e sconfortante che vede l’Italia teatro dell’ennesimo femminicidio, penso che rappresentare la femminilità  –  quella delle donne e quella degli uomini – sia essenziale, perché l’unica possibilità di avere un mondo senza violenza è solamente attraverso la diffusione del linguaggio femminile“. 

Il fil rouge dell’esposizione è il mondo dell’infanzia, posto in continuità con l’identità adulta.

 “In circostanze ordinarie, la gente pensa che sia possibile armonizzare delicatamente le emozioni e l’atmosfera tra l’”infanzia” e il “sé attuale”, perché sembrano essere distanti. 

Sublime Introspections, Courtesy of Dorothy Circus Gallery and ph. Federica Iannella

Tuttavia, prima di tutto, credo che definirli sia difficile», spiega Yamamoto. «I “bambini” che disegno non sono chiaramente separati dal mio “sé attuale”; e mi rendo conto che io stessa cambio continuamente mentre continuo a disegnarli». Così l’artista – tra le artiste giapponesi contemporanee più affermate della seconda generazione – parla dei suoi “ragazzi animali”, bambini candidi, dall’espressione enigmatica, serafica e sospesa, quasi ultraterrena. Immagini mentali, inconsce, che rappresentano un’insospettabile forza interiore. Dettaglio particolare, è quello del tamburo che Yamamoto utilizza come cornice:  «il “tamburo a cornice” utilizzato come supporto per questi dipinti è lo strumento a percussione più antico del mondo e ha molte possibilità di utilizzo oltre a quella dello strumento musicale. Originariamente era usato come strumento rituale per onorare gli dei durante i riti dei templi mesopotamici. A volte si dice che le sacerdotesse lo usassero per curare la mente. Ero interessata al fatto che i miei dipinti si identificassero con esso e che ne nascesse qualcosa di nuovo».

Con tenui acquerelli su pregiata carta e scolpendo il legno di canfora giapponese, Moe Nakamura dà invece vita a delle figure quasi magiche, piccole creature del bosco incantato. «A mio parere, la sensazione che proviamo da bambini, e che abbiamo dimenticato», spiega Nakamura, «è in realtà una cosa importante, che rimane forte nel nostro cuore anche da adulti. Il mio lavoro trasmette la sensazione di esser stato “lasciato indietro” da qualche parte. Si tratta di scavare ricordi, fino ad arrivare a quando non sei ancora diventato nulla. Per me, è come fosse il mio alter ego, e spero che farà emergere i ricordi lontani che ognuno ha nel profondo del proprio cuore».

Sublime Introspections, Courtesy of Dorothy Circus Gallery and ph. Federica Iannella

Infine, Karin Iwabuchi ritrae giovani donne in una scala di grigi, con fondi neri e vellutati. Vestiti con delicatissimi intrecci di ricami floreali (realizzati imprimendo una carta giapponese quasi trasparente) e circondate da farfalle (simbolo del cambiamento), i personaggi di Iwabuchi ricordano all’osservatore che «tutto è vanità, ovvero tutto in questo mondo cambia, e niente rimane lo stesso per sempre. Per me, che sono nata e cresciuta in Giappone, questo senso di impermanenza è una parte fondamentale della mia comprensione del cambiamento, e sento che ha sempre più importanza anche nella società contemporanea».

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